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    Predefinito Fascismo, Fascismi e Neofascisti: da "Rinascita"


    25 aprile 1945, piazzale Loreto. La fine del Fascismo repubblicano e sociale, la fine di Mussolini, la fine di un’era. Sono passati oltre 60 anni da quel giorno, ma molti non sono ancora usciti dalla “sindrome” del 25 aprile. Molti, troppi anzi, hanno visto quel giorno come un punto di “non ritorno” e non come la tappa della vita di un’idea, di un pensiero, di un’ideologia, di un modo di essere. La seconda guerra mondiale ha visto la caduta dei fascismi, ma non la scomparsa delle loro anime. L’ideale mussoliniano-gentiliano, alla base del Fascismo italiano, ha continuato a vivere nei cuori di molti, ieri come oggi. Nel Fascismo di ieri vi sono state varie correnti: dai monarchici ai nazionalisti, dai cattolici ai socialisti, dai “borghesi” agli squadristi; anche dopo ce ne saranno tante, che prenderanno vie diverse, spesso opposte. Allora c’erano tante forze che lavoravano all’interno di un solo organismo, per un solo fine, tenute insieme da un mirabile direttore d’orchestra. Finito quel mondo – per alcuni fatto esplodere, per altri imploso, per altri ancora abbattuto “a mazzate” – ci si è trovati in un altro mondo, dove l’Italia aveva perso tante cose di quelle che si era guadagnate ma, in compenso, ne aveva ricevute molte altre. Ma le condizioni storiche erano mutate e così ci si è ritrovati a fare i conti con quel che era rimasto, umanamente e idealmente. Vi era un’eredità storica, umana, ideologica: chi ne era l’erede, il detentore? Cosa tenere? Come comportarsi? È un dibattito che divide ancora oggi. Alla fine del 1946 nacque il Movimento Sociale Italiano, dopo l’amnistia generale di Togliatti, che liberò le galere dai tanti fascisti e presunti tali. Fra “sfilate”, parate, cerimonie e saluti romani il MSI riuscì ad inserirsi nella vita politica italiana, istituzionalizzando certe tendenze, domandone molte altre, ingabbiandone diverse. Da partito di ispirazione fascista, composto innegabilmente da fascisti, si prese la strada destrorsa, con forti accenti nazionalisti, anche borghesi. C’era la guerra fredda, appoggiare l’America era una “scelta obbligata”, sempre che si ritenga obbligatorio schierarsi a tutti i costi. Evidentemente è un “vizio di famiglia”. Iniziano strani giochi di potere, collaborazioni più o meno lecite, strane casualità ed il carattere sociale e “rivoluzionario” del partito inizia a scemare: il potere, i soldi, possono uccidere gli ideali. Così molti iniziano ad uscire, si tenta di battere quelle vie extraparlamentari, rivoluzionarie, che vogliono essere avanguardie giovanili e dinamiche. Molti i fermenti positivi e vitali di un’area che, per quanto vessata, non china mai il capo. Nemmeno quando iniziano a moltiplicarsi gli scontri, ad uscire i morti. Fra i giovani “camerati” non si perde mai la voglia di cambiare il mondo, combattere per quello in cui si crede, confidando nell’onestà e nella pulizia morale di chi li comanda. Sono gli anni bui, repressivi, tristi: sono gli anni dei neofascisti. Fra una strage vera ed una presunta, fra interminabili processi, arresti, reati d’opinione, esili più o mento volontari, vite stroncate e tradimenti vari si arriva alla fine dei cosiddetti “anni di piombo”, anni in cui il clima delle guerra civile del 1943-1945 sembrava davvero non essere cessato. Distrutto, da dentro e da fuori, un ambiente che aveva convogliato il meglio della gioventù non omologata al sistema, rimane un’eredità costante, una missione. Si placano gli animi, passano gli anni, ma il dibattito storico ed ideologico non riesce ad essere mai obiettivo. Usati e poi gettati, i movimenti ed i personaggi del tormentato venticinquennio che va dal 1959 al 1983, vengono alla ribalta altre realtà associative, altra gente meno compromessa. Passa il tempo, cambia l’Italia: ci si trasforma sempre più in una realtà globale, consumistica, in una società dell’immagine, della comunicazione. Cambia anche la realtà degli altri paesi, cambia il modo di veicolare messaggi ed i punti di aggregazione. Solo il MSI resiste, constante nella sua presenza, costellata anche da discreti successi, ma sempre su una via che non è quella fascista. Un’idea sconvolgente inizia a balenare nelle menti degli “addetti ai lavori”: il partito ha usato i fascisti per renderli inoffensivi per il sistema antifascista vigente, è stato tradito l’ideale primigenio. E così, al momento della definitiva chiarificazione in merito (anni ’90), che purtroppo confermava l’idea dei più, inizia una diaspora che pare non avere fine. Tante realtà in questi anni, tanti modi diversi di vedere la vita e rapportarsi ad essa, ma un denominatore comune: nulla o poco più di realmente positivo è stato raggiunto. Ma a prescindere dalle divergenze ideologiche che hanno sempre diviso l’ambiente nazionalpopolare – così lo si suole chiamare in modo “politicamente corretto” – per questioni dottrinarie o storiche, esse non costituiscono, di per sé, il male maggiore. Quello che, a mio avviso, affligge maggiormente questa area è il rapporto con il suo passato, remoto e prossimo, proprio ora che si potrebbe – e dovrebbe – aver maturato un certo distacco, una lucida capacità di analisi e di superamento, come tante volte la si invoca per i “nemici”, che ancor oggi vedono fascisti ovunque. Da troppo tempo si è voluto rincorrere un passato che ogni giorno era più lontano; da troppo tempo la scena è stata dominata dai soliti personaggi dall’immagine oramai bruciata; da troppo tempo si pensa a come rapportarsi col sistema, quali siano gli indirizzi ideologicamente corretti, quali siano i dogmi da cui non ci si può distaccare, mentre il mondo cambia sempre più velocemente e si scorda di noi; da troppo tempo si fanno processi interni, alle azioni o alle intenzioni, favorendo la divisione all’unione; da troppo tempo ci si è limitati ad una sterile ri-proposizione di idee e modi vincenti al loro tempo, adeguati a certe situazioni, ma superati dai nuovi eventi; da troppo tempo si è assistito passivamente alle gesta altrui, senza essere capaci di proporre nulla di nuovo, comunicare cose diverse, essere alternativa. Solo posizioni di protesta, di allontanamento, di rifiuto: la costruzione di un ghetto in cui inserirsi, un mondo “artificiale” a cui solo pochi iniziati sono ammessi, dove si coltiva il culto della nostalgia ed i ricordi dei bei tempi antichi, di fogazzariana memoria. E il distacco dalla realtà aumenta, costellata di attentati, uccisioni, stragi come segni di protesta – ripeto: vere o presunte – o di manifesta impotenza e di gente che per attuare la “terza via” ha deciso di dar voce alle armi e alla violenza, in uno scontro – per forza di cose – sempre impari. Non è questa la “bella morte” cantata da Pavolini o la realizzazione delle ultime volontà del Duce. Ma l’errore più grave fu sicuramente quello di addossarsi ed incarnare i più appariscenti e vuoti emblemi di un tempo che la società avrebbe voluto condannare alla damnatio memoriae, finendo per dare al mondo quell’immagine che il mondo anti-fascista voleva che fosse data al fascismo. Bando alla socializzazione, al corporativismo, agli ideali spirituali che questa società dimentica, bando alle proposte coraggiose in campo economico e sociale, bando allo studio della società di oggi, per cercare di essere agenti attivi ed operosi, protagonisti del proprio tempo, assumendo quel ruolo che deve spettarci. Sì invece a parate, camice nere, gagliardetti, labari, commemorazioni, distintivi e mere iniziative di protesta e incondizionata fiducia in quell’imprecisato domani, che sicuramente ci appartiene, ma che non arriva mai. Una minoranza che accetta di fare la minoranza, con accenti folcloristici quando capita. Un atteggiamento sicuramente comodo per chi abbia voluto neutralizzare un ambiente, delle spinte sociali senz’altro pure e positive, per chi abbia voluto pilotare e rendere inoffensiva un’idea che ad oggi, fa ancora molta paura. Già, è questo un punto dolente: chi può generare un modello alternativo a questo che ci hanno imposto, ed a cui ci siamo supinamente adattati, fa paura. E non si parla di dittatura, ma di stato etico, stato sociale, diritti garantiti per tutti: l’antitesi della realtà attuale. Parlando di queste cose si finisce inevitabilmente per toccare una miriade di argomenti che meriterebbero trattazioni specifiche, argomenti molto complessi e molto scottanti, perché un tale andazzo di cose ha giovato a molta gente che, ieri come oggi, non si trova certo dentro ad una bara o in galera come molti dei giovani che ha usato, ma in ben altre altolocate posizioni. Ma questa è un’altra storia. Oggi la nostra prospettiva deve essere rivolta al domani, senza rinnegare, senza dimenticare ma imparando a vivere il nostro tempo, a capire il mondo in cui viviamo, a comprendere che il nostro passato deve essere una base di partenza, non un punto di arrivo. Perché a noi, quel suffisso “-neo” non piace, ci ricorda tempi passati, densi di eventi ancora poco chiari. Se la pessima situazione odierna è figlia di quella io, francamente, vorrei archiviarla, come modi di agire, di essere, di pensare. Guardiamo sì a ieri, ai successi e alle sconfitte, ma guardiamoci da chi ripropone lo stesso insieme, con fini reconditi e scelte non chiare. Perché noi vogliamo e dobbiamo lottare per essere una vera realtà alternativa, capire l’oggi e prevedere il domani, affinché sin da oggi possiamo davvero essere sempre domani!

  2. #2
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    Salvato lo leggerò con calma appena avrò un attimino.

  3. #3
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    Reggio Emilia: Triangolo Rosso. Ma con sangue partenopeo dunque ellenico, dunque aryo
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    straquoto
    Rinascita: il giornale più bello he c'è

  4. #4
    In alto i cuori camerati
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    Questo sarebbe da mandare a tutti quei capi "tribu"

  5. #5
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    già

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da anconanera
    Questo sarebbe da mandare a tutti quei capi "tribu"
    Del tipo?

  7. #7
    f.n.fano
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    Citazione Originariamente Scritto da MNS Lazio
    25 aprile 1945, piazzale Loreto. La fine del Fascismo repubblicano e sociale, la fine di Mussolini, la fine di un’era. Sono passati oltre 60 anni da quel giorno, ma molti non sono ancora usciti dalla “sindrome” del 25 aprile. Molti, troppi anzi, hanno visto quel giorno come un punto di “non ritorno” e non come la tappa della vita di un’idea, di un pensiero, di un’ideologia, di un modo di essere. La seconda guerra mondiale ha visto la caduta dei fascismi, ma non la scomparsa delle loro anime. L’ideale mussoliniano-gentiliano, alla base del Fascismo italiano, ha continuato a vivere nei cuori di molti, ieri come oggi. Nel Fascismo di ieri vi sono state varie correnti: dai monarchici ai nazionalisti, dai cattolici ai socialisti, dai “borghesi” agli squadristi; anche dopo ce ne saranno tante, che prenderanno vie diverse, spesso opposte. Allora c’erano tante forze che lavoravano all’interno di un solo organismo, per un solo fine, tenute insieme da un mirabile direttore d’orchestra. Finito quel mondo – per alcuni fatto esplodere, per altri imploso, per altri ancora abbattuto “a mazzate” – ci si è trovati in un altro mondo, dove l’Italia aveva perso tante cose di quelle che si era guadagnate ma, in compenso, ne aveva ricevute molte altre. Ma le condizioni storiche erano mutate e così ci si è ritrovati a fare i conti con quel che era rimasto, umanamente e idealmente. Vi era un’eredità storica, umana, ideologica: chi ne era l’erede, il detentore? Cosa tenere? Come comportarsi? È un dibattito che divide ancora oggi. Alla fine del 1946 nacque il Movimento Sociale Italiano, dopo l’amnistia generale di Togliatti, che liberò le galere dai tanti fascisti e presunti tali. Fra “sfilate”, parate, cerimonie e saluti romani il MSI riuscì ad inserirsi nella vita politica italiana, istituzionalizzando certe tendenze, domandone molte altre, ingabbiandone diverse. Da partito di ispirazione fascista, composto innegabilmente da fascisti, si prese la strada destrorsa, con forti accenti nazionalisti, anche borghesi. C’era la guerra fredda, appoggiare l’America era una “scelta obbligata”, sempre che si ritenga obbligatorio schierarsi a tutti i costi. Evidentemente è un “vizio di famiglia”. Iniziano strani giochi di potere, collaborazioni più o meno lecite, strane casualità ed il carattere sociale e “rivoluzionario” del partito inizia a scemare: il potere, i soldi, possono uccidere gli ideali. Così molti iniziano ad uscire, si tenta di battere quelle vie extraparlamentari, rivoluzionarie, che vogliono essere avanguardie giovanili e dinamiche. Molti i fermenti positivi e vitali di un’area che, per quanto vessata, non china mai il capo. Nemmeno quando iniziano a moltiplicarsi gli scontri, ad uscire i morti. Fra i giovani “camerati” non si perde mai la voglia di cambiare il mondo, combattere per quello in cui si crede, confidando nell’onestà e nella pulizia morale di chi li comanda. Sono gli anni bui, repressivi, tristi: sono gli anni dei neofascisti. Fra una strage vera ed una presunta, fra interminabili processi, arresti, reati d’opinione, esili più o mento volontari, vite stroncate e tradimenti vari si arriva alla fine dei cosiddetti “anni di piombo”, anni in cui il clima delle guerra civile del 1943-1945 sembrava davvero non essere cessato. Distrutto, da dentro e da fuori, un ambiente che aveva convogliato il meglio della gioventù non omologata al sistema, rimane un’eredità costante, una missione. Si placano gli animi, passano gli anni, ma il dibattito storico ed ideologico non riesce ad essere mai obiettivo. Usati e poi gettati, i movimenti ed i personaggi del tormentato venticinquennio che va dal 1959 al 1983, vengono alla ribalta altre realtà associative, altra gente meno compromessa. Passa il tempo, cambia l’Italia: ci si trasforma sempre più in una realtà globale, consumistica, in una società dell’immagine, della comunicazione. Cambia anche la realtà degli altri paesi, cambia il modo di veicolare messaggi ed i punti di aggregazione. Solo il MSI resiste, constante nella sua presenza, costellata anche da discreti successi, ma sempre su una via che non è quella fascista. Un’idea sconvolgente inizia a balenare nelle menti degli “addetti ai lavori”: il partito ha usato i fascisti per renderli inoffensivi per il sistema antifascista vigente, è stato tradito l’ideale primigenio. E così, al momento della definitiva chiarificazione in merito (anni ’90), che purtroppo confermava l’idea dei più, inizia una diaspora che pare non avere fine. Tante realtà in questi anni, tanti modi diversi di vedere la vita e rapportarsi ad essa, ma un denominatore comune: nulla o poco più di realmente positivo è stato raggiunto. Ma a prescindere dalle divergenze ideologiche che hanno sempre diviso l’ambiente nazionalpopolare – così lo si suole chiamare in modo “politicamente corretto” – per questioni dottrinarie o storiche, esse non costituiscono, di per sé, il male maggiore. Quello che, a mio avviso, affligge maggiormente questa area è il rapporto con il suo passato, remoto e prossimo, proprio ora che si potrebbe – e dovrebbe – aver maturato un certo distacco, una lucida capacità di analisi e di superamento, come tante volte la si invoca per i “nemici”, che ancor oggi vedono fascisti ovunque. Da troppo tempo si è voluto rincorrere un passato che ogni giorno era più lontano; da troppo tempo la scena è stata dominata dai soliti personaggi dall’immagine oramai bruciata; da troppo tempo si pensa a come rapportarsi col sistema, quali siano gli indirizzi ideologicamente corretti, quali siano i dogmi da cui non ci si può distaccare, mentre il mondo cambia sempre più velocemente e si scorda di noi; da troppo tempo si fanno processi interni, alle azioni o alle intenzioni, favorendo la divisione all’unione; da troppo tempo ci si è limitati ad una sterile ri-proposizione di idee e modi vincenti al loro tempo, adeguati a certe situazioni, ma superati dai nuovi eventi; da troppo tempo si è assistito passivamente alle gesta altrui, senza essere capaci di proporre nulla di nuovo, comunicare cose diverse, essere alternativa. Solo posizioni di protesta, di allontanamento, di rifiuto: la costruzione di un ghetto in cui inserirsi, un mondo “artificiale” a cui solo pochi iniziati sono ammessi, dove si coltiva il culto della nostalgia ed i ricordi dei bei tempi antichi, di fogazzariana memoria. E il distacco dalla realtà aumenta, costellata di attentati, uccisioni, stragi come segni di protesta – ripeto: vere o presunte – o di manifesta impotenza e di gente che per attuare la “terza via” ha deciso di dar voce alle armi e alla violenza, in uno scontro – per forza di cose – sempre impari. Non è questa la “bella morte” cantata da Pavolini o la realizzazione delle ultime volontà del Duce. Ma l’errore più grave fu sicuramente quello di addossarsi ed incarnare i più appariscenti e vuoti emblemi di un tempo che la società avrebbe voluto condannare alla damnatio memoriae, finendo per dare al mondo quell’immagine che il mondo anti-fascista voleva che fosse data al fascismo. Bando alla socializzazione, al corporativismo, agli ideali spirituali che questa società dimentica, bando alle proposte coraggiose in campo economico e sociale, bando allo studio della società di oggi, per cercare di essere agenti attivi ed operosi, protagonisti del proprio tempo, assumendo quel ruolo che deve spettarci. Sì invece a parate, camice nere, gagliardetti, labari, commemorazioni, distintivi e mere iniziative di protesta e incondizionata fiducia in quell’imprecisato domani, che sicuramente ci appartiene, ma che non arriva mai. Una minoranza che accetta di fare la minoranza, con accenti folcloristici quando capita. Un atteggiamento sicuramente comodo per chi abbia voluto neutralizzare un ambiente, delle spinte sociali senz’altro pure e positive, per chi abbia voluto pilotare e rendere inoffensiva un’idea che ad oggi, fa ancora molta paura. Già, è questo un punto dolente: chi può generare un modello alternativo a questo che ci hanno imposto, ed a cui ci siamo supinamente adattati, fa paura. E non si parla di dittatura, ma di stato etico, stato sociale, diritti garantiti per tutti: l’antitesi della realtà attuale. Parlando di queste cose si finisce inevitabilmente per toccare una miriade di argomenti che meriterebbero trattazioni specifiche, argomenti molto complessi e molto scottanti, perché un tale andazzo di cose ha giovato a molta gente che, ieri come oggi, non si trova certo dentro ad una bara o in galera come molti dei giovani che ha usato, ma in ben altre altolocate posizioni. Ma questa è un’altra storia. Oggi la nostra prospettiva deve essere rivolta al domani, senza rinnegare, senza dimenticare ma imparando a vivere il nostro tempo, a capire il mondo in cui viviamo, a comprendere che il nostro passato deve essere una base di partenza, non un punto di arrivo. Perché a noi, quel suffisso “-neo” non piace, ci ricorda tempi passati, densi di eventi ancora poco chiari. Se la pessima situazione odierna è figlia di quella io, francamente, vorrei archiviarla, come modi di agire, di essere, di pensare. Guardiamo sì a ieri, ai successi e alle sconfitte, ma guardiamoci da chi ripropone lo stesso insieme, con fini reconditi e scelte non chiare. Perché noi vogliamo e dobbiamo lottare per essere una vera realtà alternativa, capire l’oggi e prevedere il domani, affinché sin da oggi possiamo davvero essere sempre domani!
    .....certo su due piedi non si può cercare di inserire un discorso,ma ci che qui si legge la cosa è molto chiara.dico solo questo:dobbiamo agrire in continuazione con solo la nostra forza senza appoggi.non facile ma si può e si deve fare.a noi

  8. #8
    schwarzewolf
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    Citazione Originariamente Scritto da f.n.fano
    .....certo su due piedi non si può cercare di inserire un discorso,ma ci che qui si legge la cosa è molto chiara.dico solo questo:dobbiamo agrire in continuazione con solo la nostra forza senza appoggi.non facile ma si può e si deve fare.a noi
    Studi con Saveriuzzu?

  9. #9
    FASCISTA SU MARTE
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    castelli romani anti americani!www.ilrichiamodelcorno.splinder.com
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    posso fare una domanda?quanti di voi credono all'unificazione dell'area?cioè,quanti di voi credono che un giorno i camerati torneranno a marciare sotto la stessa bandiera?

  10. #10
    die Vernichtung
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    Citazione Originariamente Scritto da ORGOGLIOdelLUPO
    posso fare una domanda?quanti di voi credono all'unificazione dell'area?cioè,quanti di voi credono che un giorno i camerati torneranno a marciare sotto la stessa bandiera?
    DiDestra e Sognatore, tra i forumisti mi sa...

 

 
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