Vicini alla scoperta della tomba

di

Alessandro Magno




Aristide Malnati


Siamo a due passi da una scoperta di straordinaria portata! Nel giro di poco tempo potremmo trovare i resti della tomba di Alessandro Magno!».
È categorico Jean Yves Empereur, Direttore del Centre d’études alexandrines, impegnato nello scavo sistematico dell’immensa necropoli dell’antica Alessandria d’Egitto (la "nekròpolis" descritta dal geografo greco Strabone): questo cimitero, allestito all’inizio del periodo tolemaico (attorno al 300 a. C.), è stato utilizzato fino ai primi secoli della cristianità e dunque conserva migliaia di sepolture.
Inizialmente gli archeologi transalpini hanno scavato la zona del quartiere di Gabbari, scoprendo almeno 5.000 loculi, quasi tutti di epoca cristiana. Ora si sono spostati nella parte più antica dell’immensa area cimiteriale, più ad occidente, e hanno fatto una scoperta eccezionale: con sicurezza hanno individuato il punto di congiunzione tra le due arterie principali di Alessandria; tra quella che la attraversava in direzione nord-sud dal Capo Lochias alla palude Mareotide e la via canopica (est-ovest), parallela alla costa. Ebbene le fonti storiche ci informano che il sovrano Tolemeo IV, alla fine del III sec. a. C., decise di spostare le spoglie di Alessandro il Macedone in un nuovo mausoleo, sito esattamente al punto di incrocio tra le due vie principali; e che in esso Tolemeo IV sistemò anche le mummie dei suoi tre predecessori a indicare ai visitatori la propria discendenza, che risaliva in linea diretta a Tolemeo I e dunque al condottiero macedone, di cui quest’ultimo fu compagno d’armi.
La tomba di Alessandro, il famoso “séma”, si conservò per secoli, fino all’epoca romana inoltrata e fu meta di continuo pellegrinaggio, anche da parte di importanti personaggi dell’Urbe (da Cesare a Caracalla), che a lui si ispiravano. Non fu più rintracciabile a partire dal periodo cristiano (forse per propaganda, più probabilmente perché mangiato dall’urbanizzazione selvaggia), tanto che attorno al 400 San Giovanni Crisostomo domandava ai fedeli in un’omelia: “Ditemi, dove si trova il ‘séma’ di Alessandro?”.
Nei secoli appena trascorsi, con lo sviluppo della moderna indagine archeologica, prima l’astronomo egiziano Mahmud el-Falaki (1860) e poi l’archeologo italiano Achille Adriani (1960) credettero di aver individuato la tomba più importante della storia sulla base di testimonianze antiche e di dotte ricerche: i loro scavi tuttavia non portarono a niente. Oggi a ripercorrere le tracce di Adriani è Nicola Bonacasa, suo allievo e massimo esperto di architettura dell’Alessandria tolemaica. Gli studi di Bonacasa (Direttore dell’Istituto di Archeologia all’Università di Palermo e da decenni attivo in ricerche archeologiche ad Alessandria, in collaborazione proprio con Empereur) hanno combinato le testimonianze storiche all’analisi stilistica dell’architettura funeraria, messa in atto nel corso della lunga esplorazione delle necropoli alessandrine. Simili studi hanno permesso di ipotizzare che la tomba del re dei macedoni dovesse essere un monumento imponente e probabilmente simile a quella sepoltura in alabastro rosa con giochi di ampie venature, che a suo tempo Adriani sospettò essere il reale mausoleo di Alessandro
Le ricerche della scuola italiana, condensate nel recente volume di Bonacasa («La tomba di Alessandro. Realtà, ipotesi e fantasie», editrice L’Erma di Bretschneider, Roma), hanno costituito la premessa e lo stimolo all’odierna indagine di Empereur, convinto di aver individuato il sito effettivo del monumento. Per appurare la bontà di tanta supposizione non resta che procedere allo sterro della zona individuata; l’operazione archeologica tuttavia pone soverchie difficoltà: bisogna smantellare edifici moderni e, soprattutto, mettere a soqquadro un’intera area cimiteriale, violando l’eterno riposo di migliaia di morti (è un aspetto, a cui in Egitto sono assai sensibili). Ma forse il gioco vale la candela.

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