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  1. #181
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    Citazione Originariamente Scritto da sintierra
    C'erano anche i comunisti ...buoni stecchiti

    http://www.corriere.it/Primo_Piano/E...03/lager.shtml
    Secondo il quotidiano inglese, queste persone furono rinchiuse e torturate perchè «sospettate di essere comuniste e perchè erano considerate futuri sostenitori dell'Unione Sovietica». Tra le persone torturate non c'erano solo uomini. Dozzine di donne furono imprigionate e torturate perchè sospettate di essere agenti segreti sovietici. Solo nel campo di concentramento di Bad Nenndorf furono rinchiusi 372 uomini e 44 donne.


    Siete voi che avete una morale tutta speciale per gli USA e Israele...
    i numeri sono modestissimi in confronto alla disseminazione di DNA russo in Germania, e alla pulizia etnica a E dell'Oeder-Neisse
    e poi erano nazisti e comunisti, cosa si doveva farne? metterli allo Sheraton Hotel?

  2. #182
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    Il rischio di un'avventura
    La strategia dalemiana dell'equivicinanza non ci dà garanzie

    C'è almeno una variante incognita a pesare sulla missione dell'Onu in Libano: essa porta il nome del presidente iraniano Ahmadinejad, il quale, appena partite le navi italiane verso Tiro, ha fatto sapere, come per la verità spesso gli è capitato negli ultimi tempi, che il suo pensiero prevede l'estinzione dello Stato d'Israele.

    Tutti sappiamo del legame che salda il movimento sciita di Hezbollah all'Iran: un legame profondo e radicato, ed ogni esternazione violenta o aggressiva che proviene da Teheran è in grado di rinfocolare tensioni fra i miliziani in Libano.



    Avremmo anche ragione di pensare che il governo italiano abbia sufficienti informazioni per sapere di una Hezbollah defatigata da anni di guerra, stremata dall'offensiva israeliana estiva e quindi ben contenta di acquietarsi davanti ad una imponente forza militare occidentale che non si dimostri ostile ma, anzi, ben disposta a lasciarla costituzionalizzarsi nell'esercito libanese. Sarebbe questo uno scenario che consentirebbe al Partito di Dio di integrarsi senza del tutto sparire, e domani, chissà. Ma i proclami truculenti del leader iraniano possono provocare effetti diversi ed imprevisti.

    Soprattutto in Israele, che con simili vicini, abbiamo visto, non può dormire certo sonni tranquilli. Non è un caso che il governo di Gerusalemme, alla richiesta del segretario dell'Onu Kofi Annan di allentare il blocco aereo navale in Libano, abbia risposto di no, per lo meno fino a quando non sarà pienamente applicata la risoluzione 1701 dell'Onu stessa, che prevede, fra l'altro, la smilitarizzazione delle milizie sciite. Vi è anche un altro problema che pesa sulla missione: quello relativo ai soldati israeliani rapiti, di cui Annan ha chiesto il rilascio. Notiamo che si tratta di due domande poste direttamente dal principale esponente dell'Onu ai due contendenti in Libano, che sono ancora rimaste inevase. Ciò, per ora, non consente di ben sperare.

    Di fatto, il nostro contingente militare si troverà schierato in una zona di guerra in cui le condizioni di armistizio non sono state ancora realizzate. E anche se la nostra diplomazia è stata abile a guadagnarsi rassicurazioni da entrambi i fronti, le condizioni sono tali che queste potrebbero non bastare. Bisognerebbe infatti capire cosa convenga all'Iran, che sta conducendo una difficilissima partita sul nucleare con la comunità internazionale e cosa conviene ad Israele, che continua a subire una minaccia. I paesi che hanno inviato le loro truppe sul campo possono sperare che Ahmadinejad alzi la voce perché non in possesso delle forze per dare atto a tali propositi distruttivi. Ma non avranno una certezza in tal senso fin quando la missione dell'Onu non sarà schierata interamente. E se mai invece davvero Teheran incitasse ad una ripresa delle ostilità, ancora dobbiamo capire cosa faranno le forze Onu se i miliziani di Hezbollah dovessero tornare nella zona loro proibita per colpire Israele.

    "Se sarete morbidi con Hezbollah", dice all'Italia l'ex sottosegretario alla difesa statunitense Richard Perle, peggiorerete i rapporti con Washington * per non parlare di Israele * ma se invece ci mostrassimo "duri", quali diverrebbero i nostri rapporti con Teheran? Come si vede, la cosiddetta equivicinanza dalemiana non paga, e trovarsi troppo vicini a due eserciti fra loro belligeranti, può comportare, come del resto lo stesso governo italiano ammette, rischi altissimi, senza nemmeno bisogno di citare le informative dei servizi su supposte attività di al Qaeda, come ha fatto il presidente della Commissione Difesa del Senato, De Gregorio.

    Il rischio per noi maggiore non è quello di vedere i soldati italiani presi fra due fuochi. Ciò sarebbe pur sempre inerente alla missione di interposizione. Peggiore sarebbe invece vederli fra due fuochi senza sapere cosa fare, come sovente è successo ai militari spiegati dall'Onu, e come in Libano potrebbe nuovamente accadere. Nel desiderio smodato di una nuova politica estera italiana, di proclamare conclusa l'epoca dell'unilateralismo americano per aprire una nuova pagina europea, ci sembra che non si sia soppesata fino in fondo la particolarità di questa situazione, tale da far apparire la nostra spedizione armata come l'inizio di una avventura.

    Roma, 30 agosto 2006



    tratto dal sito del Partito Repubblicano
    http://www.pri.it


  3. #183
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    http://today.reuters.it/news/newsArt...O.XML&ImageID=

    D'Alema: se Siria porta armi in Libano non staremo a guardare
    mercoledì, 30 agosto 2006 6.22 171
    Versione per stampa


    ROMA (Reuters) - Il ministro degli Esteri Massimo D'Alema ha chiesto oggi al governo siriano di collaborare con la missione Onu in Libano, avvertendo che, nel caso in cui Damasco cercasse di esportare armi nel Paese confinante, la comunità internazionale "non starà a guardare".

    "Anche i siriani devono sapere che, se dalla Siria arrivano armi in violazione della risoluzione 1701 dell'Onu, la comunità internazionale questo lo saprà e non starà a guardare", ha dichiarato D'Alema in un'intervista a Baobab, un programma di Rai Radio 1.

    "Alla Siria - ha aggiunto il ministro - chiediamo cooperazione".

    Siria e Iran vengono accusati da Israele, Usa e altri paesi di rifornire di armi i guerriglieri sciiti Hezbollah, contro cui gli israeliani hanno combattuto per oltre un mese prima che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu imponesse un cessate-il-fuoco.

    L'intervista radiofonica ha toccato i temi più caldi del Medio Oriente, compresa la questione nucleare iraniana.

    A questo proposito, D'Alema ha precisato che, anche se si deve evitare che Teheran arrivi ad avere armi nucleari, lo sviluppo di energia nucleare a scopi pacifici da parte del paese del Golfo potrebbe essere tollerato e assecondato.

    "Se l'Iran lavora per avere l'energia nucleare a fini pacifici, allora ci potrà essere collaborazione", ha detto il capo della diplomazia italiana.

    Mentre i politici si impegnano per favorire la difficile missione delle truppe che opereranno sotto la bandiera delle Nazioni Unite, ieri un primo contingente di militari italiani - circa 2.150 in tutto - sono partiti per il Libano a bordo di cinque navi.

    Venerdì circa 800 soldati 800 sbarcheranno nella zona di Tiro, e domenica ne arriveranno altri per un totale di circa mille che prenderanno parte all'Operazione Leonte, una missione che ieri il presidente del Consiglio Romano Prodi ha definito "di enorme portata storica" e a cui è favorevole il 51% degli italiani, secondo un sondaggio diffuso oggi.


    SI CONFERMA UN SALTIMBANCO, UN "QUI LO DICO E QUI LO NEGO"

  4. #184
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    Io intanto aspetto ancora una risposta sulla terrra e sulle targhe

  5. #185
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    poche balle, Nasrallah sì è pentito, e se lo dice lui....

  6. #186
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    Volano i dirigibili, navigano i sommergibili


  7. #187
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    Tiro al piccione


  8. #188
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    «Italia benvenuta, ma non disarmiamo» Sul luogo della strage dei bimbi: «Vi rispettiamo perché vi siete allontanati dagli Usa» STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO
    DAL NOSTRO INVIATO

    CANA — Il luogo della strage è diventato un monumento. Un grido, un monito, una minaccia contro «il nemico sionista» e i «suoi alleati americani». Dove, nella notte tra il 29 e 30 luglio si consumava il massacro più noto dei 33 giorni di battaglia tra Hezbollah e Israele, oggi si va in pellegrinaggio. Nella piazzetta a un centinaio di metri dall'edificio colpito dai missili israeliani, in cui morirono i membri delle famiglie Shalub e Hashem, è stata costruita una grande piattaforma in cemento grezzo con 28 cippi sormontati da una corona di fiori, le foto delle vittime, il nome e l'età. Per lo più bambini piccoli, come allora venne ripetuto all'infinito dai militanti del «Partito di Dio».

    Di fronte alle tombe dei civili, sotto la stessa piattaforma, sono stati interrati anche due shahib, come qui vengono definiti i «martiri» morti in combattimento. Sono Mahmud Ibrahim Hashem e Hassan Shalub, entrambi poco più che ventenni. Le loro foto, in cui sono ritratti in mimetica, con le barbe lunghe e il basco nero in testa, contrastano con quelle dei bambini con i vestitini sgargianti. Ma non importa: per chi viene a pregare, piangere e chiedere vendetta a Allah perché «cancelli presto Israele dalla faccia della Terra», in realtà tutti questi morti sono «martiri» allo stesso modo. Il monumento, questa strana calma tra le macerie dopo tanta paura e violenza, l'aria resa già limpida dal languore autunnale tra le colline del sud Libano, le bandiere gialle e verdi di Hezbollah appese ovunque, sono tutti fattori che nell'immaginario collettivo servono a unire combattenti e bambini, soldati e civili, in un'unica catena di «resistenti» contro il nemico.

    Torniamo a Cana mentre i mezzi del contingente italiano Onu percorrono le colline attorno per raggiungere la loro base designata. Cosa pensano degli italiani in questa che è considerata la roccaforte storica dell'Hezbollah? Vicino alle tombe, la prima a rispondere è una donna velata, pallida, ancora giovane, professoressa di inglese. «Ma a che ci servono gli italiani, o i francesi? Nulla. Sono quasi trent' anni che l'Unifil opera tra noi. E non è mai stato capace di fermare i crimini di Israele. Perché dovremmo credere a questa nuova forza di pace?», grida rabbiosa. Un'amica le consiglia di non dire il suo nome.

    «Smettila, non parlare. Questo è una spia sionista. Tutti gli stranieri sono sospetti. Non ti ricordi quello che si presentava come un inglese e invece era un giornalista israeliano del Jerusalem Post? », dice.

    Ma è solo una voce. Il pensiero più diffuso tra l'Hezbollah è che comunque gli italiani sono «più che benvenuti», figli di un Paese che, «grazie al fatto che Prodi ha preso il posto di Berlusconi», è tornato a essere «molto vicino alla causa araba». Lo esprimono bene un gruppo di leader religiosi sciiti riuniti sulla terrazza di un'abitazione vicina al monumento. Tra loro anche cinque imam, considerati l'autentico corpo dirigente del movimento, i suoi ideologi locali e i portavoce. «Abbiamo seguito con grande soddisfazione il cambio di governo nel vostro Paese. Berlusconi aveva stravolto la politica estera italiana, l'aveva resa schiava degli americani. Prodi ci capisce.

    D'Alema è un uomo di cuore, la sua visita nei quartieri meridionali di Beirut assieme ai deputati di Hezbollah ci ha aperto gli occhi. Benvenuti gli italiani in Libano!», esclama Mohammad Yassin, 56 anni, imam nel vicino villaggio di El-Abassieh. «Non dovete aver alcun timore per gli italiani tra noi. Nessuno torcerà mai loro un capello. Prodi ha anche avuto il coraggio di criticare la politica americana contro l'Iran e si è guadagnato il nostro massimo rispetto», aggiunge Kamal Rahaiel, a sua volta imam di Aitah Ash Shaab, uno dei villaggi lungo il confine più devastato dai combattimenti.

    Tutti concordano che il loro movimento sta in questo momento privilegiando la politica sulle armi. «Non vogliamo combattere. Ora si apre la fase politica», dicono. Però aggiungono: «Ma non disarmeremo. Non ora. Non sino a quando Israele resta in Libano».


    Lorenzo Cremonesi
    05 settembre 2006

    http://www.corriere.it/Primo_Piano/E...remonesi.shtml

    -----------

    L'Italia agisce per conto dell Europa e dell ONU. La differenza con l'America stà essenzialmente nella metodologia. Poi, la democrazia esalta la saggiezza, quando la incontra.

 

 
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