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    Predefinito Immigrazione: cari lettori… di Massimo Fini

    di Massimo Fini

    I lettori Maria Teresa Secondi e Paolo Migneco pongono due questioni di fondo. Secondi si chiede se noi abbiamo il diritto, o addirittura il dovere, di intervenire, anche fuori di casa nostra, nelle altre culture e negli altri mondi eliminandone, con le buone o con le cattive, dispotismi e crudeltà (che elenca minuziosamente facendo peraltro un “poutpourrì” tratto da tradizioni diverse) al che sono appartenuti in certi casi, anche alla storia europea ed occidentale ma che abbiamo fortunatamente superato. E si dà una risposta senza dubbi: noi occidentali abbiamo il diritto e il dovere, da buoni samaritani quali siamo, di eliminare quei dispotismi, quelle crudeltà, quegli orrori omologando le altre culture alla nostra e esaminando come “diversità”, bontà sua, “i piatti tipici, le sagre, i costumi tradizionali” che poi andremo a goderci da turisti. A parte che omologando alla fine sparirebbero anche i piatti tipici la questione non è così lineare e semplice come crede Secondi convinta di appartenere a una cultura più evoluta e “superiore”.

    Lévi-Strauss, che non è un terrorista islamico ma un filosofo e antropologo che, come tale, ha conosciuto molti popoli, sostiene che ogni cultura è un sistema, con le sue compensazioni interne e i suoi contrappesi, un insieme di elementi logicamente coerenti strettamente collegati fra loro per cui qualsiasi modificazione di uno di essi comporta una modificazione di tutti gli altri. Ne consegue che non si possono estrapolare e cancellare dalle culture “altre” gli aspetti che non ci piacciono senza modificare profondamente tutto il sistema e, quasi sempre, farne crollare l’intera impalcatura. E questo è esattamente il motivo per cui ogni intrusione occidentale nelle società del Terzo Mondo ancor più “primitive”, anche quelle animate dalle migliori intenzioni, per non parlar delle altre, ha portato sconquassi inenarrabili, creato ibridi incoerenti e mostruosi e distrutto, di fatto, quelle società, quelle culture e quelle civiltà.


    È vero che in molte - non in tutte - culture diverse dalla nostra ci sono pratiche dispotiche e crudeli per noi incomprensibili. Ma sono compensate da altri aspetti. Noi mettiamo su tutto la libertà individuale (anche se poi ci sarebbe da vedere che cos’è realmente la libertà in Occidente - vedi la lettera di Migneco), loro privilegiamo i legami, familiari (quelli che Migneco, conttradicendosi, lamenta siano venuti meno da noi), cronici, tribali e, quando non sono completamente imbastarditi dalle nostre intrusioni, mirano all’equilibrio e all’armonia “in ciò che c’è già” a scapito dell’efficenza economica e tecnologica. Sono società tendenzialmente statiche laddove quella occidentale è dinamica. È la loro storia. Non è la nostra.

    Ma non basta. Siamo davvero sicuri, come lo è Secondi e quasi tutti in Occidente, che il nostro sia “il migliore dei mondi possibili”, la “cultura superiore”, la società più evoluta dove è “migliorato il nostro modo di stare insieme” e dove, insomma, si vive meglio? Prendiamo dei dati, che sono più solidi delle opinioni, e facciamo un raffronto fra l’Europa preindustriale e preilluminista, dove si viveva, grosso modo, come vivono attualmente le società che ci fanno orrore, e l’Occidente di oggi. Nell’Europa del 1650, industriale, i suicidi erano 2,5 per 100 mila abitanti, in quella del 1850, un secolo dopo il “take off” industriale, erano 6,9. Triplicati oggi sono 20 per 100 mila. Decuplicati. Nevrosi e depressione, pressoché sconosciute nel mondo di ieri, sono malattie della modernità. Si affacciano all’inizio dell’Ottocento, non a caso negli ambienti borghesi, mercantili, e quindi agiati, diventano un problema sociale delle classi cosiddette benestanti fra Ottocento e Novecento, tanto che nasce la psicoanalisi (Freud), per esplodere poi come segno di un disagio acutissimo, che preme l’intero Occidente in tutti i suoi ceti, più o meno dopo la seconda guerra mondiale. Negli Stati Uniti 566 americani su mille fanno uso abituale di psicofarmaci. Cioè nel Paese di punta del nostro modello di vita, il più forte, il più potente, il più ricco, più di un abitante su due non sta bene nella propria pelle, non regge la società in cui vive. Il fenomeno dell’alcolismo di massa nasce con la Rivoluzione industriale. Quello della droga è sotto gli occhi di tutti.

    Vogliamo sostenere, seriamente, che questo è “il migliore dei mondi possibili”? Abbiamo eliminato alcune crudeltà e alcuni dispotismi (sostituendoli con altri, più sottili e meno visibili), ma al prezzo del vuoto esistenziale e di una formidabile perdita di senso. E ora pretendiamo di esportare la nostra nevrosi in tutto il resto del vasto mondo.

    Migneco si chiede invece che cosa dobbiamo fare per fermare quelli che chiama “gli invasori” (per la verità ad essere invasi, per ora, sono l’Afghanistan, l’Iraq, l’Arabia Saudita, la Bosnia, il Kosovo, ma lasciamo perdere non è questo l’argomento).

    Dobbiamo innanzitutto fermarci noi, fermare le nostre di invasioni, quelle economiche, anzi ritirarci. Non mi riferisco qui al colonialismo classico, ma a quello attuale, economico. Fra i due c’è una differenza sostanziale, di qualità. Il primo si limitava a conquistare territori e a rapinare materie prime di cui spesso gli indigeni non sapevano che farsi, ma poiché le comunità dei colonizzatori e dei colonizzati rimanevano sostanzialmente separate poco cambiava per questi ultimi che continuavano a vivere come avevano sempre vissuto, secondo le proprie tradizioni, costumi, mentalità, socialità, economia. E infatti, non si erano mai visti prima degli ultimi decenni, poniamo, neri del Centro Africa venire verso l’Occidente - eppure le navi esistevano anche allora - caso mai eravamo noi che andavamo a prenderli per trarli schiavi. Il colonialismo economico invece non conquista territori ma mercati (di cui l’Occidente ha un bisogno estremo, anche dei più modesti e poveri, perché i suoi sono saturi) e per farlo deve omologare gli abitanti del Terzo Mondo ai nostri costumi, alla nostra “way of life”, ai nostri valori, ai nostri schemi mentali e possibilmente ai nostri costumi. Privati delle loro tradizioni, della loro socialità, di quel tessuto di solidarietà, familiare, il nostro modello, ha lacerato irrimediabilmente, ridotti a vivere in desolate periferie dell’Impero con i suoi materiali di risulta, resi eccentrici rispetto alla propria cultura, che non esiste più o è finita nell’angolo, milioni di uomini e di donne del Terzo Mondo perdono ogni punto di riferimento e la loro identità (è da questo, soprattutto, che cerca di difendersi l’Islam, più strutturato rispetto ad altre culture terzomondiste). E quindi vengono verso il centro dell’Impero per cercavi una vita migliore. Questa è una delle cause della miseria e poi c’è la fame.

    Che è anch’essa un fatto nuovo, prodotto dall’avanzare della globalizzazione del nostro modello. Prendiamo l’Africa nera. Nessuno crederà seriamente, spero, che l’Africa sia sempre stata alla fame. Agli inizi del novecento era talmente autosufficente dal punto di vista alimentare e lo è rimasta, nella sostanza (al 98\%), sin verso la fine degli anni sessanta. Poi l’autosufficenza è andata rapidamente decrescendo e oggi è abbondantemente sotto il 50\% l’integrazione economica mondiale costringe i neri africani, come le altre popolazioni del Terzo Mondo, ad abbandonare le economie di sussistenza, cioè di autoproduzione e autoconsumo, su cui avevano vissuto, e a volte preparato, per secoli e millenni, per entrare nella globalizzazione. Adesso i Paesi africani esportano qualcosa (dal Continente Nero ci arrivano squisite primizie), ma queste esportazioni sono lontanissime da compensare il deficit alimentare che si è creato con l’abbandono delle economie tradizionali. E quindi la fame. E quelle migrazioni bibliche che tanto inquietano l’Occidente.

    Ma chi è favorevole alla globalizzazione non può essere contro l’immigrazione . Se i capitali e le merci possono andare a cercare il luogo della Terra dove ritengono di trovare la migliore remunerazione, questa possibilità deve essere consentita anche agli uomini che, oltretutto, sono stati quasi sempre ridotti a miserabili proprio dall’arrivo di quei capitali. A meno che non si voglia arrivare al punto veramente infame, di sostenere che il denaro ha più diritti degli uomini.

    Se vogliamo evitare le immigrazioni di massa dobbiamo smetterla con le nostre intrusioni, economiche e non, che non fanno altro che destrutturare i Paesi del Terzo Mondo. Dovremmo anzi ritirarci da quei Paesi. Ritirare i nostri missionari, le nostre armi, i nostri rifiuti tossici, le nostre fabbriche puzzolenti, i nostri imprenditori che vanno lì a “portare lo sviluppo”, i nostri prodotti, il nostro denaro. Dovremmo lasciarla in pace, quella gente. Ecco tutto. Ma non possiamo farlo perché questa economia internazionale di rapina ci serve per mantenere quei livelli di benessere cui non siamo in grado di rinunciare anche se si è rivelato uno straordinario malessere.

    E nemmeno gli aiuti in loco, quand’anche non siamo (?), servono a nulla. Sono anzi dannosi perché integrando ulteriormente questi Paesi al nostro sistema finiscono per strangolarci del tutto.

    L’Africa, per prendere il Continente Nero come emblema di una situazione complessiva, stava molto meglio quando si aiutava da sola. Durante un G7 di anni fa i sette Paesi più poveri del mondo, con alla testa l’africano Benin organizzarono un contro summit al grido “Per favore, non aiutateci più!”.

    Quanto a Migneco che teme che fra qualche tempo gli islamici, divenuti maggioranza nel nostro Paese ne detteranno le leggi, vorrei fargli notare che questa era esattamente la situazione del Kosovo dove la minoranza albanese, a furia di figliare, era diventata maggioranza e pretendeva di impadronirsi, con l’indipendenza, di una regione che era da sempre, storicamente e giuridicamente serba. La Serbia non ci stava ovviamente a cedere una terra che era stata lavorata per secoli da serbi per regalarla ai nuovi arrivati. Ma intervenimmo noi occidentali, “uomini di buona volontà”, già “uomini della pace”, in favore dei terroristi dell’Uck finanziati dagli americani, con l’Italia nel poco dignitoso ruolo del “palo”, bombardammo per 72 giorni la Jugoslavia e una città europea come Belgrado facendo, cara Secondi, anima candida, 5.500 morti.

    E poi, per buona misura, trascinando, col ricatto economico, a quel che restava della Serbi, l’ex presidente Slobodan Milosevic davanti al Tribunale internazionale dell’Aja dove è morto d’infarto.

    Spero proprio che i timori di Migneco si avverino e che la Storia ci renda la pariglia.

    Fonte: Il Gazzettino

  2. #2
    kalashnikov47
    Ospite

    Predefinito

    Mi sembra un'analisi corretta.
    O no?

  3. #3
    email non funzionante
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    Citazione Originariamente Scritto da kalashnikov47
    Mi sembra un'analisi corretta.
    O no?
    tutto si risolverà nel far diventare una fogna a cielo aperto come la città di blade runner l'europa, i signori delle marionette controllano gli islamici come i cattolici, sedeplenari e sedevacantisti, essi conoscono nel profondo l'anima umana,massimo fini è mezzo ebreo, non ha il legame sentimentale che ha un europeo che gli permette di percepire certe cose

 

 

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