Economia socialista vs. turbo-capitalista
La Cina ha comunismo e mercato, e orgoglio per entrambi. L’Italia non ha quasi più il comunismo, non ha ancora veramente il mercato e non ha né l’orgoglio di una cosa dalla quale sta cercando di uscire né l’entusiasmo per una cosa che sta cercando di creare.
Mario Monti, [ex commissario europeo e presidente della Bocconi- (Padoa Schioppa 2008)]
Il punto è che la Cina ha saputo - dopo la morte di Mao - fare un bilancio critico, ma non liquidatorio, della fase precedente e delle condizioni di eccezionalità che l’avevano contraddistinta; ha trovato gradualmente la via di un modello di sviluppo che andasse oltre Mao, senza bisogno di demonizzare Mao, con una politica di riforme - ancora in corso - adeguate alla nuova fase storico-politica (modello che si sta sperimentando, che non viene considerato esaustivo e definitivo, che si è pronti a correggere sulla base dell’esperienza, ma che ha permesso di fronteggiare la crisi del “socialismo reale”, evitare il crollo, andare avanti). Mentre l’Urss e le direzioni del PCUS che sono venute dopo Stalin, non hanno saputo veramente andare “oltre Stalin”; lo hanno denigrato o rimosso, ma non hanno saputo elaborare e attuare un progetto organico di riforme del sistema sovietico capace di rivitalizzarlo nella nuova fase storica; non hanno saputo adeguarlo al nuovo contesto interno e internazionale per renderlo capace di reggere la competizione economica e tecnologica con i Paesi capitalistici più avanzati, passando da una fase estensiva ad una intensiva dello sviluppo economico, fino ad imboccare la via della stagnazione burocratica e poi della crisi. E, con la catastrofe finale della politica gorbacioviana, hanno condotto l’Urss non sulla via della riforma del socialismo, ma sulla via della sua autoliquidazione.
Sergio Garavini1
Premessa epistemologica
La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teoretica, ma pratica. È nella prassi che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non - realtà di un pensiero isolato dalla prassi è una questione puramente scolastica.
Karl Marx (Tesi su Feuerbach)
Adottando la pratica come solo criterio della verità, il marxismo cinese diventa un soggetto su cui si può riflettere per svilupparlo e rinnovarlo. In questo modo si è aperta la strada ad ogni possibile contributo al marxismo e all’apertura economica.
I comunisti cinesi hanno praticato a più riprese la “liberazione del pensiero” il che implica l’emancipazione da tutti i tabù dogmatici che si sono incrostati nel marxismo. Questo è avvenuto in base alla massima di Mao secondo cui la prassi è il criterio della verità ovvero “cercare la verità nei fatti”. Il che rappresenta una salutare bagno nell’empirismo dopo stagioni passate nel dogmatismo talmudico in cui era venerato qualunque cosa dicesse Mao, tempo in cui, come dicono i cinesi, uno pensava per tutti. Mettere una pietra dopo l’altra per attraversare il periglioso fiume è anche una immagine che ricorre sovente nelle espressioni dei comunisti cinesi che corrisponde efficacemente del criterio epistemologico adottato in Cina. L'apertura verso l'esterno ha inoltre permesso al marxismo cinese di diventare una teoria competitiva che consente di confrontarsi alla pari con altre teorie come quelle neo-liberali.
Dunque siccome i cinesi cercano fatti è difficile spacciare come fatti quelli combinati dalla sinistra occidentale, soprattutto in Italia, negli ultimi anni. Forse misfatti sarebbe la parola giusta.
Occorre inoltre tenere presente che l’orizzonte da cui partono i comunisti cinesi non è uno stravagante socialismo new-age in cui c’è dentro di tutto: il Dalai Lama e le canne, gli UFO e la decrescita2, il socialismo pauperistico e via dicendo. Questo orizzonte non è nemmeno il cinematografico “poveri ma belli” e neanche la democrazia in formato extra-large. Analogamente a quanto dice Zisek sul Tibet si può certamente affermare che le vedove inconsolabili della Rivoluzione Culturale e del “socialismo perduto” sono vittime del “sogno degli altri” che vorrebbero i cinesi poveri e rivoluzionari così da permettere a rivoluzionari edonisti e ben pasciuti che vivono in Occidente di essere consumisti quanto inconcludenti senza per altro sentirsi in colpa. I cinesi devono essere rivoluzionari al posto nostro. Questo modo di pensare ha dato origine ad una sorta di comunismo consumistico per cui non contano più i 400 milioni di persone strappate dalla Cina alla povertà, le fasi intermedie non sono più tenute in considerazione ma di colpo si dovrebbe passare al migliore dei mondi (im)possibili. La frenesia della vita moderna porta il comunismo ad essere una sorta di fiction. Come dire Communism Will Be Televised (Il comunismo sarà teletrasmesso), magari anche con qualche interruzione pubblicitaria (Richrad Gere in Tibet sulla Lancia?). Insomma per il nuovo comunista occidentale non varrebbe la pena combattere per una società ancora imperfetta ma si dovrebbe esigere subito una sorta di società nientemeno che perfetta. Come ci dice un proverbio latino Spe meliori amittitur bonum, il meglio è nemico del bene. E la ricerca della perfezione porta poi alla assoluta passività, come da copione. In questa versione il comunismo non è che un'altra merce da acquistare al discount della spiritualità.
Giustamente dice Andrea Catone:
Vi è una concezione diffusa, in parte dovuta alla cultura di tipo strutturalista, che vede il passaggio da una società all’altra come una sorta di sostituzione immediata della nuova società alla vecchia. Questo tipo di rappresentazione non appartiene assolutamente alla tradizione marxista, ma credo che sia improponibile anche dal punto di vista storico. Per cui, sia i padri fondatori del marxismo, nel “Manifesto del Partito comunista”, e negli studi successivi, sia poi una ricca, ampia tradizione marxista, che non è soltanto quella leniniana, hanno teorizzato invece la possibilità e la necessità di un passaggio graduale e contraddittorio dalla vecchia alla nuova società [Catone 2001].
Questa posizione è spesso associata ad un'altra altrettanto pericolosa che porta a pensare che il capitalismo possa crollare “motu proprio”:
L'inevitabilità storica del crollo del capitalismo è stato posta come una possibilità che era dietro l'angolo. Questo è stato un grave errore che ha inibito uno studio scientifico concreto dei cambiamenti che si stavano verificando nei paesi capitalisti e il modo in cui c’erano adattamenti per far fronte alle sfide derivanti dal socialismo. In questo processo, il chiaro segnale di allarme dato da Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista è stato ignorato: "la borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione e quindi i rapporti di produzione e che i rapporti con tutta la società" [Yechury 2002].
Il capitalismo ha dimostrato di potere superare le crisi ricorrenti ristrutturandosi e di sapere ancora creare ricchezza. Per questo, come vedremo il capitalismo non è da buttare bensì marxianamente da superare.
Il socialismo secondo l’esperienza cinese non è nemmeno l’operaismo (che fu la versione italiana del trotskismo), il bordighismo, il consigliarismo, il trostkismo e ogni sorta di sogno infranto compreso il marxismo critico occidentale. Certo i dottrinari cercando rifugio in Marx possono asserire che il socialismo è contrario alle categorie di mercato. In astratto non sarebbe sbagliato, ma la storia, la dialettica e la pratica concreta ci portano sempre nuove insidie e queste ci spingono forse ad una comprensione maggiore dello stesso Marx [Jabbour 2005]. Per dire, si può leggere qui e là che dei super rivoluzionari accusano i “burocrati staliniani” di Mao di fare la rivoluzione alla testa del contadiname (invece che del proletariato di pura razza ariana). Sicché mentre i “burocrati” fanno ogni tipo di rivoluzione, i “rivoluzionari” autentici rimangono invece rinchiusi nei loro bureau a criticare le rivoluzioni fatte dagli altri. Inesorabilmente le masse proletarie vengono tradite dai burocrati così come i “rivoluzionari” hanno ben capito stando al calduccio nei loro uffici. La conseguenza inevitabile è che tutti i movimenti di massa sono i ben venuti, tutti coloro che lottano contro i “burocrati staliniani” (Ungheria ’56, Solidarnosc, Tienanmen, Eltsin compreso) sono dei veri rivoluzionari ecc. Tutto questo mentre i dati su trotskisti, bordighisti e comunisti new age che abbiano, non dico guidato una rivoluzione, ma nemmeno uno sciopero di studenti delle scuole medie non sono ancora pervenuti. Ora mentre costoro non solo non hanno mai costruito il socialismo mondiale ma nemmeno il socialismo in un solo quartiere, i comunisti senza nessuna aggettivazione hanno dominato in una terza parte del mondo e tuttora sono il partito di riferimento di quasi un quarto dell’umanità.
Ebbene i comunisti del fare, a differenza dei rivoluzionari chiusi nei loro bureau, fanno. Molto hanno fatto e molto stanno facendo. Hanno imparato dai loro errori, hanno soprattutto una esperienza storica con cui confrontarsi3.
Iginio Polo su Rebelion ha toccato il tasto dolente dell’unanimismo destra-sinistra nella condanna della Cina:
Alcuni osservatori (è curioso) tanto di destra come di sinistra, ritengono che quella realtà si spiega perché la Cina ha adottato il capitalismo. Settori della sinistra occidentale arrivano a parlare della “classe capitalista-burocratica” che, secondo loro si è impadronita del paese. È vero che l’egualitarismo dei tempi di Mao è sparito,… tuttavia, si sbagliano entrambi, come si sbagliò Mao Tse Tung quando dopo la sua rottura con Mosca, denunciò che nell’Unione Sovietica si era stabilito di nuovo il capitalismo: il furto e le privatizzazioni che stabilirono il capitalismo dei banditi Elltsin e Putin, quarant’anni dopo smentirono quell’affermazione di Mao [Polo 2006]
Quella similitudine nelle analisi liberali e di sinistra, si spiega per via di una conoscenza parziale della realtà cinese e per la persistenza di luoghi comuni e dogmi prestabiliti.
Continua poi Polo:
Per alcuni di sinistra che sono arrivati a scrivere che si è passati dal libro rosso al più feroce capitalismo, è difficile accettare molte delle decisioni della Cina: l’investimento straniero, l’apertura alle borse valori, il beneficio privato, l’arricchimento di un piccolo settore della popolazione. Altri, più sensati, ricordano il precedente della NEP sovietica. In realtà, se seguiamo le spiegazioni del Partito Comunista Cinese, quelle iniziative portate dalla riforma possono piacere o no, ma sono una conseguenza di un programma di sviluppo nazionale che non poteva smettere di crescere nel paese più popoloso del mondo. I dirigenti cinesi insistono col dire che l’investimento estero e l’esistenza di un spazio economico in mani private, straniere, sono imprescindibili per migliorare tecnologia e sistemi di lavoro, e per superare la povertà, e ricordano che il settore pubblico continua a controllare la struttura economica del paese. Non sono state privatizzate né imprese pubbliche di settori strategici, né quelle che continuano ad essere redditizie, ed il settore pubblico continua ad essere maggioritario nell’economia cinese [Polo 2006].
Liberazione, organo del PRC, dopo aver denunciato i cinesi perchè ostinatamente vogliono presentare il lato migliore di se, arriva a parlare di “contadini più poveri oggi che venti anni fa [Mar 2007]4 . Sorvoliamo sull’ultima stupidaggine ma non si vede la grande colpa nel presentare il lato migliore di se. Forse se avesse imparato dai cinesi, la sinistra nostrana sarebbe ancora in Parlamento.
Per il viaggio di Bertinotti in Cina, Riccardo Barenghi scrive:
Sarà un doppio strappo con la Cina, anzi triplo. Uno col suo «cosiddetto comunismo», l'altro col suo capitalismo «espanso», il terzo sui diritti umani che non ci sono.(…)I dirigenti di Rifondazione ti dicono che la Cina è riuscita nell'impresa di mettere insieme il peggio dei due regimi, quello comunista e quello capitalista [Barenghi 2005].
Naturalmente poi si attacca con il mantra dei diritti umani formato export come dei qualsiasi commessi viaggiatori dell’ American Way of Life. Come dire “A Berty, faje paura!!!”. Beh, visto però i risultati della passate elezioni in Italia… forse la modestia sarebbe stata più conveniente.
Il principale difetto della sinistra radicale occidentale è il suo eurocentrismo sommato ad una sorta di imperialismo intellettuale [Umpiérrez 2008]:
L’atteggiamento dei “marxisti” nostrani di basa sulla supponenza di chi ha solamente da insegnare e nulla da apprendere, evidenziando da subito un grande – e per certi versi clamoroso - paradosso: in questi ultimi anni nessuno ha fatto parlare direttamente i comunisti cinesi della loro esperienza, delle grandi contraddizioni come delle grandi potenzialità che essa ha determinato, dello stato di un partito che oggi conta 73 milioni di iscritti e 3.500 organizzazioni di base in uno sterminato paese, di come vivono i giovani nelle città e nelle campagne, delle loro speranze e aspettative, delle condizioni di lavoro e di vita in un paese che tra qualche anno faticherà a riconoscere sé stesso. Si ha un po’ l’impressione di parlare della Cina come se i cinesi – con la loro millenaria cultura, le loro tradizioni, le loro articolate esigenze e aspettative – non esistessero: l’ultima, grande inchiesta degna di menzione sulla Repubblica popolare è quella del grande giornalista e scrittore statunitense Edgar Snow – il cantore della Lunga Marcia del 1936 – e risale al 1966 ... Non sarebbe interessante, soprattutto per chi intende tenere viva la discussione teorica e politica intorno alla “transizione al socialismo” dopo la caduta dell’URSS, conoscere di più quella che è stata ed è l’esperienza cinese a partire dalla voce dei protagonisti? La Cina continua ad essere, su questo terreno, lontana anche per noi [Graziosi 2007].
Si compara un socialismo realmente esistente con un socialismo o comunismo solamente pensato. Spesso anche quando si parla di economia pianificata o di democrazia socialista si fa riferimento a dei elementi astratti e non all’esperienza storica accumulata dai comunisti.
Una delle forme di negazione dell’esperienza storica del comunismo sono i vari ritorni a Marx, Rosa Luxemburg ecc. Marx e Engels non sono stati molto espliciti sul socialismo, si rifiutavano di scrivere ricette per la cucine dell’avvenire, sottolineando che non si potesse parlare di un evento futuro se non in linee molto generali. Il ritorno a Lenin è già più problematico giacchè la Russia che Lenin lascia non assomiglia affatto allo stato socialista e collettivista agognato. Molto facile è invece dire che URSS e Cina hanno subito una involuzione verso il capitalismo associando tutto alla categoria molto infantile di “tradimento”. Spesso quando si parla di socialismo in Occidente si pensa, anche se non viene detto, esplicitamente al socialismo staliniano. Il “modello sovietico” si è trasformato in un paradigma spesso inconsapevolmente come il “naturalismo” per i liberali. In realtà come ben sapevano i comunisti italiani delle “vie nazionali al socialismo” il socialismo non si può declinare indipendentemente da una analisi concreta della formazione sociale [Jabbour 2008]5. Per la verità si va oltre il “modello stalinista” e si pensa che il socialismo passi attraverso la nazionalizzazione di ogni cosa che comunque ha poco o nulla a che vedere con quanto detto nè da Stalin, nè tantomeno da Lenin o da Marx. Ma costoro ritengono poi l’URSS affetta da burocratismo, un concetto che spiegando quasi tutto finisce per non spiegare nulla ed è del tutto inefficace nel capire la realtà; inoltre si dice che l'URSS non era una democrazia socialista, un altro concetto del tutto indeterminato.
Note:
1. Cit. in [Lobina 2005]
2. Il problema del socialismo come povertà si è ripresentato con la teoria della decrescita felice. Con esso probabilmente si ripresenterà anche il problema della rivoluzione violenta e della dittatura rivoluzionaria questa volta però contro la classe operaia che sarà verosimilmente quella che vi si opporrà con maggior forza.
3. La versione politically incorrect di questo concetto epistemologico sarebbe “fatti e non pugnette”. Ma sembra sia poco poetica.
4. Si veda il contrasto con questa affermazione di un critico di sinistra della Cina: “La maggior parte delle persone, non solo la classe in ascesa dei milionari, hanno guadagnato sostanzialmente in ragione del notevole aumento della Cina in termini di PIL [Tucker 2007]“
5. Oggi Rolf Berthold ultimo ambasciatore della DDR in Cina sostiene in base all’esperienza storica : “Le esperienze acquisite nello sviluppo della Cina, ma anche in altri paesi socialisti, che ora appartengono di nuovo al sistema capitalista, hanno dimostrato che non era bene che tutta l'economia fosse nelle mani dello stato nella prima fase dello sviluppo socialista. Non è favorevole per la via socialista”[Cannaerts 2004]
Bibliografia
Lobina 2005: Lobina Enrico, La crescita cinese La diminuzione della povertà, la necessità di un approfondimento, 23-10-2005
Catone 2001: Catone, Il problema della transizione in URSS, 3-3-2001
Yechury 2002: Yechury Sitaram, A Review of the Historical Experiences of World Socialism in The 20th Century. Some thoughts, at the International Symposium on World Socialism in the 21st Century., 21-24-10-2002,
Jabbour 2005: Jabbour Elias, O que é socialismo de mercado?, 7-9-2005
Polo 2006: Polo Higinio, Appunti sulla Cina, 14-01-2006
Mar 2007: mar. mazz., Il maquillage olimpico, inizia dalla repressione, 16-10-2007
Tucker 2007: Tucker Noah, How China rises, 4-09- 2007
Barenghi 2005: Barenghi Riccardo, OpenOffice.org 1.1 / StarOffice 7, 7-12-2005
Umpiérrez 2008: Umpiérrez Sánchez Francisco, Algunas verdades elementales sobre el socialismo rea, 6-03-2008
Graziosi 2007: Graziosi Marcello, Le vie inesplorate del “socialismo con caratteristiche cinesi” , La Cina e il 17° Congresso del Partito Comunista, 23/11/2007
Cannaerts 2004: Cannaerts Annemie, La Cina si trova nella fase iniziale del socialismo, 07-01-2004
Jabbour 2008: Jabbour Elias, A China e a Economia Política do socialismo , 11-06-2008