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    Predefinito Il debito occulto, bomba sociale

    Maurizio Blondet
    21/08/2006

    Chi ricorda i BOT al 12 %?
    Noi vecchiotti ne abbiamo un buon ricordo.
    Li compravamo volentieri, ci mettevamo i risparmi.
    Poi un professore di lettere liceale diventato capo di Bankitalia ci disse che era tutto sbagliato, che i BOT dovevano essere al 3 %.
    E fu il primo a indebitare l’Italia all’estero, in valuta estera, emettendo BOT sui «mercati internazionali».
    Ora scopriamo che - come al solito - il Carlo Azeglio non capiva un’acca di economia, era lì solo per eseguire ordini che venivano da altrove.
    E lo dimostra James MacDonald, banchiere d’investimento. (1)
    Vale la pena di seguirne il ragionamento.



    Il debito pubblico è un concetto ben noto e contabilizzato in tutti gli Stati.
    Per coprirlo, gli Stati emettono titoli, Buoni de Tesoro, che sono cambiali, promesse di pagamento: chi li compra, creditore dello Stato, riceve dal debitore degli interessi e, a scadenza, la cifra prestata.
    Il livello degli interessi sui Buoni del Tesoro riflette più o meno la fiducia delle banche e dei «mercati» nella solvibilità dello Stato-debitore.
    E la solvibilità dello Stato-debitore è indicata dalla percentuale del debito sul PIL.
    Un debito pari al 60 % del prodotto interno lordo (la ricchezza prodotta in un anno dal Paese) indica uno Stato che probabilmente è in grado di pagare i debiti.
    L’Italia ha un debito pari al 105 % del PIL.
    E tuttavia, gli interessi sui BOT sono bassi; il mondo della finanza crede che l’Italia sia in grado di pagare il suo debito, visto che compra le sue cambiali contentandosi di poco profitto?



    I tassi dei titoli di debito, in realtà, sono bassi in tutto il mondo.
    Anche quelli dei BOT, o dei Treasury Bill americani a 30 anni.
    C’è la generale certezza che gli Stati saranno in grado di pagare i loro creditori anche fra trent’anni.
    Quanto è giustificata questa certezza?
    La domanda diventa allarmante se si tiene presente che il debito di Stato contabilizzato e dichiarato è solo una parte dell’indebitamento pubblico.
    Sotto, c’è un altro debito occulto e occultato, che non appare nei bilanci: quello creato dalla promessa di pagare le pensioni ai cittadini.
    Sono promesse «allo scoperto»: non vengono accantonati fondi per mantenerle.
    A quanto ammontano queste promesse di pagamento a vuoto?
    Generalmente, si dice, oltre il 200 % del PIL; per l’Italia forse di più.
    In ogni caso, molto più del debito pubblico dichiarato, e oltre ogni misura di prudenza finanziaria. Basti pensare che gli USA uscirono dalla seconda guerra mondiale con un debito pari al 130%
    del PIL.
    Le cose stando così, non si capisce come mai i «mercati» (la speculazione) accetti di comprare BOT di ogni Paese ai bassi tassi attuali; anche i BOT a scadenza lontana pagano interessi storicamente bassissimi.
    Dovrebbe essere il contrario: il rischio d’insolvenza dei debitori-Stati essendo alto, i BOT dovrebbero negoziarsi a tassi alti.



    Ciò non avviene, dice MacDonald, per un motivo: il mercato speculativo è sicuro che se un giorno lo Stato dovrà scegliere quale debito pagare, se le pensioni o i suoi titoli sui «mercati», pagherà quest’ultimo.
    E niente ai pensionati.
    Ma questa sicumera non tiene conto, dice il banchiere, della dirompente potenzialità politica che cova, come una molla titanica, nel debito pensionistico.
    La globalizzazione finanziaria è in rotta di collisione con la logica che sta sotto ai sistemi di previdenza universale; e rischia di far scattare quella molla.
    Come?
    Fino all'altro ieri, il fatto che il debito pubblico dello Stato fosse detenuto in massima parte dai suoi cittadini «ha costituito il più forte legame tra gli Stati e i loro popoli nelle nazioni democratiche».
    Questo legame è stato creato nel 19mo secolo, inizialmente con lo sviluppo dei sistemi di risparmio postale.
    Le Poste emettevano certificati di credito a interesse - non diversi dai BOT - e i cittadini vi investivano i loro risparmi, considerandoli «sicuri».
    Agli inizi del ventesimo secolo le Poste britanniche vantavano un conto di accredito per ogni famiglia inglese; i giapponesi ancora fino a tempi brevissimi - prima della globalizzazione finanziaria - ammassavano lì i loro risparmi di laboriose formiche; in Italia, i Buoni Postali erano il salvadanaio tipico dei contadini, timidi di entrare in una banca, o che non avevano una banca
    nel Paese.
    Gli uffici postali erano dovunque.



    Tutti mettevano lì i risparmi perché a prenderli era lo Stato; e lo Stato era «fidato».
    Anzi, di più: mettendo lì i risparmi, i più umili cittadini diventavano interessati alla stabilità e alla solvibilità dello Stato, al suo progresso economico.
    Non a caso il risparmio postale è cresciuto insieme all’avanzata del suffragio elettorale.
    Gli oligarchici e i finanzieri di allora previdero sventure monetarie, col l’estensione del voto a tutti, anche agli analfabeti: questi nuovi cittadini incolti (e poveri) avrebbero usato il loro nuovo potere per reclamare - sotto l’influsso di loro capi-popolo e tribuni della plebe rivoluzionari - grandi spese pubbliche «sociali», accrescendo a dismisura il debito pubblico e riducendo a nulla la moneta: ricordatevi degli «assignat» della Rivoluzione Francese, dicevano, ricordatevi dei «continental dollar» americani, che si squagliarono nei borsellini come neve al sole.



    Ma ciò non avvenne.
    Appunto perché i nuovi elettori erano anche detentori del debito nazionale, e perciò cointeressati ad una gestione sensata delle finanze pubbliche, e alla solvibilità dello Stato, che erano tutt’uno coi loro risparmi.
    Karl Marx, attento economista, chiamò questo legame tra cittadini e stato basato sul risparmio «la catena d’oro con cui il potere tiene legata la gran parte della classe operaia», rendendola esitante di fronte alle promesse paradisiache della rivoluzione: era un complimento involontario.
    Le due guerre mondiali rinsaldarono ancor più il legame: dovunque furono finanziate in gran parte da robusti acquisti popolari di prestiti patriottici.
    Ma poi, l’introduzione di sistemi previdenziali generali ha mutato profondamente la natura di questo legame fra popolo e nazione.



    Anzitutto perché il debito pubblico, benchè detenuto da una gran parte di cittadini, non è mai stato così «universale» come il sistema pensionistico.
    Ora i cittadini hanno meno incentivo al risparmio in «sicuri» titoli pubblici, perché sono sicuri - o s’illudono - che in ogni caso, da vecchi avranno un reddito di pensione.
    Persino in Gran Bretagna, Paese-modello del «liberismo», dopo la grande guerra almeno metà dei cittadini detenevano debito di Stato; oggi, sono meno di un quarto.
    E in molti Paesi occidentali sono meno del 10 %.
    Chi detiene oggi i Buoni del Tesoro, se non i cittadini?
    Gli «investitori istituzionali», ossia le grandi banche e le finanziarie internazionali.
    I debiti di Stato sono per lo più in mano a stranieri.



    Dunque lo Stato insolvente - se dovrà decidere chi pagare e chi no - dovrà decidere se preferire debitori stranieri, o se pagare i suoi cittadini.
    E c’è una bella differenza tra il monte dei due debiti: le promesse di pagamento delle pensioni sono gigantesche, in confronto al debito pubblico aperto e contabilizzato.
    Dunque, dice MacDonald, gli speculatori mondiali non hanno alcuna ragione ad essere così tranquilli, ad accettare BOT stranieri a 30 anni che danno frutti bassissimi.
    Tra il 1960 e il ‘70 ed oltre, gli Stati occidentali hanno «diluito» il loro debito pubblico inflazionando la moneta; «ma i pensionati ne sono usciti fuori senza troppi danni», grazie anche al fatto che oltre alle pensioni avevano i risparmi in BOT al 12 %.
    Interessi pagati in moneta nazionale erosa dall’inflazione, è vero; ma era pur sempre una rete di sicurezza (e lo Stato pagava in lire i suoi cittadini creditori, ossia in moneta nazionale che stampava a volontà).



    Ecco perché Carlo Azeglio ha avuto - da ignorante di economia - torto marcio.
    Non ha fatto che applicare le lezioni che gli dettava «qualcuno»: i BOT al 3 % alleviano il costo del debito per lo Stato; i tassi bassi rendono il denaro meno costoso, il credito facile; creano «grandi volumi di liquidità» da arraffare, per investimenti serii o azioni speculative.
    Già: ma intanto, l’aurea catena che lega i cittadini al loro Stato nazionale è stata spezzata.
    Ed è stata spezzata non solo dalla parte dei cittadini, meno interessati all’insolvenza del loro Stato; bensì anche dalla parte degli statisti, o sedicenti tali.
    Alla prossima crisi, questi «uomini di Stato» saranno tentati, come gli detterà la Gran Loggia, di pagare piuttosto i creditori esteri che la propria popolazione.
    Possono farlo?

    Beh, l’ha fatto storicamente uno Stato assai celebre, la superdemocratica repubblica di Weimar: la quale si liberò del debito pubblico tedesco, detenuto dai cittadini tedeschi ed enorme (così aveva finanziato la grande guerra, il pubblico patriottico) con l’iper-inflazione del 1920-23, quando un francobollo costò 10 miliardi di marchi e un uovo anche 300 miliardi.
    Weimar si liberò del debito a spese del suo popolo, per pagare i creditori esteri (americani)
    e il popolo si liberò della repubblica di Weimar, della democrazia pluralista e del «libero mercato finanziario», gettandosi nelle braccia di un risanatore della fiducia nazionale, dell’economia e della moneta, di nome Adolfo. (2)
    Un nome su cui grava la nota damnatio memoriae.
    Alla quale damnatio dovremmo aggiungere, noi italiani, un altro nome che invece è ufficialmente onorato e strapagato, Carlo Azeglio, che rispondeva a «di qualcuno».



    Non crediate che non possa succedere ancora, dice MacDonald agli speculatori anglo-americani e globali.
    Non chiedetevi se uno Stato indebitato «potrà permettersi di pagare il debito occulto che ha contratto con la promessa di pagare le pensioni; cominciate a chiedervi se potrà permettersi di non farlo».
    Non potrà.
    L’Argentina ha mostrato che tra il mettere alla fame i suoi cittadini e rischiare la rivolta sociale e politica, e pagare gli speculatori stranieri, ha fatto la scelta prima.
    La giusta, per chi ha amore di patria: il che esclude il risorgimentale Carlo Azeglio.

    Maurizio Blondet




    --------------------------------------------------------------------------------
    Note
    1) James MacDonald, «The social liabilities of reneging on pensions», Financial Times, 18 agosto 2006. MacDonald, banchiere ed economista, è autore di un libro dal titolo «A free nation deep in debt», Princeton University Press, 2006. ossia: può una nazione indebitata fino al collo non finire nella dittatura? Almeno, i liberisti anglosassoni continuano a «pensare» l’econonomia; i nostri grand commis, che non ne hanno la minima nozione personale (mica prendono i loro stipendi principeschi dal «mercato») si limitano a mandare a memoria ciò che viene pensato da quelli, e ad applicarlo ciecamente, servilmente, di solito con un decennio di ritardo culturale: quando i libri come quello di MacDonald vengono tradotti.
    2) Il Reich azzerò la disoccupazione in tre anni - nel pieno della grande recessione seguita al ‘29 - con due accorgimenti non liberisti: coprendo con garanzia di Stato le cambiali con cui si pagavano l’un l’altro gli industriali tedeschi (effetti MEFO), e nel commercio internazionale adottando il baratto. L’Argentina aveva carne da vendere, ma la Germania non aveva dollari per comprarla? L’Argentina poteva scegliere, come pagamento, le merci del ricco catalogo dell’industria tedesca: dalle macchine utensili alle vernici, prodotti chimici e vasellame, locomotive e giocattoli, orologi a cucù e aerei… questo metodo di import-export rendeva impossibile ai cambiavalute mondiali di scremare la loro quota di profitto dagli scambi, vendendo dollari alle due parti. Si veda Maurizio Blondet, «Schiavi delle banche», Effedieffe edizioni.




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  2. #2
    Ridendo castigo mores
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    Predefinito

    appunto il caso argentina ha mostrato 3 cose
    1) l' internazionalizzazione del debito ha distrutto l' economia nazionale
    2) la distruzuione dell' economia ha creato la rivolta sociale che ha annulato il debito internazionale per dichiarata insolvenza
    3) che la dichiarata insolvenza sul debito internazionale ha rimesso in moto l' economia nazionale risollevando il livello di vita

    pero' l' argentina era ed e' un paese ricco di risorse . Quale e' ( o era) la risorsa nazionale italiana ? La capacita di lavoro degli italiani . Ma gli italiani di quel tipo ormai non esistono piu' .. non si fanno figli e quei pochi qualificati li mandiamo a lavorare all' estero sostituendoli con incapaci e ignoranti immigrati ..
    .. quindi quando ci sara' il tracollo sociale l' italia non prendera' la via dell' argentina ma quella dell' affrica .. la terra di origine dei " nuovi italiani " ..
    "dammi i soldi, e al diavolo tutto il resto "
    Marx


    (graucho..:-))

 

 

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