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Sulla fusione Intesa - San Paolo
Gianfranco La Grassa
31/08/2006


Pubblichiamo, con il consenso dell'autore Gianfranco La Grassa, il presente pezzo «Sulla fusione Intesa - San Paolo».
Nato a Conegliano Veneto nel 1935, La Grassa è un economista, e uno studioso e critico del marxismo.
Fino al 1996 docente di Economia nelle università di Pisa e di Venezia, allievo di Charles Bettelheim, ha pubblicato più di quaranta libri.
I più recenti sono: «Gli strateghi del capitale», Manifestolibri e «La teoria come pratica (politica)», Società editrice apuana, entrambi usciti nel 2006.
Fonte: www.ripensaremarx.com

Eccoci ad una grande fusione bancaria, Intesa-San Paolo, che crea il primo colosso bancario italiano (e settimo in Europa).
Presto per trarre tutte le conclusioni, anche perché il sottoscritto non ha certo a disposizione i famosi «uccellini» che fischiano alle orecchie degli «informati» le notizie riservate e più succose. Tuttavia qualcosa si può (cominciare) a dire, andando per gradi; e scusandomi di un certo disordine nell'esposizione, che non può al momento stringere sui soli nodi essenziali, tutt'altro che chiari.
Cominciamo dal meno importante.
Non sentiremo in nessuna intercettazione telefonica (a parte che quelle sue non le metterebbero
sui giornali) Prodi esclamare la ben nota frase «abbiamo una Banca!», come fece l'«ingenuo» Fassino parlando con Consorte all'epoca del tentativo dell'Unipol di prendersi la BNL (a proposito, che fine ha fatto l'inchiesta sul diessino ex presidente dell'Unipol che era tanto implicato in «quegli affarucci» quanto Fiorani e Ricucci, invece arrestati?).
E non può pronunciarla perché in tal caso è del tutto evidente che il dominus è Bazoli (Intesa), con Salza (San Paolo) di rincalzo, mentre Prodi è il «loro uomo» nella sfera politica.
Mai scordarsi che, nella scuola (economica) di Andreatta, Prodi ricopriva lo stesso ruolo di Buttiglione nella scuola (filosofica) di Del Noce; il ruolo dell'un po' testone, del classico «secchione», ma proprio per questo uno di quegli uomini di cui, cum grano salis, ti puoi fidare
e puoi far avanzare in carriera quale tua pedina nel gioco di potere (questo vale soprattutto per gli economisti, non tanto per i filosofi, è meglio chiarirlo per non confondere il cattolico Del Noce con il cattolico e politico Andreatta).


Il presidente di Banca Intesa Giovanni Bazoli

Per quanto importante sia la fusione di cui si sta parlando, non scordiamoci che Bazoli puntava a Capitalia (Geronzi) in quanto questa possiede un congruo pacchetto d'azioni della Mediobanca che, con il suo 14% azionario, è una buona chiave di accesso alle Generali. Quest'ultima operazione avrebbe creato un potere «insostenibile» in Italia, una vera dittatura
finanziaria.
Intesa-San Paolo potrebbe essere una via, meno rettilinea e più lunga, per conseguire lo stesso risultato, ma al momento ci sono ancora «spazi liberi»; nel puro senso che non si è chiuso lo scontro all'interno dei poteri forti italiani (lo dico subito: nettamente succubi di quelli finanziari USA, di cui Draghi, Governatore della Banca d'Italia, e Tononi, uno dei viceministri economici, sono uomini di preciso riferimento, in quanto alti dirigenti, fino all'ultimo, della Goldman Sachs).
Sul piano della finanza, negli ultimi tempi c'era stato uno scontro tra Bazoli (con Salza sempre di rincalzo) e Profumo (Unicredit).
I primi due avevano imposto il loro uomo (Faissola) all'ABI (associazione delle banche) mentre
il secondo, con l'aiuto di Tronchetti - Montezemolo - Della Valle, aveva fatto fuori il «bazoliano» alla presidenza dell'RCS (quella che edita Il Corriere).
Adesso, però, questa fusione di così gran peso sembra avere riflessi di rilievo anche dentro il patto di sindacato dell'RCS, tanto che si vocifera che Mieli, uomo del trio appena sopra nominato, possa essere sostituito da Dario di Vico, bazoliano e che quindi assicurerebbe a Prodi il pieno controllo politico della linea di quel giornale.

Del resto il recente scontro su Il Corriere tra Giavazzi (critico del Governo) e Padoa-Schioppa (entusiasta della nuova fusione, che lo vede quindi schierato con i bazoliani) potrebbe essere letto anche alla luce di questi spostamenti degli equilibri interni a quel giornale, quale riflesso dell'attuale cambiamento di equilibri economici (finanziari) e, di conseguenza, politici.
Si tenga ancora presente che Profumo (Unicredit) è anche lui uomo di sinistra (uno precipitatosi alle «primarie» a favore di Prodi); e tuttavia sembra appartenere al coté laico del centrosinistra, antipatizzante del cattolico di ferro Bazoli (salvo il solito appeasement tra vincitori e sconfitti di cui pagano il conto i citrulli come noi); in ogni caso, ricordo che Profumo fu uno dei principali promotori della riunione (a porte chiuse) della Margherita nel maggio 2005 (mi sembra a Fiuggi e comunque patrocinata da Rutelli in campo politico), che fu l'inizio dell'attacco a Fazio, ai «furbetti del quartierino», ecc., con il risultato ben noto.
Notiamo intanto un fatto «curioso».
Nella fusione appena fatta sembrano aver avuto pochissima voce in capitolo Iozzo (nientepopodi-meno che amministratore delegato del San Paolo) e il direttore generale di tale banca, Modiano, che era addirittura in vacanza a Capri, dove è stato «sorpreso» dall'improvvisa convocazione dei consigli di amministrazione delle due banche in vista della fusione.
Iozzo e Modiano sono il coté diessino del San Paolo e sono considerati assai vicini a D'Alema, che i tam-tam giornalistici danno per furioso, pur se lo nasconderà e si dichiarerà pubblicamente favorevole alla nascita del colosso finanziario.


Il presidente della San Paolo Enrico Salza

La soddisfazione espressa da Fassino sulla fusione potrebbe dunque essere di facciata, a meno che il segretario non goda malignamente dell'indebolimento (da parte della sfera economico-finanziaria) di un politico forse per lui un po' ingombrante, dato il suo attivismo in politica estera.
Faccio notare al lettore che tutti gli scontri, le manovre e contromanovre, di cui sto parlando, sono puramente interni al centrosinistra.
Ed infatti è in questo schieramento che si sono levate le voci di massima letizia alla notizia.
Tuttavia, notiamo che almeno due voci di approvazione non diplomatica si sono alzate anche dal centrodestra: il senatore Luigi Grillo, fan di Fazio fino all'ultimo (e ancor oggi non pentito), e soprattutto Tremonti, di cui sono ben noti i fitti colloqui con Enrico Letta (che, come lui, è uno dei Reviglio's boys), e che insiste tuttora sul progetto di «grande coalizione», quindi di un forte
centrismo, in cui cattolici e laici dovrebbero trovare un accordo di ferro.
In ogni caso, come all'epoca del Governo D'Alema (che patrocinò la conquista della Telecom da parte dei «capitani coraggiosi» alla Gnutti-Colaninno), Palazzo Chigi è nuovamente divenuto una merchant bank; con il cambio dalla «rude razza padana» degli industriali bresciani alla più pu-ra finanza dell'asse Milano (Intesa)-Torino (San Paolo).
L'asse «industriale» (sia pure in crisi come quello costituito da Montezemolo – Tronchetti - Della Valle) sembra aver preso una brutta botta, malgrado il presidente confindustriale abbia emesso una dichiarazione favorevole alla fusione; ma questa, si, è sicuramente diplomatica.

Si tenga presenta che Salza (San Paolo) sembra sia da tempo in frizione con la famiglia Agnelli (non solo con Montezemolo); e tuttavia John Elkann, di cui si sa che aspira alla presidenza della «sua» impresa (magari relegando l'attuale presidente alla IFIL, quella che fu di Umberto Agnelli), potrebbe essere tentato di riavvicinarsi, in alleanza con Marchionne (il «borghese buono» di Bertinotti), al duo Bazoli-Salza.
Per il momento, sono illazioni; vedremo il seguito.
La conclusione che si impone è che, come del resto era già chiaro da tempo, il predominio finanziario (sulle grandi imprese industriali in netta crisi o in ogni caso prive di vere strategie di lunga lena) è divenuto ancora più netto, pur se non siamo a quella dittatura finanziaria di cui ho sopra parlato (ma solo perché un'altra parte del capitale finanziario, Capitalia - Mediobanca -Generali, non è ancora stata sottomessa alla potestà di Bazoli).
Sempre di finanza (dominante) si sta comunque parlando.
Ma il predominio crescente di quest'ultima in un Paese come il nostro indica la sua ormai sempre più netta dipendenza da quella USA, una finanza che, in quel Paese (il dominante centrale), è al servizio degli interessi nazionali strategici globali; e non certo solo finanziari, ma di egemonia industriale, scientifico-tecnica, politico-militare.
Chi non sa vedere oltre il palcoscenico della politica spicciola (televisiva), non capisce che l'amerikano Berlusconi non garantiva la subordinazione dell'Italia così bene come può fare il capitale finanziario che, in questo momento, tenta di blindare il Governo Prodi per devastare meglio il Paese al servizio degli USA, prendendosi congrue cointeressenze; destinando però il Paese ad essere sfruttato fino all'osso nel più breve tempo possibile (tanto la finanza è veramente internazionalista; altro che il «proletariato»).

Draghi (ex vicepresidente della Goldman Sachs, una delle punte d'attacco della finanza americana) è il garante degli USA, in Italia, di questa operazione.
Ancora una volta, il superficiale osservatore della politica - la famosa «ggente», di cui il ceto me-dio-intellettualoide diessino (con certi «comunisti» di riporto) è il paradigmatico rappresentante - può essere ingannato dal fatto che il Governatore della Banca d'Italia sia soddisfatto di un'operazione apparentemente nazionalistica, che crea un colosso italiano difficilmente scalabile.
Ma non c'è bisogno di scalarlo; esso è funzionale, nella sua opera di «sfruttamento» delle risorse finanziarie italiane, ai disegni strategici degli USA che mirano a fare dell'Italia la vera testa di ponte (perfino più fedele dell'Inghilterra) per annettere l'Europa al loro carro nella competizione globale che comincia a «mordere» il loro predominio con l'ascesa di altre potenze ad est. (1)
L'impedimento alla scalata per il nuovo colosso finanziario vale semmai per altri settori della finanza a cui saltasse in testa il grillo di fare concorrenza ai dominanti USA.
Un'altra «piccola» notizia, molto meno importante, ma significativa come indizio.
La nuova merchant bank governativa ha convinto (con opportune telefonate, ovviamente non intercettate o comunque non pubblicate) la Carlyle (americana) e la nostra Finmeccanica (pubblica) a cedere i motori della Avio a fondi «amici» rappresentati dalla Cinven (fondo europeo di private equity).


Mario Draghi

Riporto, per curiosità, il comunicato asettico dell'accordo:
«In data odierna (7 agosto), The Carlyle Group ha sottoscritto insieme a Finmeccanica un contrat-to per la vendita di Avio S.p.A., azienda italiana tra i leader mondiali nel campo della propulsione aerospaziale e navale, a fondi gestiti da Cinven Ltd. The Carlyle Group e Finmeccanica hanno ceduto le rispettive quote del 70 % e del 30 % in un'operazione il cui valore complessivo è pari a € 2,57mld. Finmeccanica, inoltre, si è impegnata a reinvestire in Avio S.p.A. fino ad una quota pari al 30%. Nell'ambito della transazione, Mediobanca ha svolto il ruolo di co-advisor di The Carlyle Group e Finmeccanica».
Mediobanca si è in ogni caso limitata al ruolo di mediatrice, mentre il ruolo propulsivo l'ha svolto il Governo, in accordo con la Cinven; il tutto fa quindi parte delle varie trame che stanno eseguendo i governanti attuali (veri sinistri nel cupo significato di questo termine), in quanto mano politica di precisi gruppi di potere economico, sia italiani che europei, ormai costretti al gioco dei dominanti centrali.
Del resto Cossiga - che, lo ribadisco, non è pazzo per nulla - in visita a Tel Aviv per portare solidarietà al Governo israeliano, ad esponenti di quest'ultimo ha riferito, in presenza di giornalisti che hanno pubblicato (senza alcuna smentita) le sue frasi, di aver parlato con amici del Governo americano, che gli hanno detto di non preoccuparsi minimamente per le posizioni pubblicamente espresse da D'Alema, poiché quest'ultimo li ha avvertiti che le deve dire per rabbonire i «radicali» che ci sono nella maggioranza.

Ed io affermo con convinzione: credo a Cossiga ed anzi ero convinto di quello che lui ha riferito già da un bel po' di tempo; è come se avessi sentito di persona le telefonate dell'infido «baffetto» ai suoi colleghi americani.
Non ha cambiato affatto atteggiamento rispetto al 1999, quando andò in guerra al servizio di Clinton.
I veri pericolosi filoamericani (e filosionisti) - pericolosi perché più coperti, mentitori, «striscianti lungo i muri», come ci si deve attendere da chi rinnega il suo passato un minuto dopo il crollo del «socialismo» nel 1989 - sono gli attuali governanti e in particolare, appunto, i rinnegati del PCI-PDS-DS.
Per ultimo, il patetico atteggiamento dei sindacati di fronte alla fusione bancaria di cui sopra.
Essi hanno espresso vivo apprezzamento, solo avvertendo che non ci debbono essere riduzioni di personale.
Questa è la più bella dimostrazione di che cosa sia diventata la tanto amata (solo dai «comunisti» un po' «andanti») la contraddizione capitale/lavoro, ormai gestita - e non riesce da decenni ad essere gestita diversamente - da apparati di Stato quali sono i sindacati attuali nei Paesi a capitalismo avanzato, nei Paesi non più a capitalismo borghese.
Le presunte organizzazioni dei lavoratori (solo quelli salariati, e per di più dei lavori prevalentemente esecutivi, come se tutti gli altri non lavorassero affatto) sono associazioni corporative che difendono i loro iscritti affinché non perdano posizioni nella distribuzione del reddito e nelle condizioni di vita; nulla più che questo.

E' ovvio che se non attuano questa difesa, perdono gli adepti e i dirigenti sindacali restano senza truppe, quindi senza potere.
Per il resto, simili associazioni - ai fini di strategie veramente vantaggiose per un intero Paese, tali da renderlo indipendente e non invece subordinato agli interessi di gruppi dominanti stranieri (soprattutto statunitensi, appunto), ecc. - non servono assolutamente a nulla; sono anzi ormai deleterie e fonte di uno sbriciolamento sociale, con possibile scontro e avversione tra i vari spezzoni che compongono una società capitalistica avanzata, in grado di favorire i disegni di tali gruppi dominanti.
E i loro rappresentati sono fra gli strati popolari più incolti, quelli che al 99 % seguono gli orrendi talk show televisivi e gli spettacoli più degradanti dell'odierna demenza massmediatica.
Altro che «innata» coscienza di classe, del tutto immaginaria sia in sé che per sé.
In ogni caso, per fortuna, non si è ancora saldata una dittatura finanziaria compatta.
Permangono varie contraddizioni, anche all'interno del cosiddetto piccolo establishment - quello del patto di sindacato della RCS, quello dominante e che sembrava aver messo a segno colpi unitari durante la crisi legata ai crac Cirio e Parmalat, al risiko bancario (pro e contro Fazio, «furbetti del quartierino», ecc.).
Oggi siamo ai contrasti interni, non però ancora della massima virulenza.
Teniamo inoltre presente che, quanto più dura un Governo come quello di Prodi, la situazione marcirà fino al punto di non ritorno, fino alla totale subordinazione agli USA, quella più pericolosa, vile e infame, mascherata da «europeismo» (cioè favorevole alla subordinazione dell'intera Euro-pa).

Non c'è più affatto molto tempo; e certamente non mi auguro per nulla che tornino «gli altri»; più smaccati e, a loro modo, sinceri, ma altrettanto favorevoli al servaggio d'Italia e dell'Europa. Una situazione difficile, complicatissima, ma anche perché i «comunisti» hanno fatto una fine indegna: rinnegati o stupidi, incapaci di analisi, tutti presi dall'avanspettacolo odierno, senza vedere i registi, gli scenografi, e tutto il personale che trama silenziosamente dietro le quinte.

Gianfranco La Grassa

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