di Annalena Di Giovanni [25/08/2006]
Fonte: Il Manifesto [scheda fonte]


«Non si tratta di un caso di importanza marginale, ma di una questione ramificata sulla quale vi saranno lunghe indagini. L'incidente probatorio si è dimostrato più complicato del previsto.» Questi i primi commenti rilasciati alla stampa israeliana dopo il primo raid lunedì a casa del presidente israeliano Moshe Katsav, accusato di aver costretto una ex-dipendente a ripetuti rapporti sessuali sotto la minaccia di licenziamento. Dopo essersi visto sequestrare computer ed effetti personali lunedì scorso, ieri è giunto per Katzav il momento del primo interrogatorio. Sobrio, amichevole, il presidente si è dichiarato pronto alla piena cooperazione per «chiarire l'incidente», e ieri mattina si è sottoposto a sette ore di interrogatorio.

Un chiarimento per niente semplice: le indagini potrebbero rivelarsi un pericoloso boomerang. Katsav si era personalmente rivolto a Menachem Mazuz, procuratore generale israeliano, per una seri e di minacce telefoniche subite da A., una ex-impiegata, che secondo le sue dichiarazioni lo stava minacciando. Katzav non aveva chiarito su cosa le minacce si basassero, ma nel giro di pochi giorni, con l'incredulità dello stesso Mazuz, Katzav è passato da vittima a imputato. A. ha rilasciato alla stampa una serie di nastri di conversazioni telefoniche (che Katzav ha prontamente ricambiato con nuovi nastri di minacce, chiedendo che vengano resi pubblici) e di lì a poco le accuse della sconosciuta signorina hanno ribaltato l'intera vicenda giudiziaria: il presidente si è ritrovato indiziato col sospetto (per ora è ovviamente soltanto il sospetto, che non porterebbe automaticamente ad un processo poichè il presidente gode dell'immunità parlamentare) di violenza sessuale. Perchè forzare terzi all'intercorso sessuale, ancorchè tramite minaccia verbale, rientrerebbe sotto tale fattispecie giuridica per la legge israeliana.

Ma non è tutto per Katzav. Una questione «ramifi cata»: infatti sul presidente sono cadute nuove drammatiche ! accuse, secondo le quali egli avrebbe garantito grazia ed immunità ad una serie di detenuti previo pagamento. Qualcosa di costituzionalmente più grave del profitto della propria posizione in nome di qualche prestazione extra da parte di una avvente impiegata. A parlare a nome del parlamento israeliano è stata la deputata Ruhama Avraham, ieri, invitando il proprio presidente a «salvare l'onore dell'istituzione presidenziale prendendosi una vacanza». Ma il rischio è che ci sia ben più di una vacanza in serbo per il presidente. Anche se si rifiutasse di dimettersi, la Knesset potrebbe procedere autonomamente. Katzav se la rifà con la polizia, accusandola di ospitare diffamatori intenzionati a spingere il parlamento verso la sfiducia contro di lui. Basterebbe una mozione firmata da 20 parlamentari per far scattare il procedimento, che poi richiederebbe un'ulteriore maggioranza di due terzi, cioè 90 deputati.

Il presidente non è l'unico ad essere nella bufera. Il ministro della gi ustizia Chaim Ramon, dopo due mandati, ha dovuto ieri cedere lo scranno al collega Meir Shetrit, vicino al premier Ehud Olmert e primo ad annunciare il rinvio del Piano di convergenza. Il procuratore Menachem Mazuz lo ha infatti rinviato a giudizio per «assalto indecente» contro una recluta minorenne. Tutto questo mentre Mazuz è indaffarato a illustrare al premier Olmert le possibili soluzioni istituzionali per un'inchiesta sulla guerra libanese che rischia, se non accuratamente contenuta e allontanata dal clamore mediatico, di colpire tutti gli alti ranghi militari israeliani e non solo.
Nel frattempo, il likudnik Netaniahu comincia già a raccogliere reclute per le prossime elezioni: ospite eccellente, il candidato ministro della difesa ed ex-comandante Moshe Ya'alon, presto di ritorno in Israele.