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  1. #11
    Nimmo
    Ospite

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    Buoni Mussulmani o Mussulmani "Buoni"?

    (…e poi ci sono quelli …così…così…) [Pisanu dixit]

    Recentemente il ministro dell’Interno Beppe (Giuseppe?) Pisanu di Forza Italia ha dichiarato che intende "aprire un dialogo” (leghisti permettendo- nota nostra) con l’Islam italiano o meglio l’Islam in Italia. E’ infatti da tempo giacente alla Camera la legge sulla libertà di culto per le religioni non cattoliche dell’on. Valdo Spini (che, come da nome, è valdese). La diessina Turco (potenza dei nomi!) benedice l’iniziativa finalmente bipartisan. A prescindere dalle implicazioni di culto e di diritto (per esempio familiare) è evidente che la questione avrebbe un bel risvolto economico, se governo ed associazioni islamiche varie si accorderanno sull’ 8/1000 della dichiarazione delle tasse, finora appannaggio di cattolici, ebrei, e qualche chiesa protestante.

    Ma chi VERAMENTE rappresenta l’Islam in Italia, cioè una religione senza papi o gerarchie universalmente riconosciute? Il suddetto ministro condiziona appunto il riconoscimento della seconda religione in Italia per numero di adepti alla connotazione politica dei mussulmani: si tratta solo con i “moderati” non con gli "estremisti e fondamentalisti" e questo per emarginare i terroristi!!! Singolare richiesta quella di accertare la “moderazione” (anche la “morigeratezza”?) o meno dei fedeli del Corano e di Allah… Dato che, sempre ed ovunque nella storia, religione e politica sono andate a braccetto, come mai gli stessi requisiti non furono richiesti a cattolici, protestanti ed ebrei? Chi si riconosce nello stato di Israele e nella politica di Sharon ha diritto o no al riconoscimento di Pisanu? Domanda retorica, ovviamente. Insomma essere BUONI MUSSULMANI non basta più, bisognerà essere anche MUSSULMANI BUONI, con tanto di patente governativa. E chi deciderà il “chi sì, chi no” di una moderata lettura coranica (e forse un domani anche cranica /mussulmani dolicocefali o brachicefali? ) Potremmo chiedere, per esempio, al leghista Calderoli di far da arbitro visto che lui, imparzialmente, mette tutti i mussulmani alla pari [della serie: “un calcio in c…e via!]. I vincitori sarebbero "unti", "battezzati", con qualche goccia di sacra acqua del Dio Po.

    Anche noi, nel nostro piccolo, vogliamo contribuire alla lodevole iniziativa pisana, offrendo una personale “pagella islamica” politically [in]correct, che ricaviamo dai nomi e dalle sigle pubblicati dalla stampa. Partendo dai cattivi, con pessimi voti, a salire:

    Unione dei mussulmani d’Italia = CATTIVISSIMI!
    Sono infatti quelli di Adel Smith assurto agli onori (?) della cronaca per le due aggressioni subite in diretta TV da parte di Pelanda e dei catto-sionisti. Uno che dichiara che Israele non ha diritto di esistere in Palestina, che dietro l’11 settembre c’è lo zampino dell’Amministrazione Bush, che Gesù non è morto in croce (tutti i mussulmani lo pensano, ma lui ha il cattivo gusto di dirlo e scriverlo) ecc…ecc… Insomma loro - cattivissimi. NIENTE SOLDI!

    ICI (Istituto Culturale Islamico) E’ quello di via Jenner a Milano, già inquisito da “Servizi” vari perché sospettato di “relazioni pericolose” col Radicalismo islamico internazionale. Insomma: SOLDI?!? Ah! Ah!…SCORDATEVELI!

    UCOII (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) = CATTIVELLI. Il segretario Hamza Piccardo ex compagno convertito. Piccardo è quello degli “epici” scontri televisivi con Gad Lerner. Pro-palestinese ed anti-americano, ma anche critico verso i succitati. Ultimamente, sempre a sentir la stampa, avrebbero dichiarato di voler collaborare mostrando “lealtà allo stato e alle istituzioni”. Hoibò! Ciò vuol forse dire che prima eran stati SLEALI contro entrambe ?!? E ha, pure, l'Hamza, pessime frequentazioni, con “estremisti di destra e di sinistra”, convertiti o no (all’Islam, non …alle istituzioni). Comunque... SOLDI…vedremo…sarà dura…!

    COREIS (Comunità religiosa islamica italiana)=“Comunità mistica” (?) ci dicono i soliti informati azzeccagarbugli della stampa. Solo convertiti islamici “doc”, diffidare delle imitazioni, etichetta di garanzia. Sheikh Pallavicini li guida quasi sicuramente al porto dell’8 per mille. Lui... BUONO = piccola fetta grana.

    Lega mussulmana mondiale - sez. Italia. = Sede alla Mecca, quale miglior garanzia? Presidente ne è nientepopòdimenochè l’ex ambasciatore Mario Scialoja; quale miglior garanzia? Un ex ambasciatore? a…scialare! Insieme al CENTRO CULTURALE ISLAMICO D’Italia che gestisce la grande moschea di Roma (e che ha già dal 1974 il riconoscimento di “ente morale”) è sostenuto dai sauditi. Della serie: “piove sul bagnato”. Nonostante i recenti sospetti per tutto quanto proviene da Rihad, i sauditi-waabhiti sono ancora buoni amici degli USA e dell’occidente, non minacciano seriamente Israele ( a parte qualche rampollo scavezzacollo in giro aereo per il mondo) e soprattutto fanno buoni affari con tutti, come certamente ben sapranno Berlusconi e Pisanu. Conclusione: MOLTO BUONI / MOLTI SOLDI.

    Associazione Mussulmani Italiani = il top della bontà! L’associazione di Palazzi; proprio "Massimo" il Palazzi. Quello ricevuto con tutti gli onori dal presidente israeliano. Quello che approva l’occupazione di Gerusalemme (“perché c’è scritto nella Bibbia”). Quello che difende gli Stati Uniti ed accusa gli oppositori di nazi-comunismo-terrorismo islamico ecc….ecc…L’anti-Smith, per intenderci. Sulla sua “islamicità” qualche confratello avanzerebbe dei dubbi. Malelingue! Nazisti! Non sappiamo se costui abbia bisogno dei soldi dello stato italiano, o abbia migliori sponsor. Ma certo è il “moderato, fedele alle istituzioni" tanto amato da Pisanu & C. di governo. Palazzi = BUONISSIMO - BUONISSIMISSIMO = certamente TANTI SOLDINI

    E’ solo una panoramica sommaria e generale, dall'esterno e sulla sola base delle notizie di stampa, ma già serve a render l'idea. Staremo a vedere gli sviluppi.

    Noi abbiamo cercato di dare il nostro contributo alle istituzioni, nella persona del sardo-Pisanu, che evidentemente ragiona sulle base del famoso detto: “Se non puoi combattere il tuo nemico, alleati con lui” (e soprattutto pagalo!), dopo averlo diviso.

    Ovvero un Islam per ogni gusto e per ogni borsa…

    In futuro dovremo anche trovare qualche dotto Imam (ma non egiziano e non a Roma) che ci spieghi il significato dei seguenti termini di stampa: ISLAM LAICO. ISLAM ECUMENICO. ISLAM APOLITICO. ISLAM ORTODOSSO. ISLAM INTEGRALISTA. ISLAM... a seguire

    SALAM!

    di Carlo Terracciano

  2. #12
    Nimmo
    Ospite

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    “La democrazia è l’Occidente, e noi non ne vogliamo sapere. Noi non vogliamo saperne dell’Occidente e della sua anarchia."
    Ayatollah Ruhollah Khomeyni: Il Governo Islamico

    L’Ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema del Consiglio della Rivoluzione e della Repubblica Islamica dell’Iran, è stato subito chiarissimo: “E’ il popolo iraniano che esce vincitore da queste elezioni, e gli americani, i sionisti e i nemici dell’Iran sono i perdenti".Così recitava il comunicato televisivo di Khamenei a scrutinio in corso, quando ancora non era evidente nella forza dei numeri dei votanti la vittoria schiacciante dei candidati rivoluzionari rispetto alla vecchia maggioranza opportunista e filo-occidentale.Ma il vero trionfo è venuto dalla massiccia partecipazione popolare alle elezioni, che ha raggiunto almeno il 52% dei votanti; una percentuale ben più elevata nelle campagne e tra le masse degli umili e dei “diseredati della terra” rispetto a città come Teheran, dove la ricca borghesia nostalgica del regime dello Scià mantiene ancora i suoi bastioni tra le ville di lusso affogate nel verde della parte nord, collinare della capitale.
    Siamo dunque ben oltre la metà dei voti, nonostante la feroce, isterica campagna interna ed internazionale tendente a boicottare ed invalidare le elezioni e condotta in primis dai media asserviti all’America e alle lobby sioniste.
    E pensare che negli USA, la sedicente più grande democrazia del mondo un quorum del 30% in qualsiasi elezione è considerato un successo!
    “Con elezioni libere, corrette e giuste, il popolo iraniano - ha aggiunto Khamenei –ha sventato il complotto di quelli che volevano far credere che il fossato tra il popolo ed il regime islamico si stava allargando”.
    L’occasione per la campagna diffamatoria internazionale contro l’Iran era nata semplicemente dall’esclusione di qualche centinaia di candidati “riformisti”, incompatibili per corruzione, incapacità o evidente contrapposizione alla legge islamica che governa il paese dalla Rivoluzione di Khomeini del 1979.Ed è altamente significativo che tale vittoria elettorale venga proprio a 25 anni esatti da quell’evento che rappresentò per l’Iran e per tutto il mondo islamico l’inizio di un riscatto e di una riscossa contro il neocolonialismo e l’imperialismo americano e sionista.
    Nel prossimo Majlis (parlamento iraniano), il 7° dalla Rivoluzione Islamica, sarà altissima la presenza dei Pasdaran, i “guardiani ” che rappresentano la spina dorsale del rinnovamento del regime islamico in senso rivoluzionario.
    A questo proposito sarà bene ricordare come la stampa mondialista abbia saputo negli anni rovesciare gli stessi termini reali della lotta politica in Iran, definendo “riformisti” i suoi protetti e “conservatori” gli avversari irriducibili di una nuova colonizzazione americana e occidentale del paese.
    Le cose stanno esattamente all’opposto.
    I veri conservatori, anzi reazionari, sono proprio quelli che escono oggi sconfitti dalla volontà popolare, nonostante la mobilitazione internazionale a loro favore, che però alla fin fine si è rilevata più dannosa che utile. Un appoggio delle istituzioni mondiali che volevano far ripiombare il paese indietro di trent’anni, per riconsegnarlo nelle mani dei controrivoluzionari borghesi, di destra e di sinistra.E’ fallito lo scopo di gettare il paese nel caos e nella guerra civile e far così ritornare al potere i rottami del vecchio regime sulle cui mani è ancora rappreso il sangue di migliaia di iraniani, vittime della repressione bestiale della Savak;
    per non parlare del milione di morti della guerra imposta e le centinaia e centinaia di vittime degli attentati dei terroristi traditori, i mujahidin Khalq, fino ad ieri armati da Saddam Hussein contro Teheran ed oggi ri-armati e finanziati dagli Stati Uniti per lo stesso scopo.
    I rivoluzionari sono invece coloro che difendono le conquiste della Rivoluzione Islamica di Khomeini: ieri al fronte iracheno, oggi alle urne, forse domani di nuovo contro il “grande Satana” a stelle e strisce.Perché una cosa chiarissima a tutti, amici e nemici, di questa elezione è l’importanza non solo nazionale della vittoria islamica rivoluzionaria.Potremmo dire che l’importanza dei cambiamenti interni al parlamento iraniano è ben poca cosa rispetto alla sua rilevanza internazionale. Khamenei nel suo messaggio radio-televisivo ha colto il punto centrale della questione.L’Iran ha dato un segnale inequivocabile a tutti i suoi nemici, interni ed esterni, sulla volontà di resistenza di tutto il suo popolo nell’eventualità di un’aggressione americana e sionista alla R.I.I.La penetrazione americana in Eurasia, con l’occupazione di Afghanistan e Iraq, ha posto l’Iran in una posizione geopolitica e strategica pericolosissima. L’Iran è accerchiato.Possiamo anzi dire che la guerra al regime integralista di Kabul e a quello nazionalista e socialista di Saddam, non avrebbero un vero significato strategico globale per gli strateghi del Pentagono se i due fronti non si saldassero tra loro, proprio conquistando e/o sottomettendo la Repubblica Islamica stessa.L’Iran è il ponte, l’anello mancante per la conquista del Rimland (appunto l’”anello marginale esterno”) che chiuderebbe il fronte sud dell’Asia centrale e darebbe il via alla definitiva avanzata verso la Siberia a nord e la Cina occidentale a est.Senza neanche pensare al petrolio.A questo si aggiunga l’interesse regionale di Israele, unica potenza atomica dell’area mediorientale, ad annichilire sul nascere ogni potenziale rivale atomico.
    Gli appelli dell’IAEA a controllare le centrali atomiche iraniane hanno la stessa funzione che ebbero i controlli degli ispettori internazionali sulle presunte armi di distruzione di massa dell’Iraq: accertarsi che NON esistano davvero, per poi…attaccare impunemente il paese indifeso. E’ ovvio che nessun ispettore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica o di qualsivoglia altro organismo internazionale, sempre con l’ ONU in testa, si permetterebbe mai di richiedere simili controlli per Israele!
    Inoltre l’Iran è visto da Bush e soci come un potenziale retroterra logistico per le forze di resistenza che finora non hanno permesso a Washington di consolidare definitivamente il controllo su Afghanistan e Iraq. In vista anche di una “riconquista” dell’Arabia Saudita, il cui regime monarchico, corrotto e filoamericano, è sempre più vacillante sotto i colpi dell’islamismo rivoluzionario interno. E’ proprio la situazione di questi due paesi, in particolare quella irachena, che non ha permesso finora agli imperialisti americani, di completare il loro piano di abbattimento ed occupazione degli ultimi “stati canaglia” della dottrina Bush di dominio:Iran e Corea del Nord, anch’essa sotto pressione perché abbandoni il nucleare e si consegni agli americani, dopo mezzo secolo dalla fallita invasione USA.
    Al contrario la resistenza irachena ha messo a nudo tutta la fragilità politica e militare dei neocolonialisti yankees e delle loro truppe mercenarie coloniali: inglesi, polacchi, italiani…
    E le prospettive future sono ancora più terribili per l’occupante.
    La via democratica, le elezioni nel paese occupato, avrebbero lo stesso disastroso esito di quelle iraniane per i piani a medio e lungo periodo dei petrolieri e militari di Washington:la vittoria degli Sciiti, maggioranza nel paese, altrettanto ostili all’invasione dei sunniti, mentre già i curdi preparano scenari altrettanto foschi per gli alleati turchi della NATO.La vittoria democratica dello shiismo radicale in Iraq oltre a togliere ogni giustificazione al protrarsi dell’occupazione militare, della sudditanza politica, della svendita del petrolio iracheno e della consegna dell’intero Iraq alle multinazionali, salderebbe in un blocco unico i due paesi ieri opposti, l’Iraq e l’Iran.
    Lo Shatt-el Arab non sarebbe più una barriera, ma un ponte tra due popoli riuniti dalla fede religiosa e dalla lotta politica rivoluzionaria antimperialista e antisionista.
    Qom + Kerbala + Najaf !
    I recenti attentati stragisti contro le moschee e i dirigenti sciiti hanno proprio lo scopo di dividere gli iracheni e scatenare una guerra civile (come si voleva in Iran) che giustifichi la permanenza delle truppe occidentali, sulla base del sempre valido “divide et impera”.
    Oramai è accertato il ruolo dei servizi segreti di Israele nell’uccisione di Muhammad Baqr al-Hakim ucciso davanti alla moschea Alì di Najaf , dopo che era tornato da un esilio in Iran [dove avemmo occasione di intervistarlo] durato ventitre anni.
    Ma oggi è il giovane Muqtadà-al Sadr, figlio e nipote di martiri sciiti del vecchio regime, a guidare la lotta politica contro il governo collaborazionista insediato a Bagdad dagli americani; ed in accordo con Teheran.Le vittoriose elezioni in Iran e quelle in Iraq, ancora oggi negate dalle truppe di occupazione, sono la risposta “democratica” che certo gli Stati Uniti non gradiscono.
    Il fallimento dei loro piani li spingerà a seguire nuove strategie di conquista.
    Bush è pressato dai problemi interni e dalla campagna elettorale per le presidenziali di novembre contro l’astro nascente dei democratici, Kerry peraltro critico della politica estera repubblicana, ma altrettanto amico di Israele del suo rivale.
    Contro la Repubblica Iraniana si cominciò mobilitando gli studenti e istigandoli ad occupare le università; il buon senso del Consiglio Supremo e l’azione energica dei Pasdaran rivoluzionari disinnescò la miccia, senza neanche ricorrere a “metodi cinesi” sull’esempio dell’89.Hanno premiato film di oppositori e dato il Nobel ad un’iraniana sconosciuta per mettere in imbarazzo le autorità islamiche.Poi si è tentato con l’ostruzionismo a queste elezioni.
    Altro clamoroso fallimento di un tentativo così sfacciatamente protervo di ingerenza nella politica interna di un paese sovrano, che persino il quotidiano “riformista” (!) Mardom Salari lo ha bollato con parole di fuoco: “Gli Usa pensano solo a cambiare gli equilibri politici in Iran per trarne vantaggio, e addirittura ci offrono consigli su come effettuare questi cambiamenti! Tutti i loro sforzi sono concentrati su questo obbiettivo. E’ un’interferenza sfacciata nei nostri affari interni”.
    La prossima arma di pressione potrebbe essere rappresentata dalle minoranze etniche del paese, in particolare i soliti curdi, sempre utilizzati da tutti contro tutti, e gli azeri.
    L’Azerbajan, nonostante l’originaria appartenenza sciita è turcofono, filo-americano e, per la sua posizione geopolitica, ricopre oggi il duplice ruolo antirusso e anti-iraniano. E gli azeri sono una delle minoranze entro i confini dell’Iran, come per i Curdi, i Luristani, gli Arabi del sud, i Beluci a est ecc…
    Per non dire dei terroristi marxisti di Maasud Rajavi e di sua moglie Mariam, fuggita provvisoriamente in Francia.
    Del resto l’alleanza tra americani e marxisti non è certo una novità.Si pensi solo recentemente alle scene di giubilo del microscopico partito comunista iracheno, con sventolio di bandiere rosse con falce e martello, mentre sugli schermi televisivi scorrevano le ripugnanti immagini di Saddam Hussein prigioniero, spidocchiato ed esaminato in bocca come un animale!
    Anche il recentissimo riavvicinamento di Karzai e degli americani con frange di talebani “moderati” (sic !), oltre a ribaltare le alleanze a Kabul, potrebbe rappresentare un ulteriore tentativo di stringere l’Iran in una tenaglia.
    Resta come sempre l’arma economica delle sanzioni, ma a questa gli iraniani sono abituati e finora l’unico risultato è stato quello di tenere lontano le imprese d’oltre oceano, a favore di europei, russi, cinesi… pecunia non olet, tantomeno quella benedetta alle fontane di Qom e Teheran.
    Bush e il Pentagono potrebbero persino esser tentati, anche per risollevarsi agli occhi dell’opinione pubblica interna, un’azione di forza contro Teheran.Ma questa sarebbe veramente un’opzione troppo folle persino per un simile mentecatto condotto al guinzaglio da fanatici guerrafondai fondamentalisti biblici!
    Un’ennesima dimostrazione che gli americani stanno perdendo la testa dopo il fallimento iracheno dal quale non riescono a uscire.
    E l’Iran non è l’Iraq.
    La guerra d’aggressione di Saddam Hussein, allora armato proprio dagli USA in funzione anti-islamica rivoluzionaria, ha dimostrato al mondo di cosa sono capaci gli iranici in caso di aggressione esterna. Al contrario ciò servirebbe a compattare TUTTO il popolo iraniano dietro Kamenei e le avanguardie rivoluzionarie.Se invece Washington volesse venire a più miti consigli, il rafforzarsi dell’esecutivo a Teheran favorirà trattative da un punto di forza per gli iraniani.Non è invece da escludere un colpo mirato di Israele, con supporto logistico americano, per colpire e distruggere la centrale atomica di Bushehr nella R.I.
    Ma anche questa ipotesi avrebbe conseguenze e contraccolpi devastanti, a differenza di quanto avvenne dopo l’attacco dell’aviazione con la stella di Davide a Osirak.
    La partita è ancora aperta.
    E forse il successo delle elezioni iraniane, alla faccia degli americani e dei sionisti, potrebbe rappresentare fra qualche mese la pietra tombale di Bush nell’altra elezione, quella americana presidenziale: un imprevisto effetto boomerang per chi pretendeva di “insegnare la democrazia” in casa altrui.
    Forse milioni e milioni di schede elettorali iraniane seppelliranno per sempre Bush Jr., il suo staff di “conservatori (poco)compassionevoli” e i loro folli progetti megalomani di dominio mondiale.Intanto rappresentano di sicuro uno schiaffo sonoro sulla faccia della protervia americana e, quindi, una speranza di riscossa e di riscatto per tutti i popoli che oggi la subiscono.


    Carlo Terracciano

  3. #13
    Nimmo
    Ospite

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    Omero nel Baltico

    Dove era situata veramente l’antica Troia che nell’Iliade destava l’ira funesta del pelìde Achille e di legioni di studenti costretti a studiarne le gesta? In Finlandia, naturalmente..! E Itaca ventosa, patria dell’astuto Ulisse (quello del “cavallo di Troia” appunto), alla quale l’eroe dell’Odissea tornò dopo anni di peregrinazioni per terra e per mare, a compiervi la nota vendetta su quei porci dei Proci, mentre Penelope [non] filava (salvo poi rifuggirsene via verso il folle volo di dantesca memoria)? Ma è ovvio: in Danimarca, patria d’origine di Nessuno ben qualche millennio prima che del principe Amleto. E l’Olimpo? A nord dello Stige e a sud dell’Ade, praticamente… sul Circolo Polare Artico! Per non parlare dell’Eden, della mitica “terra promessa”, stillante latte e miele alla confluenza dei quattro fiumi che si dipartono dal Paradiso Terrestre, il Pison, il Gihon, il Tigri e l’Eufrate; niente a che vedere con il nostro Medio Oriente oggi in fiamme. Qui siamo addirittura poco sotto Capo Nord, in piena Lapponia.

    Ci sono nella storia dello scibile umano delle opere, teorie, scoperte che improvvisamente ribaltano le conoscenze, presunte, le radicate convinzioni di generazioni e generazioni durante i secoli. E la loro validità è data intuitivamente anche dal fatto che, leggendole come un romanzo appassionante, tutto ci sembra chiaro, lineare, consequenziale; e ci si meraviglia semmai di non averci pensato prima, tanto era evidente (a posteriori) quello che stava sotto gli occhi di tutti e, forse proprio per questo, non si era mai notato. Omero nel Baltico di Felice Vinci (un nome un fato) è una di queste opere che con naturalezza e scientificità ribalta completamente tremila anni di cultura classica euro-mediterranea. Il contenuto rivoluzionario di questo testo, arrivato in breve alla terza edizione, è sintetizzato dallo stesso autore in poche righe poste all’inizio delle “Conclusioni”: “Il reale scenario dell’Iliade e dell’Odissea è identificabile non nel mar Mediterraneo, ma nel nord dell’Europa. Le saghe che hanno dato origine ai due poemi provengono dal Baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio a.C. fioriva l’età del bronzo e dove sono tuttora identificabili molti luoghi omerici, fra cui Troia e Itaca; le portarono in Grecia, in seguito al tracollo dell’"optimum climatico", i grandi navigatori che nel XVI secolo a.C. fondarono la civiltà micenea: essi ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si era svolta la guerra di Troia e le altre vicende della mitologia greca, e perpetuarono di generazione in generazione, trasmettendolo poi alle epoche successive, il ricordo dei tempi eroici e delle gesta compiute dai loro antenati nella patria perduta. Ecco, in estrema sintesi, le conclusioni della nostra ricerca”. Un sintetico riassunto di cinquecento fitte pagine frutto di dieci anni di lavoro di un ingegnere romano di cinquantasette anni, appassionato ma critico conoscitore di quei classici sui quali si basa la nostra cultura europea.

    Felice Vinci prende spunto dalla segnalazione di Plutarco sulla collocazione geografica dell’isola di Ogigia, a lungo dimora di Odisseo trattenutovi dalla dea Calipso, “a cinque giorni dalla Britannia” per iniziare la sua indagine e ribaltare la geografia mediterraneo dei due poemi attribuiti al cieco Omero, ma notoriamente di diversi autori, spostando le gesta guerriere della conquista di Troia ed il viaggio di ritorno a casa di Ulisse dalle nostre latitudini a quelle nordiche: il Baltico in primis, la penisola scandinava, l’estremo nord circumpolare. Ecco allora che ritroviamo la Colchide, le Sirene, Scilla e Cariddi e la stessa Trinacria lungo le frastagliate coste della Norvegia settentrionale, tra fiordi e la Corrente del Golfo. Mentre le originarie Cipro, Lemno, Chio, il Peloponneso, ma anche Atene o Sparta per fare solo qualche esempio, ritrovano l’originaria collocazione tutt’intorno al Mar Baltico. E Troia dalle imponenti mura, a controllare lo stretto strategico dei Dardanelli, le rotte tra Mar Nero e Mediterraneo? Uno sperduto, tranquillo paesino della Finlandia meridionale, a cento chilometri dalla capitale Helsinki: l’attuale Toija, risvegliata dalla silenziosa quiete plurimillenaria e proiettata da un ingegnere italiano dalle brume dell’oblio sotto i riflettori della cronaca. Più precisamente su un’altura boscosa tra Toija e la vicina Kisko si svolsero le battaglia tra Achei e Troiani per i begli occhi di Elena, anche se bisogna dimenticare le ciclopiche mura dell’area dell’attuale Hissarlik in Turchia e la scoperta di Schliemann, per più modesti fossati e palizzate di solido legno dei boschi circostanti, quelli dei tempi dell’età del bronzo. Biondi guerrieri nordici dagli occhi cerulei, coperti di mantelli e armature adeguate ad un clima non certo mediterraneo, anche se meno rigido dell’attuale, combattevano con spade di bronzo e asce di pietra. La coalizione di popoli baltici contro Ilio era sbarcata da agili navi con doppia prua che possiamo immaginare molto simili a quelle vichinghe di duemila anni dopo. E non deve sembrare ardita l’ipotesi di marinai e guerrieri che, quattromila anni fa, corrono i flutti oceanici nord-atlantici fino all’Islanda e oltre, se solo si pensa a quello che riuscirono a fare i loro pronipoti vichinghi prima e dopo l’anno Mille; arrivare da una parte in America del nord (la Groenlandia “Terra verde” e la Vinlandia, “Terra della vite”, a dimostrazione di un breve periodo di mutamento climatico favorevole) e dall’altra attraversare tutta la Russia fino al Mar Nero e Bisanzio. Per non parlare dell’epopea Normanna in Sicilia e nel Mediterraneo.

    Oltre allo studio pignolo della toponomastica comparata, il Vinci poggia le basi delle sue straordinarie scoperte non solo sulle concordanze dei nomi, ma anche su solide basi geografiche, morfologiche, climatiche, descrittive, nonché storiche e mitologiche: una cultura di tipo olistico, veramente enciclopedica, che lo porta a smantellare pezzo per pezzo, passo per passo, riferimento per riferimento, mito per mito, l’ambientazione mediterranea dei poemi omerici, per ricollocarli nell’habitat originario, la Scandinavia ed il Baltico appunto.

    Uno dei punti di riferimento di Vinci è l’opera di Lokamanya Bal Gangâdhar Tilak (1856-1920), il bramino e patriota indiano autore de La dimora artica dei Veda e Orione. A proposito dell’antichità dei Veda. Secondo il Tilak il sacro testo dell’India, il più antico, come il popolo che lo creò, avrebbero avuto origine dal Polo Nord, che naturalmente in un lontano passato era terraferma ed aveva una temperatura mite. Uno sconvolgimento climatico forse dovuto allo spostamento dell’asse terrestre costrinse i nostri lontani progenitori, gli Arya, ad una migrazione ovviamente verso sud. Un ramo si diresse verso l’attuale penisola scandinava, la Finlandia ed il Baltico: proprio quello che Felice Vinci identifica con i popoli dell’elenco delle navi dell’Iliade ed i loro avversari alleati dei troiani. Altri rami sarebbero discesi, lungo i fiumi eurosiberiani sempre più a sud e ad est, dando quindi origine alle varie civiltà del Medio Oriente (i Sumeri?), Persia (l’Avesta è quindi complementare ai Veda, sotto tale aspetto descrittivo di una sede artica originaria), India (con la sovrapposizione alle popolazioni scure precedenti, da cui nascerebbe poi il sistema castale), fino alla Cina e al Giappone (gli Ainu). E si possono ipotizzare anche scenari simili per le Americhe con il successivo sorgere di civiltà come quella Tolteca, Atzeca o pre-incaica del Lago Titicaca. Insomma in uno stesso periodo di tempo sorgono quasi d’incanto civiltà raffinate, templi imponenti, le piramidi, gli imperi da cui proviene la nostra civiltà eurasiatica. Così i popoli dell’area baltico-nord atlantica, alla fine dell’optimum climatico dell’età del bronzo migrano ad ondate verso i territori più caldi ed il Mediterraneo, ma portandosi appresso la memoria storica delle aree d’origine, le saghe, le leggende, i miti e gli Dei. Un ricordo dei primordi che si riverserà in una trasposizione toponomastica dalle terre originarie a quelle di nuova acquisizione tutt’attorno al Mediterraneo. Un’operazione di preservazione della propria memoria storica che d’altra parte non poteva essere perfettamente collimante, data la diversità sia geografica che climatica tra i due scenari geopolitici. Per tale motivo troviamo nell’Iliade e nell’Odissea una serie di riferimenti geografici, di collocazioni e ambientazioni completamente fuori luogo rispetto al Mediterraneo, ma che si adattano perfettamente alle latitudini nordiche; e questa è la grande “scoperta” di Felice Vinci destinata a rivoluzionare le nostre conoscenze classiche.

    E’ più che naturale, quasi ovvio, che un simile ribaltamento dell’impianto dei due poemi epici troverà una chiusura pressoché assoluta nel mondo accademico, tra i professoroni di greco e latino che hanno sempre pontificato sull’argomento. Questo Omero nel Baltico sarà deriso e/o trattato con sprezzante sufficienza, quando non violentemente attaccato, anche perché un profano, un “ingegnere” è arrivato dove i cultori della classicità neanche supponevano si potesse ricercare. Peggio ancora si tenterà di seppellire queste geniali intuizioni sotto il silenzio. Un’opera di ostracismo culturale già iniziata, se solo si consideri che questo testo così “sconvolgente” e rivoluzionario non è ancora stato neanche preso in considerazione dalla pseudocultura ex-cathedra. E non ultimo anche per certe implicazioni d’ordine storico e politico.

    Per fare solo un esempio l’autore, ricollocando all’estremo nord l’area mesopotamica d’origine di Abramo e del monoteismo, la “Terra Promessa”, tende a ridare unità originaria alle stirpi “bibliche”, rispettivamente discese da Sem, Cam e Jafet. Anche il famoso “diluvio universale” potrebbe aver avuto un differente scenario, con la fine dell’optimum climatico, e l’Ararat con la sua Arca incagliata una verosimiglianza maggiore nel mutato contesto fisico e geografico. I cosiddetti “semiti” poi, ebrei compresi, sarebbero loro stessi nordici (a parte la conversione dei Cazari del VII-VIII secolo d.C.) e la loro “terra promessa” non sarebbe quindi la Palestina bensì l’estremo Nord, tra Norvegia e Finlandia: la Lapponia! Tutto questo, è ovvio, non avrà particolari conseguenze politiche attuali, specie per il povero popolo palestinese d’oggi (i Filistei d’origine indoeuropea); tuttavia, fossi nei panni dei Lapponi, comincerei a preoccuparmi…

    Comunque sia la verità di certe scoperte ha una tale forza d’impatto, una tale intrinseca vitalità per cui anche la congiura del silenzio sarà prima o poi destinata ad infrangersi. Lo dimostrano le tre edizioni in brevissimo tempo che hanno fatto di Omero nel Baltico un successo editoriale, senza bisogno di molta pubblicità o di una editrice di grido. Il testo di Felice Vinci è anche correlato di numerose cartine geografiche esplicative e, alla fine, di varie pagine di foto anche aeree che ci offrono l’immagine odierna dei luoghi trattati nel testo. Nella pianura ora allagata di Aijala correvano, tra Toija e il mare, gli eserciti di Achei e Troiani, tra un attacco ed una ritirata. Ai piedi di un’altura boscosa della Finlandia meridionale, in vista delle scure acque del Baltico Ettore e Achille si affrontavano 3500 anni or sono in un epico duello mortale che sarebbe stato cantato attorno al fuoco dagli aedi a venire, fino ad approdare sotto un altro cielo, in un’altra terra, su un altro mare: il nostro, il Mediterraneo.


    Carlo Terracciano

  4. #14
    Nimmo
    Ospite

    Predefinito

    OPERE SCELTE SULLA SOCIETA' E L'IMPERIALISMO AMERICANO
    selezione ad opera di Carlo Terracciano


    Mahan Alfred, L’influenza del potere marittimo sulla Storia, Ufficio Storico della Marina Militare
    Galli G., L’Impero americano e la crisi della democrazia, Kaos ed.
    Sbancor, American Nightmare, Nuovi Mondi Media
    Smith Adel, Dio maledica l’America, Ed. Alethes
    Cardini Franco, La paura e l’arroganza, Laterza
    Poole Gordon, Nazione guerriera, Colonnese ed.
    Kennedy Paul, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti
    Joxe Alain, L’impero del caos, Sansoni
    I Nuovi rivoluzionari, Feltrinelli
    Huntington Samuel, Lo scontro delle civiltà, Garzanti
    Gobbi Romolo, America contro Europa, MB Publishing
    Kleeves John, Un paese pericoloso, Barbarossa
    De Tocqueville, La democrazia in America, vari editori
    Johnson Chalmers, Gli ultimi giorni dell’impero americano, Garzanti
    Nafeez Mosaddeq Ahmed, Dominio, Fazi editore
    Nafeez Mosaddeq Ahmed, Guerra alla libertà, Fazi editore
    Chomsky Noam, Egemonia americana e stati fuorilegge, Dedalo ed.
    Pilger John, I nuovi padroni del mondo, Fandango libri
    Standard David , Olocausto americano, Bollati Boringhieri
    Blum William, Il libro nero degli Stati Uniti, Fazi ed.
    Pasquinelli Mauro, Il libro nero del terrorismo americano, Praxis ed.
    Kupchan Charles, La fine dell’era americana, V&P università

    All’interno di questi ci sono anche considerazioni sulla mentalità americana; specie il Tocqueville, i Nuovi rivoluzionari (la destra fondamentalista USA), Kleeves, e Poole Gordon (miti d’origine)

  5. #15
    Nimmo
    Ospite

    Predefinito

    La Dottrina delle Tre Liberazioni

    “Libertà va cercando ch’è sì cara,
    Come sa chi per Lei vita rifiuta”.
    Dante Alighieri

    Premessa
    La Libertà è parte stessa dell’Essenza e dell’esistenza di un uomo, come di un popolo; d’ogni Uomo e
    d’ogni Popolo in quanto tali.
    Tant’è vero che viene oggi considerata un Diritto fondamentale di ogni cittadino e fin dalla più remota
    antichità la differenza sostanziale tra gli uomini era appunto rappresentata dalla facoltà o meno di poter
    disporre liberamente di se stessi e dei propri beni. In mancanza di essa si cadeva in schiavitù, nella
    disponibilità quindi di altri che potevano disporre a loro piacimento e spesso capriccio della persona dello
    schiavo, fino a privarlo della vita stessa.
    La schiavitù nel mondo è stata abolita ufficialmente da meno di un secolo e mezzo, a parte casi più
    recenti, ma solo per essere spesso sostituita da forme più larvate e subdole di dominazione praticamente
    totale ed assoluta su uomini, popoli, nazioni, interi continenti, fino ad avviluppare l’intero globo.
    Dominazione militare, economica, politica, religiosa, psicologica, culturale ed al giorno d’oggi persino
    biologica, informatica, ambientale ecc…
    Sulla natura ed il contenuto della libertà, come sui suoi limiti si sono misurati per millenni gli intelletti più
    acuti dei “filosofi”, nel senso etimologico del termine.
    Le tre Liberazioni
    La Dottrina delle Tre Liberazioni, che possiamo anche definire Dottrina della Liberazione Integrale, intende
    trattare gli aspetti COMUNITARI della libertà dell’uomo, inteso non come singolo individuo, bensì quale
    Persona; non Monade isolata e conclusa, ma parte organica di un tutto, membro attivo e cosciente,
    funzionale alla Comunità.

    Essa tratta quindi della LIBERAZIONE NAZIONALE, LIBERAZIONE SOCIALE E LIBERAZIONE CULTURALE.
    Partendo da una Visione Tradizionale anagogica, organicistica ed olistica dell’esistenza, si intende quindi
    analizzare la libertà (o la sua mancanza) ed i limiti della stessa concernenti i vari aspetti dell’Uomo come
    essere SOCIALE: indissolubilmente legato sia da vincoli di sangue, che di cultura e di relazioni sociali, cioè
    di Storia e di Geografia, ai propri simili in quella Unità Vivente che è la Comunità di Destino agente nella
    Storia e nello spazio vitale geografico.
    L’uomo nella “natura” e nella Storia
    E’ infatti del tutto evidente che nessun uomo può dirsi assolutamente “libero” e svincolato da qualsivoglia
    rapporto sociale con altri uomini, per non dire con l’ambiente che lo circonda, quasi in un presunto ,
    adamitico “stato di natura”. Esso rappresenta, come ben sappiamo dalle osservazioni sul mondo animale
    e vegetale, un falso del pensiero illuminista e modernista, che a sua volta affonda le radici in una
    prospettiva monistico-creazionista che considera essere l’intero mondo creato al servizio dell’uomo e a
    sua completa e libera disposizione. Tale concezione, materializzatasi dopo la perdita di ogni dimensione
    spirituale, ha prodotto i noti disastri ambientali oggi sotto gli occhi di tutti.
    Al contrario dobbiamo considerare il Sistema-Terra, come un organismo vivente e pulsante, un
    ecosistema unitario del quale l’uomo è una specie fra le altre nella sua “nicchia ecologica”. E’ insomma
    l’ipotesi GEA, oramai assurta a evidenza inconfutabile, specie se si considerano i danni devastanti arrecati
    dalla modernizzazione e il conseguente fenomeno di rigetto, che preannuncia l’ennesima (la sesta?)
    estinzione di una specie incompatibile: la nostra!
    E d’altra parte, proprio per quanto affermato sopra, sulla natura sociale-comunitaria dell’uomo, è
    altrettanto evidente che, se non vi può essere uomo svincolato dal suo habitat in base alla sua natura,
    altrettanto non può esistere individuo isolato dalla Comunità, in base al suo essere sociale.
    Ogni uomo agisce nella Storia in quanto interagisce con la Comunità d’appartenenza, originaria od
    acquisita che sia.
    La liberazione nazionale…
    Ma allora ne consegue, logicamente, che non può esistere vera libertà individuale e collettiva quando la
    stessa Comunità Nazionale e Sociale NON E’ LIBERA, ma è sottoposta ad un Potere esterno ed estraneo
    che ne conculca il libero arbitrio, ne manipola e determina le scelte, ne controlla i mezzi di sussistenza e
    le volontà di governanti e governati.
    La Liberazione nazionale è dunque l’assunto prioritario per ogni libertà politica e civile degli uomini che ne
    fanno parte e delle generazioni a venire.
    Del resto ogni uomo vive anche su una terra, si mantiene e prospera con il frutto del suo lavoro, alleva ed
    educa i figli. Ogni membro comunitario ha diritto, per la sua stessa appartenenza organica all’Entità
    superiore rappresentata dalla Comunità, ad una sostanziale LIBERTA’ DAL BISOGNO.
    ... la Liberazione sociale…
    La Liberazione sociale si concretizza nell’esaudimento da parte della Comunità delle necessità primarie,
    dei servizi essenziali per una vita civile degna di questo nome: cibo, salute, istruzione, casa, sicurezza,
    dignità, giusta collocazione di ciascuno nella funzione che più gli compete, una dignitosa vecchiaia
    assistita fino ad un sereno trapasso.
    “A ciascuno secondo i bisogni, da ciascuno secondo le capacità”, non è uno slogan di facile effetto, ma la
    base stessa di ogni convivenza civile in un società ben sviluppata.
    Ovviamente l’essere umano non ha solamente una dimensione prettamente materiale, non è “uomo ad
    una dimensione” soltanto, anche se oggi è proprio a questo che il sistema liberal-capitalista lo vorrebbe
    ridurre.
    Nel momento stesso in cui egli è concepito, diventa erede di un patrimonio che lo ricollega ad una catena
    ininterrotta di antenati: non è una tabula rasa ma porta in sé, nel suo DNA un patrimonio genetico che lo
    rende unico. E anche il suo carattere è un unicum a cui, con la nascita, l’educazione e l’esperienza,
    aggiunge un patrimonio culturale specifico: una lingua madre, un insieme di nozioni, l’esperienza diretta
    di un paesaggio circostante e di un habitat, clima compreso, un’alimentazione particolare adatta al suo
    standard di vita, delle convinzioni etico-morali e delle idee filosofiche e religiose proprie del suo tempo e
    del suo spazio.
    ... la Liberazione culturale
    La Liberazione culturale rappresenta quindi il terzo pilastro indispensabile per la formazione di un essere
    umano completo, sano ed integro nel corpo e nell’anima.
    Come tutto ciò si possa e si debba realizzare oggi, nel mondo moderno, nell’Europa all’alba del Terzo
    Millennio cristiano, ma anche alla fine di un ciclo di civiltà ben più antico e radicato nei popoli del
    continente Eurasia, è il contenuto delle pagine seguenti, tenendo tuttavia conto di alcuni presupposti.
    Libertà e Liberazione
    Innanzi tutto si noterà che viene usato il termine LIBERAZIONE, dando quindi alla parola Libertà una
    connotazione dinamica, volontaristica; una prospettiva in fieri proprio perché, come sarà dimostrato, le
    fondamentali libertà elencate sono attualmente eluse, tradite, assolutamente inesistenti a livello nazionale
    e mondiale. Se la libertà è “la condizione di chi è libero” (e non solo si sente e crede di esserlo), la
    liberazione è “l’atto e l’effetto del liberare”.
    E tanto più si allarga e progredisce la libertà quanto più il processo di liberazione avanza nelle coscienze e
    nel paese reale in lotta con un “paese legale”, che non è altro che lo strumento legislativo, istituzionale e
    giuridico del Potere occupante gestito dai collaborazionisti interni.
    A questo riguardo, superate le vecchie, obsolete classificazioni “destra-centro-sinistra”, fascismoantifascismo/
    comunismo-anticomunismo ecc… la vera contrapposizione del futuro sarà tra i Patrioti
    Combattenti per la Liberazione europea e i collaborazionisti dell’occupante americano, sfruttatori dei
    propri popoli e fautori del Progetto Mondialista di dominazione planetaria.
    Unità e trinità della Lotta di Liberazione
    Bisogna poi precisare che le tre Liberazioni sono assolutamente correlate ed interdipendenti.
    Non vi può essere reale liberazione di un popolo che non le contempli tutte; anche se certamente, in
    termini di sviluppo temporale, la Liberazione Nazionale è prioritaria e propedeutica delle altre due.
    Ma anche nel suo conseguimento non si può prescindere dalla realizzazione, almeno in nuce, delle
    strutture essenziali alla Liberazione sociale del popolo ed etno-culturale della Comunità nazionale nella
    sua totalità.
    Non può esistere LIBERTA’ POLITICA dello e nello Stato che non realizzi la LIBERTA’ SOCIALE ed
    ECONOMICA del suo popolo e la instaurazione della propria IDENTITA’ CULTURALE.
    Così non può esistere Libertà e prosperità socio-economica in un paese occupato e sottomesso agli
    interessi finanziari e strategici della potenza invasiva che, proprio per favorire lo stato d’asservimento
    dell’occupato da parte dell’occupante, ne stravolge volontariamente la base sociale e culturale, imponendo
    ogni forma di mescolamento e sradicamento dalle proprie tradizioni.
    Stravolgimento che concerne sia le vittime dirette di tale sradicamento, come oggi accade alle masse
    sottoproletarie del Sud del Mondo costrette ad emigrare, sia i lavoratori europei, minacciati nella loro
    identità culturale e storica, sia nella loro sopravvivenza sociale, di fronte ad una massa di sfruttati gettati
    come carne da lavoro sul mercato della produzione e del consumo.
    La Globalizzazione del mercato del lavoro è la forma moderna più subdola e disumanizzante di razzismo e
    sfruttamento schiavistico, dai tempi della deportazione anglo-americana di schiavi dall’Africa Nera. Essa
    presuppone e favorisce la guerra fra poveri del Sud e Nord del mondo a tutto vantaggio delle classi
    dominanti di entrambe.
    Ed alfine è impensabile conquistare e mantenere le libertà politiche, nazionali e sociali, fra un popolo
    senza più radici e Valori forti di riferimento, schiavizzato nelle menti e nelle anime prima ancora che nei
    corpi. E’ del tutto evidente che un simile popolo, oramai ridotto a massa informe sotto la dittatura dei più
    bassi istinti, della più materialistica ricerca del profitto, non si porrebbe neanche l’obiettivo della propria
    liberazione e della SOLIDARIETA’ tra i suoi membri, mancando oramai ogni legame comunitario, ogni
    riferimento ideologico, politico, religioso, in un termine ogni IDENTITA’ COMUNITARIA..
    Non c’è bisogno di specificare che l’individualismo, l’edonismo solipsistico e il libertarismo, com’è per il
    liberismo, rappresentano la più diretta negazione della vera, autentica Liberazione in tutti i settori della
    vita comunitaria.
    La qual cosa sempre avviene quando alla Libertà come aspirazione non si unisce la Responsabilità come
    principio interiorizzato di vita e di valutazione.
    Liberazione “DA” e Liberazione “PER”
    Questa considerazione ci porta ad un’ulteriore precisazione della Dottrina delle Tre Liberazioni.
    La distinzione classica cioè tra LIBERAZIONE DA… qualcosa e/o qualcuno, e LIBERAZIONE PER… qualcosa
    e qualcuno.
    In sostanza, per quanto concerne il tema in oggetto, si tratta della stessa differenza tra una formulazione
    al negativo della libertà conculcata (es.: lotta di liberazione dall’occupante straniero), ed una al positivo,
    una LIBERAZIONE CREATIVA, per realizzare nella Storia, cioè nel tempo e nello spazio geografico, quel
    Destino di Civiltà che è la ragione stessa d’esistere della Unità Comunitaria.
    E se solo la Libertà di un popolo, che si dà “forma” nello STATO, è propedeutica alla creazione di Cultura e
    Civiltà, nel senso più classico di questi termini, la Nuova Civiltà che ne scaturisce è apportatrice di Libertà
    non solo per l’Uomo Nuovo formatosi al suo interno, ma anche di Liberazione per gli altri popoli ancora
    asserviti alla schiavitù imposta dalle Oligarchie cosmopolite.
    Per un nuovo inter-nazionalismo
    Al contrario di quanto si è creduto in questo secolo, il vero INTER-NAZIONALISMO non si fonda sulla
    classe, ma sulla COMUNITA’ ORGANICA DEL POPOLO, di ogni popolo, nella sua propria specificità.
    L’internazionalismo marxista, per esempio, heghelianamente basato su una scienza sociale
    autorealizzantesi nella storia, nella sua applicazione pratica istituzionale ha oggettivamente favorito
    proprio il disegno del Grande Capitale internazionale, nella sua oramai plurisecolare opera di sradicamento
    delle culture e dei popoli (oggi anche in senso letterario e fisico).
    Nonostante le molte cose giuste realizzate ed alcune teorizzazioni valide per quei tempi, esso ha alfine
    determinato oggettivamente il trionfo del presunto avversario mondiale, che puntava alla distruzione delle
    differenze e specificità per meglio addivenire alla globalizzazione totale del Mercato/Mondo; nella
    prospettiva, ormai prossima, di realizzare il Progetto politico Mondialista di dominazione sui popoli, da
    parte di una ristrettissima cerchia d’oligarchi internazionalisti cosmopoliti.
    Il marxismo insomma non ha saputo superare il suo vero handicap iniziale di una critica tutta interna alla
    logica capitalistica. In questo senso alla fine il “padre” ha ucciso il figlio e non viceversa.
    La disintegrazione dei popoli in favore dell’individualismo edonista, fino alla più recente teorizzazione dei
    cosidetti “diritti umanitari” universali da difendere (a scapito e anche contro le singole comunità nazionali
    d’appartenenza) , è funzionale unicamente alla distruzione di ogni forma organizzata che ancora faccia da
    scudo alla libertà vera dell’uomo, di ogni uomo, ponendolo solo e nudo alla mercé del Potere mondiale del
    Capitale; e chiamando poi questo rapporto “libero mercato”, “libertà di concorrenza” e similari.
    Una libertà economica globale ed un diritto d’ingerenza “umanitaria” disapplicati e respinti proprio dalla
    superpotenza americana che vorrebbe imporli al resto del mondo.
    E se questo processo disintegrativo si è realizzato più a fondo e celermente ad Ovest che non nell’Est
    “sovietico” e nei paesi del “Terzo Mondo” che adottarono almeno ufficialmente il marxismo, ciò è dovuto
    al fatto che, istintivamente, quei popoli e le loro élites realizzarono ben presto, nei fatti, una qual forma
    di NAZIONALCOMUNISMO, pratico se non teoretico, che (ribaltando i rispettivi ruoli assegnati all’origine
    dall’ideologia trionfante) seppe inquadrare la dottrina marxiana stessa ai singoli interessi nazionali,
    ricollegandosi, nonostante i presupposti teoretici materialistici, alle rispettive culture e civiltà talvolta
    plurimillenarie.
    E’ stato il caso di Cuba, della Cina, del Vietnam, della Corea del Nord, della Yugoslavia, oggi fra gli ultimi
    baluardi di difesa dei popoli dalla mondializzazione; come già fu per la Russia di ieri.
    Il Comunitarismo Europeo quale attualizzazione e superamento del Nazional-comunismo
    Allo stato attuale delle cose, e con la recente esperienza di quelle nazioni e sistemi sociali, possiamo
    affermare che la prossima, futura Lotta di Liberazione non può che essere Mondiale, come Mondialista, nei
    mezzi e nei fini, è il Potere d’intervento e repressione del Sistema imperialista americanocentrico.
    Essa deve essere quindi “INTER – NAZIONALISTA”, PER QUANTO CONCERNE GLI AGENTI IN CAMPO, e
    basata sulle GRANDI UNITA’ CONTINENTALI GEOPOLITICHE, PER QUANTO RIGUARDA LO SPAZIO E LA
    POSIZIONE dei popoli che ne fanno parte.
    In tale prospettiva è auspicabile un’Alleanza Quadricontinentale Antimperialista.
    In particolare la Liberazione dell’Europa è ipotizzabile soltanto in una dimensione geopolitica unitaria che
    va dall’Atlantico al Pacifico, cioè la penisola europea + la Federazione russa, oggi più che mai “europea” a
    pieno titolo, con gli immensi spazi logistico-strategici siberiani: l’Eurasia unita da Reykjavik a Vladivostok,
    dall’Atlantico al Pacifico.
    In questo quadro d’insieme planetario, il futuro Comunitarismo Europeo rappresenterebbe un naturale
    sviluppo ma anche un superamento dello stesso Nazionalcomunismo, come si è storicamente realizzato.
    Infatti, pur ponendosi su quel filone di pensiero, anzi portandolo alle estreme conseguenze, lo ingloba in
    una Nuova Sintesi che rimette in discussione sia il Nazionalismo che il Comunismo, nella loro teoria come
    nella pratica realizzazione storica.
    Possiamo allora affermare, per il momento, che una realistica prospettiva di Liberazione Continentale è
    ipotizzabile sì partendo dalle specificità nazionali, regionali e locali, dei popoli, ma ridefinendo queste in
    forme e contenuti adeguati ai tempi, inserendole in più estese e vitali unità Politiche, istituzionalmente
    organizzate come UNITA’ IMPERIALI CONTINENTALI, geopoliticamente unitarie ed economicamente
    autarchiche.
    Il vétero nazionalismo borghese, nato ideologicamente dal secolo dei cosiddetti “Lumi” e politicamente
    dalla Rivoluzione Francese del 1789, non solo ha fatto il suo tempo, essendo completamente inadatto ad
    affrontare le sfide globali del nuovo millennio ma, passato per la fase del colonialismo moderno e
    dell’imperialismo, sfocia oggi ‘proprio in un internazionalismo funzionale al progetto del Governo Unico
    mondiale. Esso, ricompattato a forza sotto l’egida dell’Europa Unita del e dal Capitale, si è più volte
    dimostrato completamente succube di fronte al ricatto mondialista, americano-sionista. L’unico
    supernazionalismo oggi trionfante su tutti i rivali è quello della talassocrazia USA dominante i mari e i
    cieli della Terra, santuario strategico inviolabile di quei Poteri forti storicamente ed economicamente
    caratterizzati da un cosmopolitismo apolide.
    Il XX secolo
    Il nazionalismo che abbiamo conosciuto in questi ultimi due secoli è il frutto della ideologia dei Lumi e
    della Rivoluzione Francese, forgiato dalla rivoluzione industriale e tecnologica dall’800 in poi, e
    trasformatosi in imperialismo su tutto il globo, specie da parte delle potenti talassocrazie anglofone e
    dalla Francia.
    Il Ventesimo secolo dell’era cristiana che ci lasciamo alle spalle ha assistito allo scontro sanguinario dei
    nazionalismi europei in ben due Guerre Mondiali a distanza di una generazione. Una vera e propria
    “guerra civile europea” che li ha visti tutti soccombenti, tutti sconfitti, anche quelli che sedettero al tavolo
    dei vincitori a Yalta e a Postdam.
    Nel secondo dopoguerra infatti abbiamo assistito al sistematico smantellamento dei rispettivi imperi
    coloniali europei, favorito dal neo-imperialismo USA, che ad essi si è sostituito in ogni angolo del globo.
    La stessa Unione Sovietica, unico rivale credibile nella eterna contrapposizione tra Potenze terresti e
    marittime, è uscita alfine sconfitta, disintegrata e piegata al volere mondialista alla fine della Terza Guerra
    Mondiale: “guerra fredda” solo in quello spazio geo-strategico che era l’Europa divisa dei blocchi, ma
    guerra sanguinaria di conflitti locali, di golpe militari, di blocchi economico-commerciali, guerra ideologicopolitica
    e tecnologico-strategica dappertutto.
    Siamo in presenza di un mondo unipolare americanocentrico, articolato e ramificato in un Sistema
    gerarchizzato e piramidale di rapporti politici subordinati.
    Alcune medie potenze sono sottoposte, nelle rispettive aree geopolitiche di appartenenza (Germania per
    l’Europa, Giappone in Asia, Australia in Oceania ecc.), ad un ruolo di esecutori e guardiani, valvassori e
    valvassini del nuovo ordine mondiale; anche nella prospettiva di un passaggio i n atto tra il
    monocentrismo capitalista americanocentrico ed un policentrismo che favorirà il risorgere di governi di
    centro-destra, liberal-liberisti, fautori di un neonazionalismo più funzionale alla dominazione capitalista
    del Mondialismo, al trionfo del suo progetto finale che travalica lo stesso fattore economico materialistico.
    In simile prospettiva e ridefinizione di ruoli, il nazionalismo Sette-Ottocentesco non solo non ha più ragion
    d’essere come fattore di unità, sovranità, indipendenza e liberazione dei popoli, ma in Europa è oggi il più
    puntuale strumento di asservimento delle rispettive popolazioni al Dominio Planetario Mondialista.
    Compito che svolge uniformando, all’esterno come all’interno, legislazioni ed istituzioni agli interessi della
    superpotenza dominante e del Mercato Globale e conducendo nei rispettivi “domini delegati” una sempre
    più palese e massiccia opera di repressione e persecuzione di qualsivoglia, anche velata forma di
    contestazione e non omologazione al modello dominante del Pensiero Unico.
    Omologazione alla quale sette, massonerie varie e istituzioni ecclesiastiche offrono il loro apporto
    ideologico-dottrinario, la sottomissione dei propri seguaci e la benedizione sacramentale.
    MONDIALISMO E GLOCALIZZAZIONE
    A dispetto di questo quadro sconfortante, non possiamo non notare che sempre più uomini d’élite e
    popoli, quasi per innato istinto di resistenza e conservazione, tendono a contrapporsi all’omologazione
    totalitaria del Capitale, al capitalismo nelle sue forme più selvagge ed aberranti, le cui conseguenze
    disastrose sotto il profilo sociale ed ecologico sono più evidenti di quelle culturali e spirituali, pur sempre
    presenti.
    In particolare, accanto ad un processo di globalizzazione imposto dall’alto tramite istituzioni politiche e
    religiose, media, lavaggio del cervello o strumenti repressivi tout court, assistiamo ad un istintivo ritorno
    popolare alla LOCALIZZAZIONE, al recupero delle proprie radici culturali e storiche, alla difesa, anche
    miope e scomposta, della propria specificità, nonché ad un recupero dell’equilibrio con la natura e il
    territorio.
    La coscienza ECOLOGICA è sempre più diffusa anche se resta soccombente di fronte all’offensiva
    inarrestabile della tecnologia più devastante e distruttiva (si pensi solo per fare un esempio ai disastri
    ecologici del petrolio).
    Questo processo di revisione e restaurazione dei Valori è stato definito come GLOCALIZZAZIONE, perché
    unisce rappresenta la sintesi tra un ritorno al particolare e una presa di coscienza della generalità ed
    interdipendenza dei problemi della Terra intera.
    All’inizio del Ventunesimo secolo è oramai evidente, sotto gli occhi di tutti l’equazione: “Progresso”
    tecnologico, sperimentazione bio-tecnologica, informatica e similari = REGRESSO dell’Uomo nella sua
    integrità fisica, biologica, mentale, sociale.
    La concezione lineare-progressista e progressiva di una Storia e Civiltà dell’Umanità, intesa come unitaria
    ed unidirezionale, ha fatto il suo tempo. Essa è in piena crisi avendo dimostrato la sua falsità e
    perversione che rende l’uomo non più libero, cosciente e felice, ma sempre più schiavo, ottuso ed infelice.
    La stessa “esplosione demografica” in una parte del pianeta e la denatalità delle società industrializzate
    non rappresentano che le due facce di una stessa medaglia, i due problemi creati dalla stessa causa:
    l’ideologia modernista che ha preparato il campo al dominio totale del Capitale sull’Uomo.
    Si realizza drammaticamente la previsione del disastro annunciata in TUTTE le Culture Tradizionali, (pre-
    Visione in quanto Ricordo del già avvenuto in ere passate), basate su una concezione “circolare” della
    Storia; per esse Rivoluzione è dunque un revolvere, tornando alle Origini, dopo aver attuato una sintesi
    dialettica delle antitesi.
    nell’Armonia generale del Cosmo.
    Lungi da catastrofismi apodittici essa è propedeutica alla dottrina delle Tre Liberazioni in quanto ne
    riconosce la Realtà, la Validità e l’Ineluttabilità, sia sul piano logico che ontologico.
    TERRA DEGLI AVI E TERRITORIO DI LOTTA
    Per quanto riguarda più specificatamente la Libertà Nazionale quindi, quest’ultima presuppone una
    ridefinizione della Nazione stessa, della sua natura, della sua origine come dei suoi fini.
    Se sul piano più ideale, la formulazione più perfetta è quella che definisce la “Patria il luogo dove si
    combatte per la propria Idea”, per la Visione del Mondo, sul piano storico essa rappresenta
    nell’Immaginario Collettivo di una Comunità “la Terra dei Padri”, degli Avi: quella che fu conquistata con
    la Lotta, fruttificata con il Lavoro, sacralizzata dalla presenza dei Lari, degli Antenati. Infine, sotto
    l’aspetto politico-programmatico quella nazionale è “Comunità di Destino” nella Storia e nello Spazio
    geografico, entrambe analizzati e studiati nelle direttive strategiche di lungo periodo dalla GEOPOLITICA.
    Il concetto di microcomunità è tornato in auge anche come difesa e contraltare alla dispersione ideale,
    ideazionale e fisica dell’uomo moderno nel cosidetto “villaggio globale”, informatico e politico, che
    assomiglia sempre più ad una “jungla planetaria” o, meglio, ad un “deserto” postatomico, esteriore
    quanto interiore; realizzando ancora una volta la profezia di chi disse che “all’inizio delle Civiltà c’è la
    foresta, alla sua fine il deserto”!
    La sua forma degenerativa è però rappresentata dalla difesa gretta ed egoistica del proprio microcosmo
    economico-sociale, dal rifiuto di ogni forma di solidarismo nazionale ed internazionale, in un’ottica miope
    e provincialistica talvolta peggiore dei nazionalismi di vecchio stampo e sempre alla fine autolesionistica.
    LE TRE PROPRIETA’
    La Dottrina delle Tre Liberazioni ha una risposta coerente in campo sociale al grande problema della
    Proprietà che ha lacerato il XX secolo.
    Essa riconosce tre tipi di Proprietà:
    la Proprietà Nazionale, la Proprietà Sociale e la Proprietà privata ad uso sociale.
    Di fronte allo strapotere della Globalizzazione mondiale, delle multinazionali, delle lobbies industrialfinanziarie,
    di tutti i potentati economici e politici estranei alla Nazione ed al suo destino, è assolutamente
    indispensabile che la Comunità sia liberata dai lacci economici che la strangolano, assicurando beni e
    servizi essenziali ai cittadini.
    Per questo motivo lo stato nazionale comunitario deve avere la proprietà delle risorse che hanno interesse
    generale per tutta la comunità, per il suo benessere e la sua indipendenza.
    LA PROPRIETA’ NAZIONALIZZATA
    E’ quindi prevista la nazionalizzazione senza indennizzo di Banche (a cominciare da quella Banca “d’Italia”
    che è tale solo di nome; solo lo Stato può e deve batter moneta), Assicurazioni, industrie del comparto
    energetico (con trattative dirette verso i produttori, senza intermediazioni delle multinazionali),
    telecomunicazioni, concentrazioni industriali di interesse nazionale e strategico (alimentari, armamento,
    informatica ecc…). Ovviamente scuola, salute, trasporti e simili sono priorità di assoluto interesse
    nazionale che non possono essere lasciate a privati.
    Insomma tutto quello che è di interesse generale deve appartenere alla Comunità popolare.
    LA PROPRIETA’ SOCIALIZZATA
    E’ la proprietà di aziende, industrie, beni e servizi che riguardano una parte della comunità nazionale o
    locale, e soprattutto i diretti interessati, cioè coloro che vi lavorano e ne ricavano il sostentamento per sé
    e i propri familiari.
    Tutte queste saranno socializzate e diverranno quindi proprietà indivisa ed incedibile dei lavoratori
    organizzati; i quali ne saranno allo stesso tempo proprietari come acquirenti di quote azionarie e
    responsabili verso la Comunità nel suo insieme, che controllerà produzione e gestione attraverso appositi
    Commissari Politici e Sociali.
    Va da sé che nello stato nazionale non possano esistere concentrazioni industriali e/o finanziarie tali da
    poter minimamente influenzare, per estensione o ricchezza, le scelte politiche comunitarie. La Politica
    deve sempre e comunque guidare l’Economia, mai il contrario!
    LA PROPRIETA’ PRIVATA
    Lo stato deve riconoscere la piccola Proprietà privata, quella dei beni e d’uso:
    “la casa e le cose" per dirla sinteticamente.
    Ma la proprietà privata deve essere sempre e comunque anche al servizio della comunità.
    Una proprietà privata che non rispetti questo imperativo o addirittura lo contrasti non può esistere; essa
    viene immediatamente sequestrata senza contropartita e nazionalizzata.
    Alcuni esempi: la casa lasciata sfitta, il campo non coltivato, la piccola fabbrica a gestione familiare che
    inquini l’ambiente con i suoi fumi e scarichi, ecc…
    La proprietà privata può esistere SOLO se ha uno scopo sociale, un fine comunitario di sviluppo per tutti.
    E questo vale sia a livello locale che generale. Il chè ci introduce alla questione della LOCALIZZAZIONE e
    delle grandi UNITA’ CONTINENTALI.
    PICCOLE PATRIE E GRANDI IMPERI
    Se la “nazione-stato” degli ultimi due secoli è completamente inadeguata al confronto con la
    Globalizzazione ed il progetto Mondialista di dominio planetario, a maggior ragione le “piccole patrie”, a se
    stanti, sono completamente inermi di fronte al pericolo dell’omologazione planetaria; anche se favorite da
    un maggior radicamento ambientale e culturale (non sempre e non dappertutto).
    Il rischio più immediato è quello di scambiare tale ritorno alle radici per semplice recupero folklorico, tra
    canti, balli e cucina per un turismo di massa in cerca del “colore locale”.
    Aspetti che il Mondialismo ha dimostrato di saper ben recuperare ed inserire nel proprio Progetto, anche
    con accurati studi di mercato sulla differenziazione qualitativa delle merci in funzione delle differenze
    etno-culturali, del resto sempre più labili, superficiali e “imbastardite”.
    Il pericolo più subdolo è che, addirittura, la lotta di liberazione “localista” dal centralismo nazionalitario dei
    secoli passati, divenga a sua volta strumento del Mondialismo stesso per piegare alla propria volontà ed ai
    suoi sordidi progetti le nazioni che ancora resistono e non intendono piegarsi all’imperialismo americano
    ed all’interesse capitalistico.
    IL RUOLO DELLA GEOPOLITICA
    Questo spiega ampiamente la differenza di atteggiamento dell'imperialismo USA e dei suoi manutengoli
    europei ed asiatici nei vari scacchieri delle crisi tra stato centrale e sue minoranze etniche: Serbia-
    Kossovo, UE-Austria, Russia-Cecenia, Turchia-Kurdistan (ma anche Iran/Iraq-Kurdisthan), Indonesia-
    Timor Est in periodi differenti, ecc…ecc…
    Persino le posizioni verso singoli personaggi politici e movimenti rivoluzionari sono mutati sulla base del
    medesimo progetto. Un esempio per tutti: Arafat e l’OLP> Israele. Da “terrorista internazionale” a premio
    Nobel! E soprattutto strumento-ostaggio nelle mani del Sionismo, dentro e fuori Israele.
    Soltanto il ruolo di quest’ultimo resta immutato per l’ovvio motivo che rappresenta, a livello di struttura
    internazionale portante, il motore stesso del Mondialismo, in tutti i suoi aspetti: economico, mediatico,
    ideologico-religioso, politico e via elencando. Nonché un sito geostrategico di dominazione sul “Vecchio
    Mondo” unico.
    E’ allora evidente che l’unica via realistica e giusta per la Liberazione Nazionale d’Europa, quale esempio
    anche per tutti gli altri popoli, risieda nell’UNITA’ GEOPOLITICA CONTINENTALE, nell’Europa Unita
    dall’Atlantico al Pacifico, l’ Eurasia dei geopolitici, cioè tutta la penisola e le isole europee + la Federazione
    Russa.
    Ed in tale contesto storico futuro, nel XXI secolo, quest’ultima avrà certamente un ruolo guida per la Lotta
    di Liberazione Continentale. Anche nelle sue più piccole articolazioni.
    Prima di tutto il continente Eurasia deve liberare se stesso e scrollandosi di dosso il giogo imposto dalla
    Finanza Mondiale che ne depreda le risorse e ne affama il popolo, distruggendolo materialmente e
    spiritualmente con i veleni più scoperti dell’occidentalizzazione.
    Per le sue dimensioni, per la vastità delle sue terre vergini e ricchissime di materie prime, per la
    sostanziale tenuta del suo popolo nonostante l’aggressione mondiale da almeno due secoli, la Russia,
    potenza terrestre in naturale conflitto con le talassocrazie anglofone, è la più naturale candidata al ruolo
    di guida della Liberazione Continentale Europea.
    Mosca (la “Terza Roma” dei mistici russi) sarà la candidata ideale per la riscossa antimondialista
    dell’Europa dei cento popoli sotto una sola bandiera!
    Essa giocherà, mutatis mutandis, il ruolo che , per esempio Piemonte e Prussia ebbero nell’Ottocento nella
    creazione rispettivamente delle Nuove Nazioni, Italia e Germania, poi ritrovatesi unite dal Destino nella
    sconfitta di tutta l’Europa; sconfitta propiziata proprio dal loro scontro con la Russia a sua volta vittima
    postuma, dopo mezzo secolo, del comune Nemico del genere umano.
    Del resto la Russia stessa non potrebbe mantenere la propria sostanziale indipendenza, come si è
    dimostrato, isolandosi dall’Europa in un panslavismo nazionalistico anch’esso ottocentesco, pensando di
    affrontare su simili basi la sfida del MONDIALISMO nel secolo ineunte, che è sfida globale per il dominio di
    tutto il pianeta e delle sue risorse, quelle russe in primis.
    IMPERIUM CONTRO IMPERIALISMO
    In tale contesto allora la Lotta di Liberazione Nazionale delle Patrie Locali d’Europa troverà la sua
    possibilità di realizzazione ed il suo sbocco naturale nel nuovo concetto di
    IMPERIUM CONTINENTALE EUROPEO.
    La stessa esistenza di un simile progetto lo porrebbe naturaliter in conflitto totale con il Potere
    Mondialista. Esso determinerebbe infatti, inevitabilmente, la sconfitta definitiva del dominio totalitario
    americano-capitalista, non solo in Europa, ma in tutto il mondo.
    Del resto la tendenza all’unificazione delle Grandi Aree Etno-Culturali e Geopolitiche è già oggi in atto,
    studiata dagli stessi politologi anglofoni più avveduti e dai geopolitici più spregiudicati.
    Una tendenza generale, ineluttabile e necessaria, che attende solo una PRESA DI AUTOCOSCIENZA della
    realtà storica e geografica delle Unità Geopolitiche in questione, unita ad una speculare IDENTIFICAZIONE
    DEL NEMICO OGGETTIVO GLOBALE di tutti i popoli su tutti i continenti ed oltre…
    La concezione circolare della Storia per sua stessa natura non può essere conservativa o reazionaria; essa
    è etimologicamente RIVOLUZIONARIA.
    Questo spiega perché una concezione “imperiale” e comunistica (quindi antimperialista) dello Stato,
    fondata sì sulla specificità dei popoli nelle loro ricche e molteplici differenze, ma realizzata nell’UNITA’
    GEOPOLITICA CONTINENTALE, sia quanto mai attuale e “futuribile”.
    Essa risponde alle esigenze di una lotta credibile e fattibile alla globalizzazione capitalista, difende la
    libertà e specificità dei popoli che la compongono proprio con l’Unità e guida la lotta di liberazione dei
    popoli di tutto il mondo ponendosi all’avanguardia di un’ALLEANZA QUADRICONTINENTALE
    ANTICAPITALISTA ED ANTIMPERIALISTA.
    Tutto il contrario del Nazionalismo centralista post-Rivoluzione Francese, che impose, in Europa e
    ovunque nel mondo un modello unico, il quale dette la peggior prova di se durante la fase coloniale e le
    “Guerre Civili” europee di questo secolo XX. Finendo per ridursi a sua volta a colonia dell’imperialismo
    talassocratico d’oltre Atlantico.
    E che oggi, ridotto ad un unico comune d(en)ominatore, arriva alla sua naturale degenerazione centralista
    e totalitaria ruotante attorno al baricentro atlantico, avvolgendo nelle sue spire tutto l’orbe terracqueo.
    Quindi per sintetizzare al massimo: Impero Europeo di popoli liberi contro Imperialismo Mondialista
    Americanocentrico + Vetero-Nazionalismi.
    I quali ultimi, pur nella fase policentrista del Capitalismo, sono cementati da un’unica ideologia e da un
    solo progetto (nel quale ricoprono compiti particolari ma convergenti) in una sorta di “regionalizzazione”
    dei ruoli e delle funzioni su base geopolitica.
    Sempre e comunque incentrata, politicamente e militarmente, sul ruolo egemone della superpotenza USA,
    liberista nella teoria quanto monopolista nella pratica, fautrice della globalizzazione dei mercati e
    dell’omologazione dei popoli, al fine di favorire il dominio di una ristretta casta privilegiata di cosmopoliti
    “biblici”, nel senso sombartiano e weberiano del termine.
    LA LOTTA di LIBERAZIONE : La nostra risposta
    Essa inizia dalla lotta di resistenza e riscossa politica e culturale del continente Eurasia.
    Prosegue come Lotta di Liberazione dal dominio imperialista d’oltre Atlantico, veicolo armato del Progetto
    di Dominazione Mondialista da parte di un’Oligarchia economica, politica, ideologica ed etnica
    profondamente razzista (specie nel senso di “razza dell’anima”) ed anti-europea. Oligarchia che assogetta
    le menti appiattendole sotto il totalitarismo del Pensiero Unico e ricattando i popoli europei con le
    menzogne sul proprio passato, al fine di dividerli e contrapporli in guerre politiche ed etniche fratricide.
    La nostra Lotta di Liberazione approda infine ad una COMUNITA’ DI DESTINO a respiro continentale,
    cementata, nella sua ricca e creativa molteplicità, da una comune d’origine e, quel che più conta, da una
    Missione di Liberazione planetaria.
    E’ evidente che siamo in presenza di due Concezioni della Vita, del Mondo, dello Spirito, della Comunità
    politica e sociale, dell’Esistenza, della Storia completamente, totalmente ed irrecuperabilmente
    ANTITETICHE, ANTAGONISTE ed AUTOESCLUDENTISI.
    Sia a livello fisico che metafisico. Come tali destinate a scontrarsi in eterno.
    Quella delle Tre Liberazioni è la nostra risposta dottrinaria che prepara, attraverso le sue élites culturali e
    politiche, la presa di coscienza di un popolo intero; presupposto indispensabile per tradurre il pensiero in
    atto, la conoscenza della situazione reale in azione di popolo.
    Per realizzarsi nei fatti questa azione dovrà darsi una struttura militante, uno strumento politico che
    sappia coniugare teoria e prassi rivoluzionarie: la realizzazione della Dottrina delle tre Liberazioni sul
    piano storico, passando per tutte le fasi della quotidiana lotta di liberazione nazionale, sociale e culturale
    fra e per i rispettivi popoli.
    IL RUOLO GUIDA RIVOLUZIONARIO PER LA LIBERAZIONE
    A tal fine riteniamo indispensabile la creazione di un COORDINAMENTO NAZIONALE EUROPEO (sotto
    forma di Movimento d’Avanguardia, tanto articolato nelle sue diramazioni territoriali, quanto unitario nella
    sua Dottrina Politica e nelle sue élites dirigenti).
    Un Movimento quindi trans-nazionale europeo, del quale le articolazioni a livello di singole nazioni non
    siano che le “sezioni territoriali locali”.
    Tale Movimento (inizialmente di “quadri” militanti, per poi divenire Forza Unita di Popolo) dovrà essere
    quanto mai articolato ed elastico, a seconda delle condizioni locali in cui si troverà ad operare nelle varie
    realtà d’Europa; sarà esso stesso il riflesso della molteplicità arricchente dei nostri popoli.
    Tuttavia, proprio per questo, dovrà preventivamente porre e porsi dei confini ben netti, degli obiettivi
    strategici ben definiti, una politica tendenzialmente unitaria. Dovrà insomma avere una stessa visione del
    mondo, della lotta, degli obiettivi primari da raggiungere.
    Siamo assolutamente certi che la presente DOTTRINA DELLE TRE LIBERAZIONI rappresenti una buona
    piattaforma di partenza sulla quale costruire il futuro per la Liberazione Nazionale, Sociale ed Culturale dei
    popoli dell’Europa Unita.
    APPENDICE
    LA QUARTA LIBERAZIONE
    Abbiamo accennato all’inizio ad una QUARTA LIBERAZIONE: la Liberazione Spirituale.
    Essendo il presente un documento propriamente politico a carattere comunitario, faremo solo un breve
    accenno ad una questione che riguarda la sfera più intima e riposta di ogni uomo, e solo per quanto
    concerne la sua proiezione politica e sociale, che invece coinvolge tutta la comunità.
    Lo Stato comunitario tutela, difende e propone i Valori spirituali del singolo come di tutto il popolo.
    Riconosce libertà di culto e anzi favorisce ogni manifestazione di “pietas” pubblica e di devozione
    popolare. Basandosi sulla convinzione dell’Unicità originaria della Tradizione primordiale, articolatasi nella
    varie forme ed espressioni “cultuali”, l’Europa Unita di domani non solo garantirà le varie religioni
    presenti sul suo territorio, ma si farà essa stessa portatrice di una FUNZIONE ANAGOGICA E SACRALE.
    Ognuno sarà libero di adorare il Principio Superiore in cui si identifica, con il solo limite delle leggi dello
    Stato e dell’interesse vitale della Comunità nel suo insieme, la cui libertà non deve essere sottoposta ad
    attacchi, pressioni o ingerenze di sorta in tutti i campi del politico e del sociale che ad essa competono:
    difesa, istruzione, salute, campo sociale, cultura, ecc.
    Rifiutando una visione “laica”, o peggio materialista, lo Stato Comunitario non solo si pone a difesa di
    tutte le fedi compatibili con i suoi Valori fondanti, ma si fa Egli stesso PORTATORE DI VALORI
    SPIRITUALI, “ponte” verso un superiore Piano dell’Essere, anche con cerimonie e Riti di Stato, come fu
    nella prisca romanità e in tutte le società Tradizionali.
    Massimo valore sarà dato al Culto degli Avi, così ricollegandosi alla propria Storia, alla catena ininterrotta
    della stirpe della Comunità di Destino radicata nella Terra propria ai popoli europei.
    La quale considerazione ci riporta circolarmente all’inizio del nostro excursus: alla LOTTA DI
    LIBERAZIONE DELL’EURASIA, la nostra TERRA DEGLI AVI.

    Carlo Terracciano

  6. #16
    Nimmo
    Ospite

    Predefinito

    Introduzione di Carlo Terracciano alla "Dottrina Bush"
    LE MONDE diplomatique - Novembre 2001

    “L’ Impero del Bene” e i suoi piani
    per il futuro del mondo
    “L’esercito americano è il miglior amico
    degli indiani”- Generale Caster

    Nel 1996 il grande storico inglese David Irving scrisse “Nuremberg, the last battle”, ora disponibile anche in italiano per le edizioni Settimo Sigillo col titolo “Norimberga ultima battaglia”. Oltre a descrivere, documentatissimo come al solito, la cronaca del processo ai vinti della II Guerra Mondiale da parte dei vincitori, i retroscena, gli interrogatori, le torture, l’occultamento di documenti fino all’infame epilogo delle condanne a morte per impiccagione, la tesi fondamentale del libro è che tutti i crimini di cui venivano incolpati i tedeschi erano stati ed erano a loro volta commessi da americani e russi, inglesi e francesi: “…intere popolazioni bombardate, assassinate, brutalizzate, assoggettate, deportate o messe in schiavitù, nazioni neutrali invase con l’inganno o con qualche pretesto, convenzioni internazionali ripetutamente violate". Un milione di soldati tedeschi internati morirono nei campi americani e francesi, che nulla ebbero da imparare dai russi in fatto di brutalità e deliberato sterminio. Sono passati quasi sessanta anni ed è con profondo turbamento, con orrore che oggi constatiamo come nulla sia cambiato nel comportamento degli odierni vincitori, in particolare per quanto concerne la superpotenza egemone mondiale rimasta dopo il crollo dell’URSS, gli Stati Uniti d’America, con il suo codazzo di alleati di ieri e di oggi, dall’Inghilterra ad Israele. Mentre quel circo mediatico della vendetta e del sovvertimento del Diritto Internazionale rappresentato dal Tribunale Internazionale dell’Aja conduce le nuove vendette postume sui vinti di ieri e di oggi per conto di Washington (salvo “staccare la spina” quando l’imputato Milosevic denuncia l’illegalità del procedimento e i crimini dei suoi nemici-testimoni d’accusa), gli Stati Uniti continuano a macchiarsi di ogni efferatezza, di ogni delitto, di ogni crimine e genocidio previsto dalle leggi internazionali. L’Amministrazione Bush, utilizzando il “provvidenziale” attacco a New York dell’11 settembre 2001 (e i cui retroscena pian piano emergono alla luce inchiodando proprio lui e i suoi uomini alla responsabilità per quei morti), ha scatenato una guerra d’aggressione nel mondo intero. La potenza militare americana, la connivenza di governi intimoriti e ricattati, in primis quello di una Russia passata da “impero del Male” a succube e autolesionista complice di second’ordine, l’umiliante sudditanza delle Nazioni Unite, l’arroganza sionista del boia Sharon, tutto concorre a far credere all’America che ogni suo atto criminale e contrario alla civile convivenza internazionale resterà impunito. Una satanica arroganza che invece, ne siamo assolutamente certi e facili profeti, condurrà il popolo americano, gli Stati Uniti stessi al disastro in meno tempo di quanto si creda. Il documento che segue, il testo integrale della cosiddetta “Dottrina Bush”, in realtà frutto dello staff militar-industriale che ha supportato l’ascesa al potere del padre e del figlio, va letto con la massima attenzione per almeno due motivi principali: l’ASSOLUTA IPOCRISIA retorica della sua ideologia di fondo e IL VELENO che si cela tra le righe, e talvolta scopertamente traspare. “Libertà”, “democrazia”, “diritti umani”, “libero commercio”, “equità”, “giustizia”, “garanzie per minoranze etniche, religiose, politiche” sono parole e parole che si susseguono in ogni pagina, quasi ad ogni capitolo, mentre la mente del lettore corre alle notizie di cronaca internazionale che quotidianamente le smentiscono nel loro contrario. Perché in realtà, quello che si intende con esse è che il loro valore è rapportabile SOLTANTO all’interesse geostrategico, economico, politico e militare degli Stati Uniti stessi, in quanto sede privilegiata e bastione armato delle lobby internazionali economiche, politiche e religiose che possiamo collettivamente definire MONDIALISMO. Secondo il manicheismo biblico americano, se il XX secolo fu “diviso da una straordinaria lotta per gli ideali: visioni totalitarie e distruttive contro libertà ed eguaglianza”, oggi “la strategia statunitense per la sicurezza nazionale sarà basata su di un internazionalismo squisitamente americano che rifletta l’unione dei nostri valori e dei nostri interessi nazionali”. Più chiari di così… Il resto del mondo è avvertito. Loro sono “l’Impero del Bene”, della libertà (di fare quel che vogliono) e della democrazia (sempre per americani, o meglio per la ristretta cerchia di oligarchi mondialisti: insomma una plutocrazia); chi si adegua può avere un ruolo di servo nella casa del padrone, per chi non si adegua o peggio osa opporsi fame e infamia, ferro e fuoco. Atomico se non basta. E per dare una continuità anche ideale alla lotta americana all’Eurasia e al mondo è stato rispolverato persino il concetto di “Asse del Male” che riunisce il riferimento alle potenze dell’Asse della II Guerra Mondiale e l’impero del Male sovietico nella “III Guerra Mondiale”, la Guerra Fredda, che ha portato la Russia alla disintegrazione. E se dio ha dato agli USA la vittoria in entrambe i casi è evidente il Destino Manifesto che vuole la Nuova Israele estesa dall’Atlantico al Pacifico dominare su tutto il pianeta. La vera Israele ha invece il ruolo “della coda che muove il cane”. La lotta al terrorismo è globale, afferma il documento, ed in quanto tale non c’è limite territoriale e continentale all’intervento militare e poliziesco degli USA. E quando i singoli governi, pur alleati e succubi, tentennano o non sono all’altezza del compito loro imposto “sopperiremo noi alla forza di volontà e alle risorse mancanti”. Con le nuove regole approvate da tutto il Congresso americano, le stesse leggi di garanzia dei diritti vengono da una parte annullate per i nemici catturati (es: rapimento, uccisione segreta, processi segreti davanti a tribunali militari senza difesa e comminanti la pena di morte), dall’altra estesi nel tempo e nello spazio, cioè retroattivamente e scavalcando le legislazioni di tutti gli “stati sovrani” della Terra. A confronto della Dottrina Bush di intervento, anche il processo di Norimberga e quelli dell’Aja sembrano quasi il massimo del Diritto e della legalità. Infatti si teorizza a chiare lettere la “legittimità dell’attacco preventivo [a prescindere dalla] esistenza di una minaccia imminente, anche di “moderata entità alla nostra sicurezza nazionale”. Insomma: decidiamo noi chi e quando è pericoloso e come e dove attaccarlo! Ma dove il documento Bush raggiunge gli apici dell’assurdo, del grottesco, è nella definizione dei cosiddetti “stati canaglia”. E’ una rappresentazione farsesca dell’avversario demonizzato che sarebbe anche comica proprio se confrontata con l’America e la sua politica interna ed estera, se non fosse invece tragica per le conseguenze che ha avuto, ha ed avrà sui popoli vittime dell’american way of life. Gli “stati canaglia” “abbrutiscono il proprio popolo e sperperano le proprie risorse nazionali nell’interesse personale dei governanti”! “non mostrano alcun riguardo per il diritto internazionale, minacciano gli stati confinanti e violano gravemente i trattati internazionali di cui sono contraenti” !! “sono decisi ad acquisire armi di distruzione di massa, oltre ad altre tecnologie militari d’avanguardia, per usarle a scopo di minaccia o di offesa nel perseguimento dei disegni aggressivi dei propri regimi” !!! “sostengono il terrorismo su scala globale” !!!! infine “rifiutano i valori umani basilari e ODIANO GLI STATI UNITI PER TUTTO CIO’ CHE ESSI RAPPRESENTANO” [chissà perché!?- nota nostra] e… !!!!! punti esclamativi ad libitum… Non sappiamo se chi ha scritto per Bush queste righe abbia un sottile senso dell’humor o sia veramente convinto di simili paranoie. Una cosa è certa: OGNI PAROLA DI QUESTA DESCRIZIONE SI ATTAGLIA PERFETTAMENTE ED IN TOTO AGLI STATI UNITI D’AMERICA, l’unico, vero, completo STATO CANAGLIA del mondo, l’Impero del Male, del sopruso, della menzogna elevata ad arte di dominio, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, del popolo sui popoli, del genocidio ed etnocidio pianificati con decenni d’anticipo. Per quanto poi riguarda il mondo islamico oggi sotto attacco (e già si pensa alla Cina) le ultime pagine sono agghiaccianti: “La guerra al terrorismo non è uno scontro di civiltà. Rivela tuttavia lo scontro all’interno di una civiltà, una battaglia per il futuro del mondo mussulmano”. E saranno ovviamente gli USA a decidere chi è il “mussulmano buono” e chi no. Il primo passo per l’omologazione o l’annientamento. Non siamo ancora alle teorizzazioni del generale dai “lunghi capelli biondi” e delle “giacche blu” sull’ indiano buono/indiano morto, ma poco ci manca. E poi, in fondo, Caster non aveva proclamato l’esercito yankee “il miglior amico degli indiani”? La caccia all’ “islamico cattivo” secondo i parametri americani e sionisti è in atto da tempo in tutto il mondo. Ed in atto è il clima di linciaggio in nome della “difesa della civiltà occidentale e cristiana” dal terrorismo. A tale scopo, per scendere nel piccolo e nel volgare, vengono utilizzati persino microgruppuscoli di estremisti di destra, fanatici religiosi, per aizzare lo scontro tra le religioni e i popoli dell’Eurasia. Certe recenti violenze letterarie (valga per tutte il caso Fallaci, ma anche gli scritti di certa “nuova”destra reazionaria francese) o più teppisticamente fisiche (aggressioni e pestaggi di esponenti islamici in…diretta TV) non sono che la traduzione in piccolo, a livello di feccia nazionale oggettivamente strumentalizzata , della strategia globale della Dottrina Bush. Sotto il velo ipocrita della lotta al terrorismo e agli stati canaglia il presente documento rappresenta il programma esplicito del terrorismo internazionale del Superstato canaglia per antonomasia: gli Stati Uniti d’America. E’ quindi doveroso conoscerlo, ma anche utile per il futuro: quando cioè il mondo si sarà liberato di questi criminali internazionali e potrà finalmente trascinarli al Tribunale dei Popoli e della Storia, avendo in mano il documento scritto e firmato delle loro malefatte, del loro progetto folle e sanguinario di dominio globale.


    Carlo Terracciano

  7. #17
    Nimmo
    Ospite

    Predefinito

    Due libri di Carlo per le edizioni "Noctua".





    RIVOLTA

    contro il mondialismo moderno

    Carlo Terracciano

    pp. 166 - € 15,00


    Un testo indispensabile per uomini che non si sono mai arresi e per giovani che cominciano oggi a combattere per il proprio futuro, per la libertà nazionale e l'unità d'Eurasia.
    www.alternativa-antagonista.com

    Sommario

    LA RUOTA E IL REMO

    Habitat e paesaggio

    La geopolitica

    Forme viventi nel tempo ciclico

    La ruota e il remo, ovvero Terra e Mare

    La perdita del Centro

    Un Mondo, due Mondi, tre Mondi…

    Geopolitica: la coscienza dei popoli liberi

    Mondialismo e globalizzazione

    Occidente contro Europa

    La migrazione dei popoli come strumento mondialista di dominazione

    La nuova fase policentrica dello Stato Imperialista delle Multinazionali

    Scontro di Civiltà sulla Grande Scacchiera

    Il nuovo bipolarismo: Eurasia > America

    "Teoria dei Tre mondi" e Quadricontinentale: tra fede e politica

    La Dottrina delle Tre Liberazioni

    Le Tre Liberazioni

    L’uomo nella "natura" e nella Storia

    La Liberazione nazionale…

    ...la Liberazione sociale…

    ...la Liberazione culturale

    Libertà e Liberazione

    Unità e trinità della Lotta di Liberazione

    Liberazione "da" e Liberazione "per"

    Per un nuovo inter-nazionalismo Eurasismo quale attualizzazione e superamento del Nazionalcomunismo

    Il XX secolo

    Mondialismo e glocalizzazione

    Terra degli Avi e Territori di Lotta

    Le tre proprietà

    La proprietà nazionalizzata

    La proprietà socializzata

    La proprietà privata

    Piccole patrie e grandi imperi

    Il ruolo della geopolitica

    Imperium contro imperialismo

    La lotta di liberazione: la nostra risposta

    Il ruolo guida rivoluzionario per la liberazione



    EUROPA

    La Terza Liberazione

    La nazione in Occidente

    Borghesie nazionali e nemico mondiale

    Localismo e globalizzazione

    Per un socialismo europeo

    Extracomunitari o europei?

    Xenofobia e razzismo

    La lotta di liberazione europea come avanguardia mondiale

    Il ruolo della borghesia nazionale speculativa

    La nostra rivoluzione culturale

    Per il movimento di liberazione

    La quarta liberazione



    2001: PALESTINA ANNO ZERO

    Un aborto annunciato

    La Palestina nella geostrategica continentale

    USA e Israele: le vere ragioni geopolitiche

    Mano alle carte

    Geografia sacra e geopolitica

    Qualche cifra

    La soluzione: ancora e sempre "guerra alla guerra imperialista"

    "Che Dio maledica il Papa…!"



    LO SCORPIONE NEL CESPUGLIO

    Guru magnetici…

    …e cespugli "compassionevoli"

    Messianismo e geopolitica: una ricetta per tre secoli

    La via dei mari

    Frontiera mobile

    Dalla dottrina dei "due fronti" allo scudo spaziale

    Union Jack su tre continenti

    Il mare alla conquista della terra

    La nuova fase policentrica del SIM

    Mediterraneo: lago americano e destra reazionaria

    Celeste Impero e "Quarta Sponda"

    La "bella" chiave dell’Asia e del Pacifico

    La grande implosione

    La fine dell’Impero

    Il nemico virtuale

    L’alleanza dei popoli contro la guerra imperialista

    La vera natura dello scorpione

    "Chi semina vento?



    RIVOLTA CONTRO IL MONDIALISMO MODERNO

    Anni "fatali"

    Determinismo e globalizzazione

    Il "progresso" che uccide

    Il volto disumano della globalizzazione

    Mondialismo e/o globalizzazione

    Razza padrona

    "Destra" e "Sinistra" nel mondo globalizzato

    Contro tutti i nostalgismi

    Attualità di Julius Evola

    Tradizione e Rivoluzione

    Due fronti, molte trincee

    Il nome della mondializzazione: Amerika

    Come l’America prepara la III Guerra Mondiale

    Europa. Impero e Geopolitica

    La nuova Tricontinentale

    Geopolitica e lotta di liberazione

    La glocalizzazione

    Comunità, Nazione, Impero

    Ritorno alla grande politica

    Il quadro dello scontro e i suoi protagonisti

    Evola come Maestro di Lotta e Vittoria






    La ruota del destino

    Carlo Terracciano

    pp. 121 - € 12,00


    Un genocidio annunciato ed uno compiuto. Un infanticidio, forse? O un parricidio e/o un omicidio-suicidio? Un deicidio…molto particolare.

    E molto altro ancora.

    Ma soprattutto e sopra tutti il Destino tesse la sua trama imperscrutabile per uomini e Dei.

    Eterna gira la "Ruota del Destino" e macina le vite e i sentimenti, le speranze e gli incubi; riduce tutto in finissima polvere da filtrare nella clessidra del Tempo che torna e ritorna, qui sulla piccola Gea come agli estremi confini mobili dell'Universo.

    Tre racconti brevi ("La Ruota del Destino", "Onora il padre", "Fiat voluntas Dei") che segnano l'esordio nella narrativa fantastica e fantascientifica di un autore come il Terracciano, più noto, sempre in ristretti ambienti, per saggistica di tipo politica e geopolitica.

    Un inizio che è forse già una fine.

    Un pathos nascosto, qui appena disvelato, che però affonda salde radici nella Visione Tradizionale della vita, nella concezione ciclica della Storia elevata ad assoluto.

    Racconti brevi, certo fantastici che però potrebbero prefigurare un futuro prossimo minaccioso di tragedie immani quanto impregnato di una certezza nell'ineluttabile Eterno Ritorno della Luce, della Rinascita della vita, del Riscatto dello Spirito.

  8. #18
    Nimmo
    Ospite

    Predefinito

    Nazionalcomunismo



    Editore: Società Editrice Barbarossa
    Autore: M.Murelli, C.Terraciano, E. Mueller, A. Dughin
    Anno: 1995
    Pagine: 252
    Sezione: Storia
    Argomento: Socialismo e comunismo

    Prezzo:11,50 € (I.I.)


    "I contatti politici e personali fra il comunismo e l'esperienza fascista. Il ruolo svolto dal PCI di Togliatti per assorbire la sinistra fascista nel partito e quant'altri fossero disposti ad aderirvi. Le nuove sintesi apparse in Russia che portarono a costituire il "Fronte di salvezza nazionale", coalizione politica che lottò contro l'instaurarsi del regime di Boris Eltsin. La natura patriottica del nuovo Partito Comunista della Russia."

  9. #19
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    Tempo fa trovai una cosa...
    Per caso Carlo Terracciano è nato il 25 settembre 1940?
    Qualcuno può confermarlo o smentirlo? Potrebbe essere importante.

  10. #20
    Nimmo
    Ospite

    Predefinito

    RIVOLTA CONTRO IL MONDIALISMO MODERNO
    di Carlo Terracciano


    “E anche se non dovesse verificarsi la catastrofe temuta da alcuni in relazione all’uso delle armi atomiche,
    al compiersi di tale destino tutta questa civiltà di titani, di metropoli di acciaio, di cristallo e di cemento, di masse pullulanti, di algebre e macchine incatenanti le forze della materia, di dominatori di cieli e di oceani,
    apparirà come un mondo che oscilla nella sua orbita e volge a disciogliersene per allontanarsi e perdersi definitivamente negli spazi, dove non vi è più nessuna luce, fuor da quella sinistra accesa dall’accelerazione della sua stessa caduta”…potrebbe salvare l’occidente soltanto un ritorno allo spirito Tradizionale in una nuova coscienza unitaria europea”.
    (Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno)

    “E’ allora che anche sul piano dell’azione potrebbe venire in evidenza il lato positivo del superamento dell’idea di patria, sia come mito del periodo romantico borghese, sia come fatto naturalistico quasi irrilevante ad unità di diverso tipo: all’essere di una stessa patria o terra, si contrapporrà l’essere o non essere per una stessa Causa”.
    (Julius Evola, Cavalcare la tigre)

    “Conosco il mio destino. Un giorno si ricollegherà il mio nome al ricordo di qualcosa di enorme, d’una crisi come mai ce ne furono sulla Terra, del più formidabile urto di coscienze, d’una dichiarazione di guerra a tutto ciò che fino allora era stato creduto e santificato. D’ora in poi il concetto di politica entra in piena fase rivoluzionaria, tutte le formazioni di potenza della vecchia società saltano in aria perché tutte riposano sulla menzogna: ci saranno guerre come mai se ne videro al mondo.
    DA ME IN POI COMINCIA SULLA TERRA LA GRANDE POLITICA”
    (Friedrich Nietzsche, Ecce Homo/Perché sono una fatalità)



    “Rivolta contro il mondo moderno”, l’opera fondamentale di Julius Evola, uscì in prima edizione italiana nel 1934 e già l’anno successivo veniva pubblicato nella Germania Nazionalsocialista.
    Un testo rivoluzionario che ha rappresentato, per uomini di luoghi lontani e di diverse generazioni, una vera e propria “folgorazione”, un cambiamento radicale di prospettive ed aspettative, di “Visione del Mondo” nell’epoca del tramonto dell’occidente, alla fine del ciclo epocale, il Kali-yuga della tradizione induista, l’èddico Ragna-Rökkr o l’“Oscuramento degli Dei” delle saghe nordiche.


    ANNI “FATALI”

    Un anno importante il 1934, in un decennio che rappresentò una svolta nei destini dell’Europa e dell’intero pianeta.
    In Germania Hitler da poco Cancelliere del Reich si apprestava a gettare le basi di una rinnovata potenza tedesca mitteleuropea, assetata di Lebensrahaum, che avrebbe incendiato da un capo all’altro il continente,
    quell’Europa che rappresentava ancora, geopoliticamente parlando, il motore della politica mondiale.
    In essa infatti risiedevano ancora i centri politico militari, economici ed intellettuali di piccole nazioni in possesso di grandissimi imperi coloniali: la Gran Bretagna, come sempre più rivolta agli oceani aperti che al retroterra continentale, la Francia che preparava nelle proprie scuole ed università quelle élites rivoluzionarie di Asia e d’Africa, le quali nella seconda metà del XX° secolo avrebbero guidato le lotte di liberazione nei rispettivi paesi proprio in nome della Libertè ed Egalitè (per la Fraternitè ci sarà sempre tempo..) degli “Immortali Principi” che avevano fatto potente Parigi e succube il mondo.
    L’Italia, per parte sua, sotto il segno del fascio romano, cercava il suo spazio nella geopolitica marittima, alla ricerca di un impero unitario mediterraneo-africano che le aprisse le porte dell’Oceano Indiano e delle grandi rotte commerciali e politiche.
    Ad Est “l’Uomo d’Acciaio”, Stalin, liquidava, purga dopo purga, i rottami cosmopoliti di una rivoluzione trotskijsta-bolscevica che aveva inteso utilizzare l’impero russo come trampolino del marxismo mondiale, trasformando invece questo nella bandiera dell’espansionismo politico e poi militare della Russia Sovietica in Eurasia e oltre.
    Nell’acciaio e nel sangue il Piccolo Padre della Santa Russia Rossa aveva gettato le basi della industrializzazione e modernizzazione di un impero che sarebbe diventato la seconda potenza mondiale, in grado di contendere per quasi mezzo secolo il mondo al vero vincitore finale.
    In estremo oriente era l’Impero Nipponico a levare la bandiera solare in nome dell’unità asiatica antioccidentale, ma anche in antitesi al gigante cinese dilaniato da guerre intestine e occupazioni straniere di grandi parti del territorio nazionale. E già Mao marciava…
    Ma sarebbe stata alfine la più giovane nazione americana a prevalere su tutti, imponendo al pianeta il dominio della propria potenza militare e politica, della tecnologia, della propria moneta, della lingua inglese, del modello di vita yanke, nonché il controllo mediatico sugli strumenti di comunicazione di massa del globo: in una parola la GLOBALIZZAZIONE.
    L’America, il mito americano del progresso tecnologico e dell’efficientismo fordista, rappresentava e rappresenta il coronamento di quel processo di modernizzazione contro il quale J. Evola aveva scritto il testo più completo ed esauriente dal punto di vista della visione del mondo Tradizionale.
    E si tenga presente che “modernizzazione” qui non va intesa solo in senso tecnico-scientifico, nel quale tutto sembra oggi risolversi, bensì come visione “idealtipica” del reale, della Storia e della vita:
    “Mondo moderno e mondo tradizionale – affermava Evola nell’introduzione – possono venir considerati come due tipi universali, come due categorie aprioriche della Civiltà”.
    La quale affermazione, per inciso, taglia la testa al toro su tutta la polemica sul rapporto tra uomo e macchina, tra essere uomini della Tradizione e usare la tecnologia più avanzata.

    Con l’implosione dell’URSS, ultimo anello di una catena plurisecolare, non solo si sbarazzava il campo da un’ideologia concorrente con pretese di universalismo e scientificità:
    “Si affermava una nuova filosofia della Storia. L’idea che il cammino dell’umanità abbia un senso. A questo senso fu dato il nome di globalizzazione”.



    DETERMINISMO E GLOBALIZZAZIONE

    Questa idea di un FATALISMO MONOCENTRICO E UNIDIREZIONALE dei destini di tutti i popoli, in marcia (seppur in ordine sparso su vari livelli di “progresso”), verso un’unica meta di “redenzione che instauri il paradiso in Terra” non è certo nuova.
    Siamo di fronte all’ennesima riproposizione della concezione biblica linear-progressista di una storia unitariamente intesa, ovviamente sul modello dell’occidente.
    Essa parte dal creazionismo, si manifesta nella perfezione di un Eden originario, nel quale l’Uomo è la creatura per antonomasia, passando poi ad una caduta (nel peccato d’orgoglio, nella divisione del lavoro, nella rottura del Patto con dio, ecc…), e tramite una redenzione (Cristo, Marx , il Messia…) all’ascesa verso la nuova perfezione, tramite la catarsi purificatrice (dell’Olocausto, della Lotta di Classe, del Giudizio Universale).

    Questa ideologia fondamentalista d’impronta giudeo-cristiana ha trovato in America la terra di massimo radicamento, divenendo l’infrastruttura ideologica portante, lo strumento propagandistico indiscusso ed indiscutibile per l’affermazione dell’imperialismo capitalista, dell’espansionismo economico e politico USA, seguendo le direttrici delineate dalla Geopolitica per la più grande potenza talassocratica mai apparsa sull’orbe terracqueo. Il “Destino Manifesto” rende gli americani nientemeno che i portavoce e gli esecutori della volontà di dio in terra.
    Chi vi si oppone si oppone a dio stesso, quindi più che un criminale è il Male personificato o perlomeno un suo strumento nel mondo che vorrebbe dominare in contrasto con i “predestinati” della Seconda Israele, gli USA appunto.
    Accusando volta a volta i demonizzati nemici di turno, Hitler o Stalin, Mao o Khomeini, Saddam Hussein o Milosevic (!), fascismo/nazismo, comunismo o islamismo, di voler “conquistare il mondo”, le élites economiche, politiche ed intellettuali statunitensi hanno ottenuto esattamente lo scopo prefissato: appunto…CONQUISTARE IL MONDO!

    Credere che la Globalizzazione sia una NECESSITA’ INELUTTABILE della Storia, un processo naturale ed automatico, impersonale ed autogenerantesi sul cammino del Progresso, non soltanto è l’ accettazione senza riflettere un falso ideologico, ma rappresenta già una sconfitta strategica, determinata dall’assunzione acritica della visione del mondo dell’avversario.
    Chi dà per scontato l’ altrui assioma di partenza, per quanto laicizzato e storicizzato esso si presenti, ha già perso prima di cominciare a lottare.
    Si introita mentalmente l’impianto ideologico portante impostoci dall’avversario contro il quale si vorrebbe combattere; e ciò in nome di un’utopia egalitaria e assolutamente livellatrice che è esattamente funzionale ai progetti di globalizzazione totale del Capitalismo, al termine del suo processo espansionistico.
    Processo degenerativo che s’ identifica ogni giorno di più con la distruzione accelerata delle economie subordinate, delle risorse energetiche e del ’ecosistema nel suo complesso: etnocidio e spesso genocidio
    tout court.
    Il mito mobilitante di “Progresso” indefinito e necessario, prodottosi nella fase della secolarizzazione e laicizzazione del Pensiero Unico, radicato nel biblismo in specie di matrice protestante-calvinista, all’inizio del suo III millennio si è rovesciato nel suo contrario, ma non ancora nel suo “opposto”.



    IL”PROGRESSO” CHE UCCIDE

    Biotec, clonazione, mutazioni genetiche animali e vegetali, manipolazioni del DNA con la scusa di migliorare e prolungare la vita, sconvolgimenti climatici e ambientali, scomparsa di specie animali e di culture umane differenziate, ecc… stanno convincendo sempre più persone al mondo che il cosidetto “progresso”, imposto dall’Occidente al resto del mondo, si è rovesciato nella prospettiva di una catastrofe incontrollata e sempre più incontrollabile nel futuro prossimo.
    Non un progresso dunque, ma un regresso che ha determinato una perversa disintegrazione di ogni tessuto sociale e comunitario, un cancro devastante che calcifica ogni struttura organica delle società in ogni più remoto anfratto del pianeta, una autofagocitazione della specie umana, avviata in breve a quella che è stata definita la “Sesta Estinzione”, dopo le precedenti delle specie che ci precedettero nel dominio della Terra.
    Il modernismo, il progresso tecnico, le macchine sono divenute in prospettiva gli elementi distruttori del pianeta; gli scienziati, sempre più folli e incontrollabili, una casta intoccabile di “apprendisti stregoni” della distruzione:
    “Se questo è il progresso, vogliamo tornare al passato”, dice la vecchia saggia Masai di fronte alla siccità e alla desertificazione causate dai cambiamenti climatici.
    Il giornalista e scrittore Massimo Fini ha paragonato il mondo globalizzato ad un treno in corsa che, oramai senza più freni, aumenta esponenzialmente la sua velocità, destinato a deragliare e schiantarsi con tutti i suoi occupanti.
    Per di più carico di esplosivi e veleni tali da annientare la Terra stessa ed ogni altra forma vivente.
    E già i macchinisti responsabili del disastro futuro preparano le armi per difendersi dalla reazione dei popoli, pensando di preservarsi dalla catastrofe nell’inespugnabile fortezza-continente nordamericana.
    A tale lenta e confusa presa di coscienza dei pericoli della globalizzazione non corrisponde d’altra parte una chiara cognizione delle cause, prossime e remote, del fenomeno e dei suoi agenti; né tantomeno un progetto realistico di resistenza e riscossa.
    Al massimo si è contro gli effetti della globalizzazione, ma non opposti ad essa, alle sue vere cause.
    Al contrario, da parte delle mille realtà genericamente etichettate come “antiglobal” (portatrici peraltro di interessi ed esigenze le più disparate, sconnesse e persino conflittuali tra loro), non si propone altro che una “globalizzazione dal basso”, che tenga conto tuttalpiù del miglioramento del tenore di vita della maggioranza povera del pianeta, preservando contemporaneamente l’habitat, che salvi le culture che fanno la ricchezza del mondo abbattendo contemporaneamente i confini e portando a compimento il processo di eliminazione delle differenze nazionali !
    Tutto ed il contrario di tutto: cioè il Niente.

    IL VOLTO DISUMANO DELLA GLOBALIZZAZIONE

    Una “globalizzazione dal volto umano” è un’assurdità che si contraddice nella sua stessa formulazione di base; l’ennesima riformulazione di un riformismo interno al Sistema Globale che ne perpetua le ingiustizie, cercando di convogliare l’istintiva rivolta autodifensiva dei popoli in un vicolo cieco.
    Banche e istituzioni finanziarie, lobbies industriali e supergoverno mondiale si dimostrano “umani” solo quando ciò coincide con i loro interessi.
    Un solo esempio: l’annullamento del debito è certamente una causa giustissima, un minimo atto riparatore per paesi depredati da decenni delle proprie ricchezze.
    Il debito totale delle nazioni in via di…”sottosviluppo” ha largamente superato l’astronomica cifra di 2.500 miliardi di dollari ma.. non è un “dono umanitario” dei governi bensì una necessità vitale delle Banche Mondiali che ne determinano la politica interna ed estera. Il credito vantato sarebbe comunque inesigibile, anche solo negli interessi maturati, date le condizioni disastrose delle economie del Sud del mondo.


    Una generale dichiarazione di insolvibilità della maggioranza dei paesi della Terra getterebbe nel panico i mercati e potrebbe persino determinare il crollo di tutto il sistema finanziario, accelerando l’inarrestabile declino del capitalismo, che è sempre più fragile quanto più è globale.
    L’”umanitario” azzeramento del debito oltre ad evitare scenari apocalittici per l’Alta Finanza Mondiale, ha poi come contropartita l’accettazione da parte degli stati debitori di ulteriori vincoli, anche politici, e l’abbattimento di ogni difesa contro la liberalizzazione dei mercati che è proprio la causa prima che ha determinato la miseria e l’indebitamento.
    Ricordiamo come Ceausescu fu rovesciato ed ucciso in Romania una settimana dopo aver saldato fino all’ultimo centesimo del debito estero rumeno. Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Stati Uniti e paesi ricchi non permettono a nessun stato di uscire dalla dipendenza finanziaria, la nuova forma schiavistica del capitalismo nel XX e XXI secolo.
    L’utopia dell’eguaglianza mondiale nel benessere e nell’abbondanza, propria di chi auspica una globalizzazione dal basso, non solo è in sintonia con gli interessi delle multinazionali ad espandere il mercato in verticale, in profondità, ma determinerebbe un livellamento culturale e politico totale, nonché la distruzione dell’ecosistema.
    Dev’essere ben chiaro al Nord del mondo che una più equa redistribuzione di beni e servizi nel mondo, passa soltanto attraverso un processo rivoluzionario, locale e generale, che rovesci i parametri culturali ed economici di riferimento anche nei paesi ricchi; rivoluzione che li renderebbe meno “ricchi” in termini di Pil e di consumi pro capite, certo più “spartani” nel vivere, ma anche più liberi dai potentati mondiali, in un ritrovato rapporto armonioso con la natura e la propria comunità d’appartenenza.
    Quello invece auspicato da tutti i cultori della globalizzazione, comunque intesa, sarebbe alla fine un
    rimedio peggiore del male.
    La “cura” proposta, se avrà successo…ucciderà il paziente. Non prima però di averlo depredato di tutto.
    L’astuzia di un sistema globale che proclama di migliorare le condizioni di vita delle classi e dei popoli subalterni è infatti anche quella di renderli tutti comunque produttori-consumatori del sistema capitalista globale, per allargare il mercato unico dei prodotti standardizzati: non solo in senso orizzontale e geografico, ma verticale interclassista, aumentando nei minimi accettabili al Sistema stesso il credito e la disponibilità monetaria per l’acquisto di nuovi beni o servizi.
    In termini marxiani diminuire la “pauperizzazione assoluta”, per aumentare il profitto espandendo il mercato, e quindi allargare la forbice della “pauperizzazione relativa”.
    In termini informatici il “Digital Divide”, il gap tecnologico-informatico che allontana strati sociali e popoli che accedono alla realtà virtuale o no.
    Gli antiglobalizzatori della “sinistra” moderata, (per quanto ancora contino certe definizioni ottocentesche oramai superate), riciclatisi dall’internazionalismo proletario a quello liberista di mercato, sono d’accordo nel volere e/o accettare (cosa che all’atto pratico è la stessa), la globalizzazione.
    Quella che auspicano costoro è solo una GLOBALIZZAZIONE DI SEGNO CONTRARIO e non il CONTRARIO DELLA GLOBALIZZAZIONE.
    In termini politici sono dei riformisti interni al Sistema Globale e non dei rivoluzionari ad esso opposti.


    MONDIALISMO E GLOBALIZZAZIONE

    La prima battaglia da combattere è quindi quella terminologica, perché essa assume valore sostanziale nelle scelte di una realistica contrapposizione antagonista al Nuovo Ordine Mondiale.
    La globalizzazione, lungi dall’essere una “fatale necessità”, una tappa irreversibile ed anzi auspicabile sulla “via del progresso”, non è che l’effetto di una causa o, se si vuol essere meno genericamente deterministi, lo strumento di una strategia mondiale condotta, coscientemente e volutamente per decenni se non per secoli.
    E se di determinismo si deve parlare, è su un piano metapolitico e persino metafisico che si deve spostare l’attenzione, come diremo in seguito trattando della concezione Ciclica della Storia.
    La globalizzazione dei mercati non avrebbe potuto realizzarsi senza una preventiva opera preparatoria politica e culturale spesso imposta con l’uso delle armi e l’nvasione militare: solo nel secolo scorso ci sono volute due guerre “mondiali” (appunto) e decine e decine di guerre locali, colpi di stato, stragi e genocidi, per realizzare l’One World americanocentrico.
    Noi definimmo, e non da ora, questo progetto a respiro planetario MONDIALISMO.
    Una delle più complete esplicazioni di questo termine ce la offre Giuseppe Santoro nel suo “Dominio globale. Liberoscambismo e globalizzazione”, un volumetto di cento pagine che dovrebbe rappresentare il “libretto rosso” di ogni vero rivoluzionario antimondialista.
    Scrive Santoro:
    “Il Mondialismo, in sintesi, è un’deologia (e una prassi culturale, sociale e politica) universalista promossa da istituzioni internazionali politico-militari (ONU, NATO) ed economico finanziarie (Banca Mondiale, Fondo Monetario, WTO, Nafta, ecc…), da associazioni private (Council of Foreign relation, Trilateral, Bilderberg, massoneria ecc..) [aggiungeremo noi anche religiose: Vaticano con la sua “pupilla”, l’Opus Dei, Consiglio Mondiale ebraico, sette varie protestanti e non] e da una fitta rete di lobbies e di organizzazioni internazionali di “consulenza” politico-sociale-culturale e massmediale (agenzie d’informazione, industria cinematografica ecc…), la cui principale base tattica è costituita dagli Stati Uniti”
    Ed ancora:
    “L’obiettivo del mondialismo è la creazione di un unico governo o amministrazione (il Nuovo Ordine Mondiale), di un unico assetto politico, istituzionale e sociale (il liberalismo), di un unico sistema di valori (l’individualismo-egalitarismo-dottrina dei “Diritti dell’Uomo”), e quindi di un unico insieme di costumi e di stile di vita (il consumismo) estesi a tutta la Terra e funzionali al dominio assoluto da parte delle forze politiche, economiche e culturali che lo incarnano: le élites della finanza mondiale”.
    Santoro è anche autore di “Il mito del libero mercato”, approfondito studio sugli “economisti classici”.
    E’ evidente da quanto scritto finora che il Mondialismo non è un meccanismo anonimo, senza volto, senza capo né coda, metastaticamente autoriproducentesi; un dato oggettivo scisso dall’intervento di idee, di pochi uomini e ben identificate istituzioni, che in tal caso sarebbero esse stesse oggetto e non soggetto del processo. Chi la pensa così ragiona in termini di un fuorviante determinismo meccanicista che la dice lunga sui devastanti effetti della falsificazione storico-ideologica condotta per secoli: dall’Illuminismo, al liberismo e al marxismo, passando per l’heghelismo di “destra” o di “sinistra”.


    RAZZA PADRONA

    Del resto, per fare un solo esempio, anche in termini di credito, pochi supercapitalisti posseggono fortune ben superiori a molti stati: gli americani Bill Gates, Larry Hallison, Warren Buffett e Paul Allen sono proprietari di fortune che corrispondono a quelle delle 42 nazioni più povere messe insieme, cioè 600 milioni di uomini, un sesto degli abitanti del pianeta!
    I “decision makers” della politica mondiale, possessori di tutte le banche, di interi settori industriali e commerciali, delle fonti energetiche e strategiche, i suggeritori più o meno palesi della politica dei governi e delle istituzioni internazionali, appartengono a 13 clan familiari. In ordine alfabetico:
    Astor, Bundy, Collins, Dupont,, Freeman, Kennedy, Li, Onassis, Rockfeller, Rothschild, Russell, Van Duyn, Windsor.
    La “razza padrona mondialista” vive in posti esclusivi, frequenta solo i propri simili, salvo quando deve concedersi a folle osannanti; essa si incrocia tra sé e decide per tutti.
    La razza padrona non ha patria, solo passaporti , spesso più d’uno. Sua patria è appunto il mondo.
    Sono apolidi di lusso, cosmopoliti per vocazione ed interesse, pària che, nell’epoca del rovesciamento delle caste, si trovano ai vertici della piramide politica e sociale.
    Sono loro i ” padroni di casa” nelle riunioni del Bildberg, della Trilateral, del CFR. Talvolta guidano direttamente stati e governi, come i Kennedy ed i Windsor.
    A loro tutto è permesso: dalle guerre alle crisi economiche e finanziarie guidate, fino ai più prosaici omicidi per motivi di corna (chi ricorda il caso Palme?).

    Per costoro riservatezza, menzogna e segreto sono strumenti assolutamente indispensabili di dominio.
    Parlare dell’ineluttabilità “oggettiva” e amorfa del processo di globalizzazione in atto è il loro strumento per nascondere la causa, manifestando l’effetto. Nella più generosa delle ipotesi imporre al mondo i propri parametri di riferimento, la propria visione cosmopolita delle relazioni internazionali.
    Cattolici, protestanti o ebrei, ma anche mussulmani o confuciani o semplicemente agnostici o atei, sono tutti portatori di una unica visione e stile di vita, che è esattamente quello del “Mondo Moderno” contro il quale Evola scrisse la sua “Rivolta…”
    Il semiologo ebreo americano Noam Chomsky, teorico antiglobal pur usufruendo della cattedra al MIT (Massachussets Institute of Technology) è da sempre uno dei critici più feroci del capitalismo e imperialismo e definisce i padroni della finanza mondiale un “Senato virtuale”, cui i governanti del mondo devono rendere conto, alla faccia dei cittadini che li hanno eletti:
    “Il senato virtuale è un gruppo di investitori capaci di governare nazioni tramite i flussi di capitale, le oscillazioni di borsa e la regolazione dei tassi di interesse. Appena uno stato ipotizza scelte nell’interesse collettivo come il welfare o l’autodeterminazione, loro minacciano di portare all’estero i capitali. Gli USA e tutti i governi più potenti sono fantocci manipolati da questi senatori mascherati. Un tempo c’erano i dittatori, adesso ci sono i tiranni privati. Fanno gli stessi danni, ma non hanno responsabilità pubbliche”.
    Eccoci finalmente in buona compagnia con un uomo che certo non sarà accusato di “cospirazionismo complottista”, tipo “Savi Anziani…” ecc..
    Semmai aggiungeremo che il “Senato Virtuale” ha ben altre armi che quelle finanziarie, per piegare governi e popoli al suo volere: dai media all'informatica, dai moti di piazza ai golpe militari, fino alla guerra dichiarata, con tanto di “armi intelligenti”.
    In Serbia recentemente è stato usato di tutto: rivolte etniche, guerriglia, guerra dichiarata (anzi..” intervento umanitario”), anche se alla fine l’ha vinta il denaro. E si sono letteralmente venduto il capo!

    Ma è ancora una volta il Santoro a offrirci il giudizio più netto sulla pretesa ineluttabilità ed impersonalità del processo storico che stiamo vivendo:
    “Infatti la cosidetta globalizzazione – economica, politica, culturale e dei costumi di tutti i popoli della Terra – non è in alcun modo un fenomeno ‘naturale’ o necessario o ineluttabile determinato dalle leggi interne di un qualche inarrestabile ‘sviluppo’ del mondo (da un punto di partenza ad uno di arrivo: Nuovo Ordine Mondiale, Fine della Storia, Regno di Dio, Comunismo mondiale o chissà che altro delirio apocalittico); essa non è ‘nella logica delle cose’ (quale logica e quali cose ?); essa non è la condizione oggettiva ed autonoma cui occorre adeguarsi come ad una irrevocabile volontà divina (di quale dio ?); la globalizzazione è solo l’obiettivo pratico e deliberato che uomini concreti, tramite organizzazioni con tanto di nomi e di sede legale, sistemi informativi, massmediali ed editoriali – non forze oscure e impercrutabili dell’universo – vogliono raggiungere per il proprio tornaconto personale e di gruppo (anche se ciò non esclude, anzi, la presenza di conflitti interni o di resistenze esterne). Tutto qui”
    [Giuseppe Santoro, “Banchieri e camerieri. Sovranità monetaria e sovranità politica”].
    Semplice, no?…


    “DESTRA” e “SINISTRA” NEL MONDO GLOBALIZZATO

    Sul piano pratico, dell’azione, la pretesa impersonalità e ineluttabilità del processo di globalizzazione determinano volutamente nelle masse un fatalismo impotente, camuffato negli intellettuali compatibili col Sistema sotto le spoglie accattivanti dell’impegno metapolitico ed intellettualistico fine a se stesso. L’ennesima riproposizione, ma molto meno nobile, dell’apolitìa degli sconfitti e dei falliti che si cercò, falsamente, di attribuire allo stesso Evola di “Cavalcare la tigre” o “L’arco e la clava”.
    Se una volta militanti di destra e di sinistra puntavano a conquistare il Potere per affermare le loro speranze in un Mondo Nuovo, oggi molto più borghesemente si acconteterebbero del …“podere”!
    Minimalismo e localizzazione sono diventati l’alibi del disimpegno e del riflusso nel privato, facendolo passare per il massimo dell’impegno possibile contro i poteri forti; quasi che nel mondo moderno fosse possibile ritagliare oasi, isole di un vivere alternativo, alieno alla società circostante ed anzi alternativo ad essa. Chi ricorda le “comuni” dei sessantottini ?
    Con l’aggravante che questa ennesima esaltazione incapacitante della sconfitta e della fuga dal mondo non più in una “torre d’avorio” ma direttamente in una stalla, viene spacciata per il massimo del “comunitarismo” e dell’impegno: insomma un Comunitarismo senza comunità. Per pochi eletti che hanno capito tutto (?) e fatto niente (!).
    La sinistra, ma anche buona parte della destra, che pur contestano la globalizzazione dall’alto, ne hanno accettato aprioristicamente la filosofia di fondo, l’ineluttabilità delle tesi, i principi filosofici e le utopie livellatrici; sono all’interno del fenomeno Globalizzazione, seppur criticandone errori ed orrori, e non lo sanno.
    L’internazionalismo proletario di ieri si chiama oggi “antiglobal”, ma è certo più globale che “anti”.
    La destra, che aveva avuto ben altri strumenti concettuali di comprensione e opposizione, partendo dagli studi sul Mondialismo, sulla Geopolitica, sulle tradizioni e su tutta l’opera di maestri di pensiero come Evola, Guenon, Nietzsche, Spengler, Sorokin, Lorenz, Sombart, Weber e via elencando, come al solito NON ha capito niente ed è rimasta al palo. Anzi spesso è persino regredita politicamente ed ideologicamente rispetto alle analisi ed all’azione politica anticipatrici degli anni '70 ed '80.
    Questa serie di considerazioni ci porta ad esprimere un giudizio definitivo e senza appello su tutto un ambiente sub-politico, definito genericamente “area”, forse perché fatto d’aria e di vuote parole al vento, della destra,neo/post/ultra “fascista”.

    CONTRO TUTTI I NOSTALGISMI

    Il Fascismo, come fenomeno storico e politico europeo è DEFINITIVAMENTE DEFUNTO NEL MAGGIO DEL 1945. Una sconfitta peraltro orgogliosa, con le armi in pugno, a differenza del comunismo marxista europeo crollato meno di mezzo secolo dopo con l’implosione dell’URSS e dei suoi satelliti.
    E’ comunque un dato di fatto irreversibile che le due forme di modernizzazione e mobilitazione di massa sono uscite sconfitte dallo scontro con l’America.
    E’ il modello americano che ha trionfato nel XX secolo, dando l’impronta appunto al Mondialismo globalizzatore su tutta la Terra.
    Geopoliticamente è l’Eurasia (+ Africa ed America Latina) ad uscire, per ora, sconfitta dal confronto-scontro con il “Nuovo mondo”, per un Nuovo Ordine Mondiale.
    Il cosidetto “neofascismo” o “neonazismo” del secondo dopoguerra è stato tutto un grande equivoco, talvolta tragico, molto spesso comico e farsesco. Alimentato anche dai suoi nemici interessati.
    Quella che impropriamente viene definita “estrema destra” non si è mai ripresa dal trauma della sconfitta bellica, dei suoi capi morti e/o massacrati, abbandonati da tutti al ludibrio della feccia, della plebaglia osannante fino al giorno prima. L’immagine di Mussolini e dei gerarchi con i piedi al cielo pesa come un macigno su più di una generazione politica , che non l’ha mai rimossa.
    Così come l’8 settembre ha rappresentato una svolta epocale, la fine dell’Italia come Nazione per tornare ad essere l’espressione geografica contenente qualche decina di milioni di persone parlanti più o meno la stessa lingua.
    La propaganda martellante dei vincitori ha additato i fascismi come il Male personificato; tanto da identificarsi spesso gli stessi seguaci in questo ruolo invertito, come estrema forma di contestazione ed autoriproduzione.
    Il nostalgismo, la formalità esteriore, la castrante esaltazione della sconfitta, il culto quasi necrofilo del passato, il “ducismo” senza Duce unito ad uno spontaneismo anarcoide (armato o disarmato), sono stati altrettanti fattori di impotenza politica e sociale, mentre il mondo cambiava vorticosamente emarginando sempre più la destra nel ghetto costruito con le proprie mani.
    Ovviamente il nostalgismo neofascista, comunque riciclato, è la NEGAZIONE STESSA DEL FASCISMO storico, che fu un movimento di mobilitazione rivoluzionaria delle masse, un movimento di giovani rivoluzionari in tutta Europa, basato sullo slancio vitale, sulla giovinezza, indirizzato al futuro, intenzionato a vincere e dominare; proprio come il Comunismo rivoluzionario dei Lenin, dei Trotskij, degli Stalin.
    Certamente entrambi rapportati al mondo della prima metà del secolo passato.
    E si consideri che stiamo parlando della parte migliore della destra, di quella minoritaria che non ha accettato tout court di allinearsi al Sistema, di divenire il cane da guardia dell’ordine costituito.
    Quest’altra destra, che invece ha capito benissimo in che direzione va il mondo, si è semplicemente sbarazzata di ogni bagaglio storico e culturale per passare armi e bagagli nel campo dell’avversario, del liberal-capitalismo, dell’America, del Sionismo, del Mondialismo.

    Questi arrivisti di vera destra rappresentano non certo il nemico principale, eppure il più prossimo, essendo la loro massima ambizione di neofiti mercenari quella di dimostrare al nuovo padrone la piena affidabilità del servo da poco acquistato.
    I recenti avvenimenti genovesi, l’esaltazione della più bestiale repressione poliziesca (senza neanche più il coraggio di scendere in piazza per un confronto diretto), l’anticomunismo senza più comunisti, l’allinearsi ad ogni iniziativa antipopolare e la perfetta identificazione nella politica estera americana e sionista sono fatti così noti ed evidenti da non dover spendere troppe parole in merito.
    Nei casi più estremi(sti) si fa pura opera di provocazione nostalgica e integralista da sagrestia, sempre ben nascosti dietro la rassicurante divisa e manganello della polizia di Regime, per rilanciare uno scontro destra-sinistra, rosso contro nero, che sarebbe quanto di più funzionale al Sistema mondialista in ambito nazionale, se non fosse tanto anacronistica da essere inutilizzabile persino per i “servizi” che la gestiscono, dentro e fuori i confini nazionali.
    Non c’è bisogno di aggiungere che l’antifascismo di certa sinistra di sistema, altrettanto ridicolo e nostalgico, serve da pendant all’anticomunismo becero della destra più o meno estrema.
    Post-fascismo e neo-comunismo marxista continuano così a combattersi ed elidersi a vicenda, a maggior gloria della razza padrona che traccia i destini dell’Italia, dell’Europa, del mondo intero.
    Per i nostalgici dalla “dura cervice” e dal collo torto all’indietro, bianchi, rossi o neri che siano, è quindi evidente e comprovata l’impossibilità di confrontarsi con la realtà del presente e tantomeno con le sfide del futuro.
    E non è soltanto l’assoluta mancanza di prospettiva storica a renderli impermeabili di fronte alle novità. E’ la concezione stessa del tempo, dello spazio e dell’Eternità che non permette agli uomini del mondo moderno di essere …moderni perché antichi, o più semplicemente Uomini eternamente rinnovantisi nelle vicissitudini della storia. Va da sé che esiste un iato insormontabile tra la “destra” ed il pensiero tradizionale di Evola.


    ATTUALITA’ DI JULIUS EVOLA

    Abbiamo già ricordato che Julius Evola scrisse “Rivolta contro il mondo moderno” negli anni Trenta.
    Quando vergava quelle pagine ancora attuali il mondo era ben differente dal nostro all’inzio del nuovo millennio: non esisteva l’energia nucleare prodotta dall’uomo e si iniziavano gli studi per produrre l’arma più devastante, non c’era ancora la TV, il computer e tantomeno internet. L’avventura nello spazio esterno, l’allunaggio, le missioni esplorative su Marte e nel sistema solare erano soltanto frutto della fervida fantasia degli scrittori di fantascienza. Non era stata identificata la mappa del genoma umano, non c’erano biotecnologie e clonazione e ben pochi sapevano cosa fossero etologia ed ecologia.
    L’era dell’industrializzazione avanzava con passi da gigante solo in America e nell’Europa occidentale, peraltro ancora in gran parte con popolazione agricola e città a misura d’uomo.
    E sul piano politico era ancora l’Europa il centro del mondo, con i suoi imperi coloniali, la sua cultura, la sua borghesia.
    La globalizzazione era agli inizi, tenuta a freno proprio dall’esistenza di più poli politici ed economici ancora vitali. L’America era ancora lontana dal realizzare il suo progetto di dominazione mondiale le cui linee erano state tracciate da ideologi e geopolitici già nel XIX secolo.
    Persino la chiesa, già avviata sulla via di un’inarrestabile decadenza, faceva ancora una certa presa sugli animi e i comportamenti del popolo minuto, mentre la Politica dominava ancora l’economia negli stati “totalitari” più importanti, dalla Germania alla Russia, dall’Impero Nipponico all’Italia di Mussolini.
    Un mondo lontano da noi 60/70 anni in termini temporali, secoli e secoli per mentalità, organizzazione sociale, tecnologia, rapporto tra economia e politica.

    Ciò nonostante se rileggiamo oggi le pagine di Evola rimaniamo colpiti dall’attualità dell’analisi, specie nella seconda parte su “Genesi e volto del mondo moderno”.
    Le sue conclusioni sul “tramonto dell’Occidente”, come quelle di Spengler, i suoi giudizi sferzanti su Russia ed America e in generale sul ciclo che si chiude, sono tanto esatte da apparire profetiche;
    tenendo conto che le sue “profezie” non hanno niente di magico in senso banale, ma sono il frutto di una saggezza e Conoscenza che affonda salde radici nella Tradizione, nella concezione ciclica della storia.
    Per essa il nostro futuro è già scritto nel più remoto passato, il quale non è alle nostre spalle ma DAVANTI a noi, in un a-venire ben più prossimo alla fine che all’inizio del ciclo corrente e la cui conclusione determinerà un nuovo e radicale Inizio.
    Come sappiamo la Tradizione è “tràdere”, trasmettere dei Valori che sono eterni calandoli ed attualizzandoli nella storia, in forme e manifestazioni diverse ma facilmente identificabili in ogni epoca e in ogni luogo.

    TRADIZIONE E RIVOLUZIONE

    LA TRADIZIONE E’ RIVOLUZIONE, etimologica e reale.
    Essa “re-volve” e ritorna alle Origini, ma non prima di aver completato il suo Ciclo, la sua rotazione, la sua astronomica “ri-voluzione” appunto!
    La vera Tradizione non ha niente da conservare, ma tutto da distruggere, puntando al compimento “rivoluzionario” del ciclo, per arrivare ad un Nuovo inizio, alla nuova “Età dell’Oro”.
    La Conservazione è il contrario della Tradizione/Rivoluzione, se è intesa non nel senso dei Valori ma in quello del mantenimento, della difesa delle strutture del passato, delle forme oramai superate, ridotte a vacue parvenze, a vuote formule e forme, a scheletri anneriti dal tempo che celano il nulla.
    E questo vale per le forme politiche e sociali come per le religioni e le culture, oramai residuali e inutili se non al perpetuare vani simulacri e i loro custodi.
    Ripetiamolo: nel mondo moderno non c’è nulla da conservare, tutto da distruggere.
    A cominciare da quanto è rimasto fossilizzato in istituzioni di un passato appena più distante, che non era se non il frutto del modernismo del suo tempo: si pensi al nazionalismo frutto della “Rivoluzione” Francese e degli “Immortali Principi” dell’89, termini presi a prestito dal pensiero tradizionale e rovesciato nel loro opposto.
    Se la conservazione è il contrario della Tradizione che è rivoluzionaria, la Sovversione, come tutti i fenomeni di ribellismo del mondo moderno, è una rivoluzione di segno contrario, una Contro-rivoluzione, sempre nel senso tradizionale del termine.
    Essa infatti, nel momento stesso in cui pretende di distruggere le forme del presente (e questo è il suo aspetto più positivo) lo fa nel nome e nel segno della “modernità”, come categoria mentale e spirituale.
    Il chè si traduce non in un’accelerazione verso la fine della decadenza presente e quindi nel raggiungimento del punto catarchico che segna il passaggio rivoluzionario ciclico, bensì nel perpetuarsi sotto nuove forme della decadenza stessa, che tende naturalmente a cristallizzarsi in ennesima conservazione, all’avvento di un’ulteriore ondata sovvertitrice. La sovversione tende a ribaltare le forme del passate per conservare l’essenza del presente, cioè il modernismo antitradizionale, cercando così di arrestare il vero processo rivoluzionario che chiuda un ciclo e ne apra uno nuovo. E’ insomma un’altra forma della conservazione.
    Un serpente che continua a mordersi la coda.
    Conservazione e Sovversione sono quindi funzionali l’un l’altra nell’attuale fase del ciclo; anche se, da un più elevato punto di vista metastorico, il compimento rivoluzionario dell’ultima fase ciclica è scritto nel Destino: Come sempre “fata volentes ducunt, nolentes trahunt”.
    Le conseguenze dei due atteggiamenti mentali sono comunque diverse, per chi non vuol essere semplice spettatore passivo degli eventi, ma ha nella sua stessa natura il marchio di un’impersonalità attiva, la fierezza del guerriero della Tradizione che oggi non può che manifestarsi nel combattente politico rivoluzionario.
    Valori a parte, ripetiamolo per la terza volta: nel mondo moderno non c’è nulla da salvare e tutto da distruggere.
    Nel mondo moderno, alla fine di un ciclo, ogni distruzione del passato e del presente è propedeutica al compiersi del ciclo storico medesimo.


    DUE FRONTI, MOLTE TRINCEE

    Sotto questo punto di vista è consequenziale che un vero rivoluzionario veda in ogni giovane contestatore dell’attuale assetto mondiale e nazionale un alleato tattico nell’opera di distruzione delle istituzioni mondialiste, nell’attacco contro i governanti collaborazionisti dell’occupante americano, di “destra” o di “sinistra” poco importa, nella contestazione di ogni loro incontro, nello smascheramento dei loro inganni sulla pelle dei popoli, di TUTTI i popoli.
    Motivazioni e fini possono essere divergenti, ma il Nemico è unico e supera ogni barriera ideologica o politica; solo chi ragiona così è un vero rivoluzionario, a prescindere dalla rivoluzione che ha in mente.
    Senza infingimenti, senza commistioni, senza salti di campo per ingraziarsi chi considererà sempre un estraneo anche il neofita convertito.
    E’ la teorizzazione dei DUE FRONTI E MOLTE TRINCEE.
    Che ognuno combatta il Mondialismo, la globalizzazione o anche, se ha una visione limitata dei problemi globali, soltanto alcuni aspetti di essa, dal proprio punto di vista ideologico, ideale o esistenziale: dalla propria trincea. Ma avendo almeno ben chiara l’identificazione del Nemico stesso, che è il nemico globale.
    Sarà certo chi ha più chiari i termini politici e metapolitici dello scontro planetario in atto, quello che avrà anche una più vasta panoramica del campo di battaglia e saprà condurre una lotta più radicale e determinata.
    Ed il primo passo consiste nel dare un nome ed un volto ad un fenomeno che non è affatto anonimo e figlio di NN come vorrebbero farci credere i soliti teorizzatori del disimpegno politico, della ritirata nel “privato”, tra imput metapolitici e più prosaiche vite da piccoli borghesi.


    IL NOME DELLA MONDIALIZZAZIONE: AMERIKA.

    Il Mondialismo moderno è la fase estrema dell’imperialismo capitalista americanocentrico nella sua manifestazione più degenerativa, antitradizionale, conservatrice e sovversiva al tempo stesso.
    Gli Imperi tradizionali d’Europa, nonostante avessero mitridatizzato il veleno di una religione aliena allo spirito indoeuropeo in forme politico-sociali d’impostazione tradizionale, si trasformarono alla fine del loro ciclo vitale in imperialismi e nazionalismi coloniali, invadendo ed infettando il mondo.
    Ancora una volta la legge del contrappasso ha voluto che l’Europa sia stata vinta e sottomessa da un frutto venefico del suo seno: l’America ha affrontato e vinto l’Europa (tutta l’Europa, anche quella degli alleati di ieri), l’ha privata del suo potere e delle sue colonie, sostituendovi un neo-imperialismo politico, economico, mediatico.
    In termini geopolitici il “Mare” ha vinto la “Terra”, e continua ad avanzare al suo interno.
    L’America infatti si è oggi imposta anche sulla rivale Russia e i confini della NATO si spostano sempre più verso il cuore d’Eurasia, l’Heartland logistico della ex potenza antagonista.
    Il Mondialismo e la sua manifestazione economica e mentale, la globalizzazione, non potrebbero esistere senza il dominio di una ed una sola superpotenza che ha imposto al mondo il suo predominio militare sulla terra, sopra e sotto i mari, nei cieli e nello spazio esterno. Non esisterebbero senza una moneta unica valida ovunque per i pagamenti internazionali, senza una lingua comune di comunicazione, dalla diplomazia ai computer, senza una pseudocultura accettata o subita da tutti, senza la tv, il cinema, la stampa, internet ecc…tutto facente capo alle lobbies ed alle multinazionali con base negli Stati Uniti d’America; fortezza continentale irraggiungibile, braccio armato mondiale del SIM, il super Stato Imperialista delle Multinazionali.
    “Gli Stati Uniti sono grandi difensori della globalizzazione e dove essa è stata messa in pratica, come nelle relazioni col Messico, ha portato un gran bene. [agli Stati Uniti- nostra nota]…Penso che gli Stati Uniti siano stati finora i primi a baneficiare della globalizzazione e che si trovino, dal punto di vista della concorrenza, nella posizione più forte rispetto a chiunque altro”; parola di Henry Kissinger, “l’ebreo volante” delle Amministrazioni repubblicane, premio Nobel per la pace (dopo aver favorito la guerra Iran-Iraq con oltre un milione di morti), autore del recente libro “L’America ha bisogno di una politica estera?” e sponsor dell’attuale ministro degli esteri italiano nel governo Berlusconi.

    Gli fa eco il confratello,George Soros, ebreo di origine ungherese, speculatore internazionale capace di affondare in una sola operazione borsistica l’economia di interi paesi (nel’92 costò all’Italia una perdita di quaratamila miliardi di lire!) ed attuale co-presidente del World Economic Forum di Salisburgo (“fratello minore estivo di quello di Davos”):
    “Io penso che la globalizzazione porti grandi benefici ad un gran numero di uomini e donne…La liberalizzazione dei mercati e del movimento dei capitali produce soprattutto benefici privati e ai privati. Ma non si preoccupa né può farlo di per sé, dei benefici collettivi” (da: “La globalizzazione è un bene, i governi imparino a usarla”-“Repubblica”, 3.07.2001).Viva la sincerità!
    Certo per il sig. Soros e affini la globalizzazione è stata una vera “manna dal cielo”, tipo quella elargita da Javhé ai suoi correligionari. Ma ora ha deciso di lasciare la finanza e dedicarsi ai “problemi della democrazia nell’Europa dell’Est”. Tremate slavi!
    Del resto è noto che uno degli strumenti che l’America ha per imporre la sua politica economica al mondo, oltre il dollaro, è quello della cosiddetta GLOBALIZZAZIONE ASIMMETRICA, che mentre impone alle economie più deboli, comprese quelle dei partners ricchi del Nord del mondo, il liberismo quasi assoluto negli scambi internazionali, applica al contrario altissime tariffe doganali alle merci straniere più competitive sul mercato interno statunitense, a difesa degli interessi lobbistici dei produttori americani. Una politica economica che applicata ai prodotti del Terzo e Quarto Mondo risulta devastante per le economie più deboli, costrette poi ad indebitarsi per importare prodotti americani sui quali gli USA pretendono di non pagar dazio.

    COME L’AMERICA PREPARA LA III GUERRA MONDIALE

    Ma c’è anche un nuovo pericolo, accentuatosi con l’avvento dell’attuale Amministrazione repubblicana di Bush J. : il rilancio della corsa agli armamenti per creare un gigantesco apparato militar-industriale, inattaccabile da qualsiasi eventuale nemico (scudo stellare) e capace di colpire ovunque in tempi brevissimi (bombardiere spaziale, utilizzo militare del sistema satellitare civile attuale).
    Questo soprattutto per favorire le lobbies belliche ed il Pentagono, che hanno portato all’elezione di un nuovo Bush con il vecchio staff repubblicano del padre o anche precedente.
    A prescindere dai rischi evidenti di una tale politica per la pace e la stabilità internazionali, essa rischia di far collassare un’economia già oggi in piena crisi, con la creazione di un arsenale costosissimo e ipertrofico, per di più completamente inutile in un sistema internazionale che vede gli USA già al giorno d’oggi quale unica superpotenza mondiale.
    E’ questa la tesi di Chalmers Johnson ne “Gli ultimi giorni dell’impero americano”.
    In questo libro si prospetta infatti una fine degli Stati Uniti molto simile al collasso implosivo dell’ex URSS nel momento in cui fu palese che il suo sforzo militare non era stato compatibile con la tenuta delle strutture economiche interne e si era per di più dimostrato inadatto alla geostrategia contemporanea (sconfitta in Afghanistan, Polonia, Medio Oriente ecc…)
    Il crollo dell’impero americano non sarebbe certo una perdita per il resto del mondo, ma al contrario l’inizio della rinascita di popoli e nazioni, se non fosse per il fatto che la globalizzazione americanocentrica ha vincolato tutti all’economia e alla politica statunitense. Tanto che la crisi generale del capitalismo USA rappresenterebbe contemporaneamente LA Crisi Mondiale per antonomasia, di fronte alla quale quella del ’29 sarebbe stata una tempesta in un bicchier d’acqua.
    Inoltre è sicuro che l’America, di fronte alla prospettiva del disastro economico interno (che, in quel tipo di società, rappresenterebbe semplicemente la fine degli Stati Uniti come entità politica unitaria) sarebbero pronti a scatenare un conflitto mondiale sul quale scaricare le tensioni interne e nel quale gettare gli armamenti la cui costruzione avrebbe determinato la crisi stessa.
    Il libro di Johnson aveva anticipato la crisi con la Cina proprio nell’area del Mare Cinese Meridionale e per la questione cruciale di Taiwan.
    Ancora una volta l’imperialismo militarista ed interventista è la fase suprema e la valvola di scarico del capitalismo nella sua fase estrema. Con la variante che stavolta è l’Alta Finanza a condurre il gioco ed il teatro è più che mai l’intero pianeta, il quale rischia di essere trascinato nell’olocausto nucleare totale, seguendo il crollo dell’Impero Americano.
    Se il Mondialismo è dunque frutto degenerato del nazionalismo, dell’imperialismo coloniale rovesciatosi nel suo apparente opposto, ma in realtà tutto interno alla logica mercantilistica anti-tradizionale che presiedette alla nascita ed affermazione degli imperi coloniali europei, la soluzione al problema non può che trovarsi alla radice di partenza: l’Europa.


    EUROPA, IMPERO E GEOPOLI TICA

    Cioè in un IMPERO EUROPEO autocratico, autarchico, armato.
    Una concezione imperiale, tradizionale, rivoluzionaria e geopolitica come risposta all’imperialismo del mondo unipolare, “modernista”, conservatore dell’assetto globale attuale.
    Riecheggiano le parole di Evola:
    “Dopo, gli imperi saranno soppiantati dagli “imperialismi” e non si saprà più nulla dello Stato se non come di una organizzazione temporale particolare, nazionale e poi sociale e plebea”.
    Un’Europa Unita che ritrovi quindi proprio nelle sue radici più profonde, nelle sue origini polari, nella sua Tradizione la forza per sollevare la bandiera della liberazione continentale e planetaria contro il Mondialismo. E che abbia nella GEOPOLITICA, cioè nella coscienza storica e geografica delle sue élites e dei suoi mille popoli, l’arma con cui combattere le utopie del mondo moderno e le minacce dei potentati mondiali.
    Una simile Europa certamente non ha niente a che spartire con l’attuale UE, propaggine atlantica della talassocrazia americana; la geopolitica, la storia, l’ideologia dei nostri attuali occupanti sono necessariamente conflittuali ed antagonisti con quelli dell’Europa.
    In termini geografici, storici e culturali poi l’unità del continente Europa si compenetra con la sua parte orientale, in specie con la Russia, tutta la Federazione Russa attuale, che ne rappresenta il proseguimento nella prospettiva geopolitica, la garanzia in termini militari, la complementarietà nell’aspetto economico e la potenzialità per lo SPAZIO VITALE.
    L’Europa da Rejkiavik a Vladivostok, dall’Atlantico al Pacifico, da Thule in Groenlandia a Bering, nell’estrema punta orientale della Siberia, con eventuali basi strategiche avanzate oltre lo stretto non è una
    Utopia, è semplicemente una necessità per l’esistenza stessa.
    Che poi ci siano ancora popoli europei capaci di una reazione vitale, è tutto da verificare. Certo non a occidente, ma forse è da oriente e dalla Russia stessa che può venire qualche speranza. E d’altra parte la Russia non può fare a meno dell’Europa, pena seguirne la stessa sorte.
    Se, come dicemmo il Mondialismo oggi s’identifica totalmente con l’imperialismo americano, Mondialismo= Americanismo, la risposta POSSIBILE non può che essere l’Europa Unita e indipendente, sovrana e autarchica nelle necessità primarie.
    L’One World che ci si prospetta come il migliore dei mondi possibili ha un centro: l’ombelico del mondo unificato è negli USA, in particolare quello finanziario e politico tra New York ed Washington, quello “culturale” tra Los Angeles e San Francisco, mentre il retroterra economico industriale occupa la fascia centrale da Chicago al Texas.
    Se la minaccia distruttiva della superpotenza USA, quale strumento del piano mondialista di dominio, è globale, altrettanto globale dovrà essere la lotta dei popoli liberi, riuniti in aree geopolitiche e culturali affini.


    LA NUOVA TRICONTINENTALE

    L’Europa per essere libera dovrà quindi porsi all’avanguardia delle lotte di liberazione del Sud del mondo: dell’America Latina oggi ridotta a “cortile di casa” dell’imperialismo yankee del nord, dell’Africa “nera” sub-sahariana come dell’Asia “gialla” con in testa la Cina, degli aborigeni dell’Oceania, del sub-continente indiano, del mondo iranico nostro naturale alleato come di quello turcofono confinante in Europa ed Asia.
    Ed ancora sarà nostra la lotta del popolo Palestinese, arabo e islamico contro la presenza sionista in Palestina e nel Medio Oriente.
    Israele è il baluardo armato dell’imperialismo talassocratico USA nel cuore della massa continentale eurasiatico-africana, alla confluenza degli stretti dei mari interni e sulle rotte dell’oro nero dell’energia mondiale.
    La sua stessa presenza rappresenterà sempre un pericolo mortale per l’unità europea, come per quella araba, iranica o africana.
    L’eliminazione del bastione sionista nel Mediterraneo è e sarà una priorità strategica per ogni governo e stato che voglia combattere contro il Mondialismo, per le unità continentali geopolitiche.
    Nel mondo globale non si possono ignorare situazione geostrategiche anche agli antipodi del pianeta.
    Ma le piccole nazioni sette-ottocentesche non possono certo competere con grandi potenze a respiro continentale.
    Mario Vargas Llosa, peraltro un esegeta della globalizzazione, ha recentemente affermato:
    “La realtà del nostro tempo è quella di un mondo nel quale le antiche frontiere nazionali si sono gradualmente assottigliate fino a sparire in certi settori – l’economia, la scienza, l’informazione, la cultura, anche se non nel politico e in altre sfere -, stabilendo sempre di più, tra i paesi dei cinque continenti, una interdipendenza che si scontra frontalmente con la vecchia idea dello Stato-nazione e le sue prerogative tradizionali”. (“Quello che resterà del nuovo Sessantotto” – Repubblica, 7/8/2001)
    Il politicante scrittore peruviano non manca di notare che il sistema democratico (cioè gli USA) hanno sconfitto i grandi regimi totalitari del XX secolo, Fascismo e Comunismo, indicati quindi come gli unici seri tentativi antimondialisti, rispetto alle velleitarie utopie del “popolo di Seattle”, destinato ad essere riassorbito nel Sistema come i contestatori del ’68.
    Un Sistema del quale si riconoscono già componente interna seppur nel dissenso dei mezzi.
    Potremmo solo aggiungere che gli stessi “fascismi” e “comunismi” dovettero in parte la loro sconfitta proprio al fatto di non aver compreso a piena la globalità della lotta, le intenzioni della potenza americana nel mondo; finendo per scontrarsi tra loro, permettendo all’imperialismo USA di batterli, in tempi separati, e con diversi strumenti, ma sempre con l’unico obiettivo storico di dominare la Terra.
    Che le unità geopolitiche e culturali nel futuro della politica mondiale non siano una mera ipotesi di studio, vuoto accademismo politologico o peggio utopia incapacitante, sono gli stessi teorici della supremazia americana a dircelo.
    Il trilateralista Samuel P. Huntington è il portavoce di varie associazioni americane che tracciano le linee strategiche per il XXI secolo a stelle e striscie.
    Nell’oramai celeberrimo “Lo scontro delle Civiltà e il Nuovo Ordine Mondiale”, l’autore disegna il quadro di un mondo futuro diviso per grandi aree geografico-culturali, nell’ambito delle quali dovrebbe valere il principio di “non ingerenza” da parte di una potenza esterna.
    Scrive Huntington:
    “Sotto la spinta della modernizzazione, la politica planetaria si sta ristrutturando secondo linee culturali.
    I popoli e i paesi con culture simili si avvicinano. Le alleanze determinate da motivi ideologici o dai rapporti tra le superpotenze lasciano il campo ad alleanze definite dalle culture e dalle civiltà.
    I confini politici vengono ridisegnati affinchè coincidano con quelli culturali…Le comunità culturali stanno sostituendo i blocchi della Guerra Fredda e le linee di faglia tra civiltà stanno diventando le linee dei conflitti nella politica globale”.
    Certamente l’Huntington scrive da americano ed il suo concetto di civiltà poco ha a che vedere con quello della tradizione europea o sino-nipponica o arabo-islamica ecc..
    E infatti nella logica geopolitica atlantica dei suoi sponsor l’Europa sarebbe unita agli USA e separata dal suo naturale proseguimento orientale nel mondo slavo-ortodosso.
    Del resto la scuola geopolitica di un Haushofer aveva già previsto un mondo di unità continentali (nel senso che la geopolitica dà al termine continente, non necessariamente coincidente con la suddivisione scolastica cui siamo stati indottrinati a scuola); ma Huntington, ovviamente, non ne fa parola.

    GEOPOLITICA E LOTTA DI LIBERAZIONE

    Eppure le unità geopolitiche e culturali di tipo imperiale sono nella realtà della suddivisione planetaria del futuro e rispondono ad una esigenza reale dettata dalla Storia e dalla Geografia.
    Anche la Geopolitica, criminalizzata per anni come “pseudoscienza nazista” è tornata in auge dopo la fine del bipolarismo USA-URSS e la nascita di nuove nazioni e nuove realtà supernazionali, cone l’Islam Rivoluzionario, il risveglio della Cina o la nuova vitalità dell’Induismo.
    Al momento attuale invece l’Europa, inglobata nella NATO, non è altro che terra di occupazione, “terza sponda” d’oltre oceano della potenza aereo-marittima dominante, fronte avanzato dell’imperialismo nordamericano/atlantico verso il cuore continentale, l’Heartland russo-siberiano.
    In tale contesto TUTTI gli eserciti e le polizie, i servizi e le strutture politiche delle nazioni europee sono al servizio di Washington, strutturati ed armati in funzione degli interessi strategici d’intervento rapido dell’imperialismo americano in ogni angolo del mondo.
    Come tali essi devono essere considerati come COLLABORAZIONISTI DEL NEMICO OCCUPANTE, da parte di ogni vero rivoluzionario e patriota europeo: e trattati come tali.
    In fondo la guerra contro l’Europa non si è mai conclusa, dal secolo scorso ad oggi.
    E la stessa NATO, lungi da essere una difesa e una garanzia per i sedicenti alleati europei, ha sempre rappresentato lo strumento di dominio americano sull’ Europa; in particolare oggi che non ha neanche più il velo giustificativo del baluardo anticomunista ed antisovietico.
    L’esperienza delle guerre balcaniche e l’attacco alla Serbia sono solo gli ultimi tragici fatti sotto gli occhi di tutti. E la vergogna del Tribunale Internazionale dell’Aja, che processa i vinti e/o gli alleati scomodi per conto dei veri criminali mondiali, non rappresenta che l’istituzionalizzazione dell’altra vergogna storica, i tribunali di Norimberga e di Tokio.
    Con la teorizzazione degli “interventi umanitari” gli Stati Uniti si sono autoproclamati poliziotti mondiali, oltre che carcerieri e boia, contro il “criminale” internazionale di turno, scelto sulla base degli interessi correnti della strategia militare e politica del Pentagono: ieri Hitler, Mussolini, Stalin e il Giappone, oggi l’Iran komeinista, la Libia di Gheddafi, la Corea, o più semplicemtente Saddam Hussein, Milosevic o Bin Laden!


    LA GLOCALIZZAZIONE

    Per tornare alla proposizione delle unità geopolitiche autocentrate, noteremo come queste rappresenterebbero anche la risposta al falso problema della dicotomia tra GLOBALIZZAZIONE e LOCALIZZAZIONE.
    Il mondo moderno sembra tendere verso l’abbattimento di ogni barriera nazionale (internazionalismo, governo unico mondiale), culturale (uniformismo dei costumi, delle mode, della musica, del cibo, internet ecc..) economica (globalizzazione dei mercati, liberismo assoluto), religiosa (sincretismo, fratellanza universale, modello monoteista unico), ecc…; e comunque è in tal senso che spinge il progetto mondialista di una cultura unipolare, modellata sull’american way of life.
    D’altra parte la naturale resistenza di uomini sani e popoli ancora vitali va nel senso apparentemente opposto: il Localismo, il ritorno ai valori della terra, quando non anche del sangue.
    Si riscoprono usi e costumi, tradizioni locali o ricette, si riabilita il rapporto armonico con la natura che fu precristiano.
    Fino alla rivendicazione di autonomia o indipendenza per le “piccole patrie”, con la rinascita delle lingue perdute, la riscoperta della storia occultata e di simboli e bandiere dimenticati.
    Un fenomeno certo positivo che però rischia anch’esso di essere strumentalizzato dalle lobbies mondialiste, per essere utilizzato come semplice folklore, come ulteriore indebolimento interno della politica nazionale, quando questa non si pieghi subito e completamente ai voleri e ai valori degli apolidi padroni del mondo.
    Il teorico più noto di questa tendenza “localista”, insieme ai vari I. Illich, V. Shiva e Bové, è l’ecologista inglese Edward Goldsmith, autore di “Glocalismo”, cioè appunto la tendenza globale al localismo nel mondo.
    In una recente intervista (“La Stampa”, 15/7/2001) il teorizzatore di comunità stabili, territoriali, tradizionaliste, autoregolate e a crescita zero, afferma:
    “Si vuole creare un paradiso per le multinazionali, rimuovendo le regole che proteggono i poveri e le comunità locali. Il G8 lo fa sistematicamente…
    Credo nei doveri verso la famiglia e la comunità, nell’idea di religione e di tradizione. Orribile è la società individualistica, atomizzata, di massa. Non c’è libertà ma solo Coca-Cola, organismi geneticamente modificati, MacDonald’s.”
    Ed ancora:
    “La globalizzazione è un fenomeno temporaneo, che non può durare: Pensi alle crisi finanziarie che costellano questi nostri anni. ..La politica di Bush porta verso l’estinzione dell’umanità: ma in tal caso non ci sarà più economia, non ci sarà più nulla. Credo che le cose stiano cambiando.
    Bisogna preparare il collasso di questo sistema, che arriverà comunque”.
    Parole che condividiamo in toto e che riproponiamo a chi ci lanciasse accuse di catastrofismo apocalittico.
    Ci sarebbe semmai da chiedersi come conciliare le idee di Goldsmith con quelle dei globalizzatori dal basso, post-marxisti, internazionalisti e cristiani di base, cioè le ideologie internazionaliste e mondialiste per eccellenza.
    E anche con quelle di Bové o del subcomandante Marcos, arrivato come rivoluzionario marxista nella foresta Lacandona del Chiapas con “il Capitale” sotto il braccio, e convertitosi alla visione del “Popol-Vuh”, il testo sacro dei Maya!

    Del resto è noto che, oltre ai succitati, tra i padri nobili dell’Antiglobal sono stati inseriti, a ragione o a torto, nomi vecchi e nuovi di tutti i tipi: da Marx a Keynes, dal solito J.J. Rousseau a Russell e Marcuse, da Morel a Tolstoj, fino ai più attuali Mac Luhan e Jeremy Rifkin, che ha lanciato il termine “Ecocidio”, titolo di un suo libro(autore anche di:“Il secolo biotec”), Vandana Shiva, Luther Blisset e ovviamente gli ebrei americani Noam Chomsky e Naomi Klein, la fortunata autrice di “No Logo”.
    Né potevano mancare religiosi e teologi da Madre Teresa di Calcutta (immancabile, appunto, in tutte le salse), ad Hans Küng e Leonardo Boff.
    Stranamente…non si parla di Hakim Bey (alias Peter Lamborn Wilson), teorizzatore delle “TAZ”, “Zone Temporaneamente Autonome” che sembra sia fra le letture preferite delle frange dure anarco-insurrezionaliste del movimento antagonista. Un Sufi che propone una lettura anarco-nihilista della rivoluzione antimondialista, sotto il segno non del materialismo-marxiano ma …della Dea Kalì, cioè sotto il segno della distruzione totale in quello che appunto i tradizionalisti definiscono il Kali-Yuga, l’Era di Kalì, la sposa di Shiva , distruttore ma anche restauratore. [notizie, tratte da forum telematico, di Luigi Leonini, che riporta le critiche del sinistro Blisset ad Hakim Bey, considerato quasi un nazifascista!].
    Resta il fatto che il “DIFFERENZIALISMO IDENTITARIO”, la Localizzazione, il particolarismo etno-geografico non potrebbero comunque contrastare la Globalizzazione imposta, il progetto Mondialista solo rinchiudendosi nel particolare; opponendo in particolare piccole comunità ed economie da villaggio allo strapotere economico e politico, per non dire militare, del mondialismo e dei suoi manutengoli.
    Tantomeno prospettando solo un’opera di distruzione totale (assolutamente necessaria, e prioritariamente indispensabile) delle strutture del mondo moderno, senza proporre e preparare l’alternativa alla globalizzazione e non una globalizzazione alternativa.


    COMUNITA’, NAZIONE, IMPERO

    Né, al contrario, si può restare in attesa di una crisi strutturale del Sistema mondialista, che certamente E’ nel destino del Capitalismo Finanziario Internazionale, ma di cui bisogna favorire il collasso, come giustamente dice il Goldsmith.
    Persino le nazioni nate dalla Rivoluzione Francese e dalla decolonizzazione del dopoguerra sono diventati strumenti politici inadeguati ad affrontare il fenomeno; tantomeno potrebbero esserlo microcomunità d’ogni genere, se non inserite organicamente in un’unità più grande, più complessa, garante delle specificità locali e della difesa comune.
    Sul problema del rapporto tra “nazionalità”, “nazionalismo” e “impero” rimandiamo ancora una volta all’ Evola di “Rivolta contro il mondo moderno”, che anche in questo campo anticipava di decenni le critiche al nazionalismo che, tra isterismi di masssa e guerre civili europee, già si scavava la fossa nel secolo trascorso.
    Su di essa il Mondialismo ha posto la sua pietra tombale.
    La soluzione del problema di superare la Globalizzazione mondialista difendendo dall’omologazione planetaria del capitalismo finale le specificità locali, non può che essere l’Europa Unita dall’Atlantico al Pacifico, dal Polo al Mediterraneo-Mar Nero-Caucaso-Siberia: l’Europa di cento bandiere, di mille piccole comunità sempre più particolari e specifiche nella loro cultura.
    Ma un’Europa che sia comunque omogenea, unitaria nelle sue radici etniche e spirituali più antiche, in un vasto spazio geopoliticamente delineato ed economicamente autarchico.
    Del resto è proprio questa l’essenza dell’Imperium tradizionale , descritto da Evola e conosciuto da tutte le Civiltà autentiche.
    Perché l’unità dell’Impero è data dalle élites spirituali, politiche e militari tratte dai popoli componenti l’Impero stesso portatore di una visione anagogica, spirituale, metapolitica e metafisica, che compenetra ma supera idealmente gli interessi e le tradizioni dei popoli compresi nei confini imperiali, ciascuno dotato del suo spazio geografico particolare.
    Ancora una volta la soluzione più realistica e avveniristica del dramma del nostro tempo risiede nella saggezza della Tradizione che, in quanto tale, non è né antica né moderna perché eterna.


    RITORNO ALLA GRANDE POLI TICA

    Si parla molto del ritorno della Politica, del suo riprendere il posto che le compete sopra l’economia.
    Ma solo se si comprenderà la vera natura del Mondialismo, che non è soltanto (e nenche soprattutto) un fenomeno di natura economica, si potrà opporre una valida alternativa e politica e socio-economica al progetto di dominio di una ristretta, “eletta”, oligarchia plutocratica, ma anche portatrice di una ben specifica “contro-tradizione” religiosa e culturale: una “visione del mondo” globale e globalmente antagonista a quella dei popoli.
    Circa il tipo di lotta da intraprendere ci permettiamo di rimandare il lettore ai precedenti scritti, ed in particolare alla “Dottrina delle Tre Liberazioni” (Liberazione Nazionale/ Liberazione Sociale / Liberazione Culturale, nel quadro geopolitico europeo e in una prospettiva di guerra totale mondiale dei popoli contro l’imperialismo americano).

    Ma prima di ogni azione nel campo pratico sarà necessario chiarire iequivocabilmente i termini del problema, gli attori reali sulla scena nazionale e mondiale e quelli fittizzi, gli uomini e le istituzioni, i partiti e i movimenti che sono al servizio del progetto moindialista.
    Per queste analisi le vecchie abusate terminologie non hanno più senso, non servono allo scopo se mai servirono: “destra”, “sinistra”, fascismo/antifascismo, comunismo/anticomunismo, democrazia e/o totalitarismo, nazionalismo-internazionalismo, tutte parole che appartengono ad un’epoca della politica oramai vecchia di un secolo.
    E che se vengono ancora utilizzate a fine polemico e/o apologetico, è solo perché servono agli imbonitori di turno a deviare l’attenzione dalle realtà dell’oggi, dalle prospettive di aggregazione e di lotta del domani.


    IL QUADRO DELLO SCONTRO E I SUOI PROTAGONISTI

    Evola perlomeno ci ha insegnato come, al contrario, anche i termini esatti appartenenti alla Tradizione Una, in quanto svincolati dalle contingenze del temporale, del passeggero, del provvisorio, dell’inessenziale, possano tramutarsi di epoca in epoca in “parole d’ordine” per la lotta, in “Miti di riferimento capacitanti”, in prospettive reali e realistiche di lotta, per chi voglia essere protagonista nel proprio tempo, anche nell’epoca della dissoluzione e della fine ciclica; la cui durata peraltro non possiamo determinare.
    Siamo del resto sempre stati convinti che non esistano i “miti incapacitanti”, bensì solo uomini incapaci di attualizzare una Realtà per sua natura a-temporale, metapolitica.
    Attardarsi a cercare di recuperare giovani o meno giovani, a qualunque ideologia appartengano, il cui limitato orizzonte mentale e spirituale li destina per natura o per scelta a battaglie di retroguardia, a sterile nostalgismo, all’impotenza politica, quando non addirittura alla difesa delle vuote istituzioni del passato, è oltre che vano, controproducente.
    Sarà semmai questa limatura di ferro che seguirà la calamita, se questa saprà esercitare la sua forza naturale attrattiva.
    Ma assolutamente da evitare è ogni commistione, ideologica, ideale, politica o pratica, o persino dettata dal sentimentalismo su un passato in comune, verso tutti quegli elementi che militano in formazioni legate alle istituzioni attualmente al potere. Che lo facciano per arrivismo, per furbizia, per avidità, per malafede o per buonafede e/o convinti di scegliere il “meno peggio”, tutti costoro sono OGGETTIVAMENTE al servizio del progetto mondialista, dei suoi esecutori nazionali ed in ultima istanza dell’occupante imperialista e dei padroni del nostro e degli altrui destini.
    Camerieri dei banchieri, per usare il felice titolo del Santoro.
    SONO AGENTI DEL NEMICO, e come tali vanno trattati e combattuti. La pretesa “buonafede” dopo anni di riprove al contrario è solo stupidità allo stato puro, quando non peggio. Le “destre” di Regime e di Sistema non hanno scusanti.
    Anzi , al contrario, sono assai più responsabili e quindi colpevoli, in quanto avendo da sempre a portata di mano gli strumenti ideali, culturali e politici, i punti di riferimento fissi e veritieri per un’analisi della società nazionale ed internazionale, non ne hanno mai fatto uso, preda ogni volta degli istinti più animaleschi e delle reazioni più incontrollate, come gli sbavanti cani di Pavlov davanti ad un osso.
    E nel momento stesso in cui esaltano un passato lontano del quale sono indegni, lo negano nei fatti portando acqua ed energie al mulino di un nemico secolare, lo stesso di ieri, di oggi e del prossimo domani.

    Né si pone all’opposto il problema di rincorrere una contestazione umanitarista, riformista, cristiano o laico progressista, che già dai suoi esordi manifesta chiaramente i germi e le patologie del male che vorrebbe combattere.
    Ad essa sarebbe quasi da preferire quella radicale e semplicemente distruttiva dei casseurs, degli anarchici e nihilisti d’ogni specie, il cui vero limite non è tanto nelle modalità d’azione (cosa saranno mai quattro vetrine rotte di banche o agenzie finanziarie in confronto al crimine della fondazione di banche e finanziarie?), bensì nella mancanza di prospettiva rivoluzionaria e nella fisiologica negazione di un’alternativa possibile.
    Anche se, in questo caso, le convergenze tattiche, sono possibili e persino auspicabili; ferma restando però la propria identità politica e Culturale in senso lato.
    Se le destre di sistema fanno parte del fronte nemico, quello del Mondialismo al potere, gli antiglobalizzatori, variegati quanto i colori dell’arcobaleno, rappresentano una contestazione interna al Sistema globalista, eppur tuttavia una contestazione…

    Nello schema ideale dei “due Fronti e molte trincee”, mentre la destra reazionaria è palesemente schierata nel fronte opposto, tanti giovani contestatori sono su trincee vicine, anche se non hanno un quadro chiaro e generale delle forze in campo e delle strategie. Questo anche perché spesso sono proprio i loro dirigenti ad appartenere al nemico mondialista e quindi a deviarne le positive energie rivoluzionarie verso falsi obiettivi.
    Da parte chi è cosciente di tutto ciò si tratterà allora di assumere una posizione quanto mai ferma e RADICALE contro tutte le espressioni, politiche, sociali, scientifiche, spirituali ecc…del moderno mondo globalizzato.
    Un tradizionalista rivoluzionario, lo ripeteremo fino alla nausea, non ha niente da salvare del mondo moderno, ma tutto da distruggere: a cominciare dai rimasugli, dai rottami, dai resti di un passato che non apparteneva già al suo esordio al mondo della Tradizione, ma ad una fase precedente e oramai superata della decadenza.
    Forti di una retta Dottrina e di una razionale analisi storica e geopolitica, coscienti della consapevolezza di battersi per la giusta causa dei popoli, in una visione globale del mondo e della storia offerta dall’insegnamento tradizionale di maestri come Evola, Guenon, Béla Hamvas (l’autore di “Scientia Sacra”), e tanti altri, i giovani rivoluzionari antimondialisti del domani si devono porre all’avanguardia e non nelle retrovie della guerra contro la globalizzazione in tutte le sue forme e manifestazioni; che ovviamente non sono soltanto economiche e politiche, bensì esistenziali, spirituali, naturali.
    Abbiamo risposte e proposte in ogni campo: dalla salute all’ambiente, dal lavoro all’immigrazione e al debito mondiale, dal cibo al commercio, dalla genetica alle nuove tecnologie; ecologia, etologia, animalismo e via elencando hanno sempre fatto parte del nostro bagaglio culturale, a differenza di tanti parvenues dell’ultim’ora.
    Senza seguire nessun capopolo isterico, ducetto da strapazzo o farabutto politicante, le nuove leve che verranno devono prima di tutto selezionarsi, contersi, organizzarsi.
    Comunque lo si voglia poi chiamare deve nascere un COORDINAMENTO ANTAGONISTA RIVOLUZIONARIO fra tutti coloro che condividano una visione tradizionale, anagogica della vita e del mondo ed abbiano la volontà di applicarla nella lotta quotidiana; una quotidianità che sia vissuta sotto il segno dell’Assoluto. Non l’impegno di un giorno o di un anno, ma la determinazione di tutta una vita!
    Chi saprà trovare in se stesso questa determinazione assoluta può star certo che sarà seguito da un numero sempre crescente di giovani e meno giovani, i quali attendono solo un segno, un impulso, una bandiera per lanciarsi nella pugna.


    EVOLA COME MAESTRO DI LOTTA E VITTORIA

    Evola non è mai stato l’ideologo della ritirata, della sconfitta, della resa, del gesto disperato seppur coraggioso fine a se stesso. Tutta la sua vita e le sue opere, prima e dopo le Guerre Mondiali, sono una testimonianza di impegno, senza esaltazioni improvvise o scoramenti.
    Evola fu un vero rivoluzionario, anche quando era immobile, paralizzato sulla sua sedia, al tavolo di lavoro. E ce lo dimostra il fatto che seppe vedere lontano e pre-vedere la realtà nella quale siamo oggi immersi. Prevedere e provvedere, offrendoci gli strumenti teoretici per combattere il mond(ialism)o moderno, i suoi inganni, le sue sirene ammaliatrici.
    Il Sistema mondiale è molto più fragile di quanto ci faccia credere. Il suo crollo non si protrarrà nel tempo, non sarà una lunga decadenza, ma un crollo netto, quasi immediato; più veloce del crollo di un colosso dai piedi d’argilla, come fu l’URSS alla fine del millennio trascorso.
    Si tratterà allora, dove possibile, di sfruttare le contraddizioni interne al Sistema, che sempre si presentano in ogni fenomeno storico di mutamento.
    Fare esplodere le contraddizioni, portare la contrapposizione NEL Sistema a contrapposizione AL Sistema. Mostrare ai popoli tutta la fragilità della costruzione e strappare la maschera ai burattinai che la muovono.
    Primo imperativo: mutare di segno la mobilitazione Antiglobal; dal “—“ di una globalizzazione al negativo, dal basso, a quello “+” , positivo, di una lotta senza quartiere al Mondialismo comunque inteso PER la Liberazione Nazionale, Sociale, Culturale, europea e mondiale.
    Non prima di aver fatto piazza pulita di tutto il passato e il presente.
    Questo è vero “nihilismo attivo”.
    Sempre Evola, a conclusione di “Rivolta contro il mondo moderno”, affermava:
    “Si tratterebbe di assumere, presso ad uno speciale orientamento interiore, i processi più distruttivi dell’età moderna per usarli ai fini di una liberazione. Come in un ritorcere il veleno contro sé stesso o in un ‘cavalcare la tigre’ ”.
    E chi può essere più radicale e totale nella lotta al mondialismo moderno di chi ha un punto fermo di riferimento, ben oltre le contingenze storiche del momento?
    Chi sa guardare ben oltre i confini dello spazio e quelli del tempo, riallacciandosi con un altro anello alla catena ininterrotta di una concezione circolare della Storia : costui saprà essere l’AVANGUARDIA delle nuove generazioni che, proprio nel momento più buio dell’omologazione e dell’annichilimento, sentono ancora il fremito della “Rivolta…”, la necessità etica dell’impegno nella difesa dei più deboli, degli oppressi, dei perseguitati, la necessità fisica di vivere per lottare e lottare per vivere.
    Ezra Pound definì il comunismo un’etica e il fascismo un’estetica, il capitalismo una pratica.
    Si tratta ora di fondere etica ed estetica nella lotta al capitalismo che si è rivelato una “pratica” folle e suicida per tutti, anche per quelli che lo difendono, coscienti o meno che ne siano.
    Come ebbe modo di dire un vero rivoluzionario del ventesimo secolo, Ernesto “Che” Guevara, “bisogna sentire come se fosse ricevuto sul proprio viso lo schiaffo dato ad ogni uomo”; ed agire di conseguenza.
    Del resto, anche volendo, la generalità dei problemi e il pericolo sono oramai così globali appunto che rinchiudersi nel proprio egoismo, ideologico o sociale che sia, sarebbe un suicidio.
    Uomini come Julius Evola, come Nietzsche e tanti altri ci hanno lasciato strumenti di studio, di analisi del mondo attuale che, nelle mani giuste, possono trasformarsi in valide armi di lotta e vittoria.
    Chi saprà impugnarle con impersonalità, con animo nobile e volontà ferrea, unendosi a tanti altri uomini e popoli che in ogni angolo del pianeta stanno sollevando la testa, ritrovando la voce, alzando i pugni al cielo?
    La possibilità, anzi la necessità di un nuovo calarsi nel Politico, nell’impegno militante totale, nella guerra al mondialismo moderno, oltre ogni limite geografico e mentale, rappresenterà anche la riprova sul campo della tenuta interiore di ciascuno, della fermezza e del coraggio, della capacità di vincere il borghese che si annida in ciascuno e che si cerca di esorcizzare rimandando l’impegno ad un ipotetico futuro fatto di pose retoriche, di eroismi da operetta, di fantastici scenari da war games, il tutto per rinviare sine die le proprie responsabilità e camuffare la resa al quotidiano, da piccoli borghesi frustrati.

    “Propiziare – scriveva Evola- esperienze di una vita superiore, una superiore libertà…E’ una prova.
    E, a che essa sia completa, risolutiva, si dica pure: i ponti sono tagliati, non vi sono appoggi, non vi sono ‘ritorni’, non v’è che da andare avanti.
    E’ proprio di una vocazione eroica l’affrontare l’onda più vorticosa sapendo che due destini sono ad eguale distanza: quello di coloro che finiranno con la dissoluzione del mondo moderno, e quello di coloro che si ritroveranno nel filone centrale e regale della nuova corrente”.


    Ed ora, la parola ai fatti.


    CARLO TERRACCIANO

 

 
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