PRONTO UN DDL L’ONOREVOLE AUTONOMISTA: «I GIORNI DI RIPOSO SONO SOTTO LA MEDIA UE». BREVE VIAGGIO TRA LE SORPRESE DELLA SVP
E la Südtiroler chiede nuove feste, in nome di Joseph
22/8/2006
di Jacopo Iacoboni

Non lavorate troppo», aveva detto Joseph Ratzinger. Certi suoi (quasi compatrioti) simpatizzanti l’hanno ascoltato.

La Südtiroler Volkspartei annuncia una disegno di legge nel Parlamento italiano per introdurre la festa di San Giuseppe (nell’idioma locale, appunto: Sankt Joseph) il 19 marzo; ma è la motivazione che suona ratzingeriana, e spinge a interessarsi a questa storia, «in Italia sono state abolite troppe feste», e oltretutto «il numero dei giorni festivi è sotto la media europea». Ci sarebbe da rallegrarsene per varie ragioni; magari constatando che l’elogio del lavorare meno - oltre che da Joseph Ratzinger e Lionel Jospin, che però lo associava al «lavorare tutti», un po’ come i no global italiani - è stato svolto anche da pensatori laici ottimisti e di sinistra. L’economista Jean Paul Fitoussi, per dire, a un convegno para-diessino sostenne «il sogno principale è quello di lavorare di meno. La tendenza generale, visibile ovunque, è quella per cui laddove si registrano vittorie sulla povertà, l’uomo tende a privilegiare l’ozio»; e teoria simile echeggerà la vispa Corinne Meier, autrice di un fortunato best seller di un paio d’estati fa. O magari ci si può rallegrare della proposta sudtirolese considerando quanto l’elogio della fiesta possa essere ascoltato e raccolto anche in culture - qualla altoatesina, appunto - che si riterrebbero inclini alla serena e indefessa laboriosità. E però. Pur sempre italiani, sono. In tutti i sensi.

È da un po’, in effetti, che la Südtiroler si segnala per certa simpatica irrequietezza, che molto allieta le altrimenti grigie aule del Parlamento italiano. In questo momento il partito è impegnato, col suo leader Luis Durnwalder, presidente della provincia autonoma di Bolzano, ad alimentare una polemica con la provincia di Trento, Durnwalder ha disertato le celebrazioni degasperiane a Trento, ospite principale il senatore a vita Carlo Azeglio Ciampi. Al che Giulio Andreotti ha prontamente ricordato agli altoatesini che senza Alcide il Tirolo sarebbe probabilmente stato austriaco, altro che autonomia, appunto, «italiana». Ed è proprio grazie all’autonomia (anche qui: in tutti i sensi) che gli onorevoli dell’Svp hanno costruito certe loro fortune, delle quali l’invito a «fare più feste» è solo l’ultima manifestazione.

L’idea parrebbe esser venuta a Siegfried Brugger, un deputato molto ben pettinato e dal viso simpatico e non affilato, che la spiega così: «In Alto Adige la festa di san Giuseppe ha una lunga tradizione e viene molto vissuta dalla popolazione». Poi aggiunge che però «la nostra iniziativa può avere successo solo se troviamo un largo consenso, al di là degli schieramenti politici, destra e sinistra».

Nel 2002 ci aveva già provato, ma lo slogan «più feste per tutti» aveva raccolto l’adesione - trasversale - di soli 150 senatori: tanti, ma non abbastanza per far passare il testo. Ora ci ritenta, sempreché la Svp non muti idea. L’ha un po’ fatto, ultimamente.

Fu Brugger che nel giugno 2001, durante il dibattito alla Camera per la fiducia al governo Berlusconi, si fece rapire conquistato dal Cavaliere, «signor presidente - disse - avevo preparato un intervento duro, ma ascoltate le sue parole ho dovuto cambiarlo». E nella legislatura appena cominciata la sua collega Helga Thaler Ausserhofer, numero uno dei tre senatori della Südtiroler Volkspartei, ha dovuto patire analogo, doloroso travaglio: andreottiana convinta (e proprio per la simpatia da sempre dimostrata dal divo Giulio ai tedeschi d’Italia, molto prima dell’èra-Ratzinger), votò alla presidenza del Senato indovinate per chi? Ma per Marini, avversario di Andreotti, con sicuro patimento personale in seguito solo temperato dalla nomina a questore di Palazzo Madama.

Stavolta, certo, andrà diversamente, all’insegna del «non lavoriamo troppo». Ma solo perché, cristiana com’è la Svp, potrà vantarsi di esser stata la prima a tradurre l’invito papale nell’impagabile politica dell’Italia duemila.

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