La Messa? Si celebra così.
Di Paolo Luigi Rodari (del 06/09/2006 @ 11:039, in Agenda Ratzinger in il Tempo, linkato 12 volte)
Poca attenzione ha avuto, in generale, l’interessantissimo colloquio che Joseph Ratzinger ha avuto lo scorso 31 agosto con i sacerdoti della diocesi di Albano.
Come ama fare sovente, il Papa ha voluto rispondere alle domande del clero a braccio, la stessa cosa che aveva fatto in altre quattro precedenti occasioni: il 25 luglio 2005 con i preti di Aosta, il 15 ottobre 2005 con i bambini romani della prima comunione, il 2 marzo scorso con i preti di Roma e il 6 aprile con i giovani in vista della Giornata mondiale della gioventù.
Un aspetto fondamentale affrontato dal Pontefice nell’incontro dello sorso 31 agosto è stato quello relativo al corretto modo con cui la liturgia va celebrata. Un argomento particolarmente caro a Ratzinger che già anni fa con il celebre volume “Introduzione allo spirito della liturgia” era intervenuto su un aspetto decisivo della vita della Chiesa. Da come la Chiesa celebra l’eucaristia, infatti, si può conoscere la sua fede.
In generale il pensiero di Ratzinger mira tutto a far sì che il sacerdote quando è chiamato a celebrare sia rivolto (mente e corpo) verso il Signore. Soltanto in questo modo il popolo potrà rendersi facilmente conto di “cosa” sta accadendo e di “chi” anch’esso è chiamato a guardare durante la celebrazione.
Un’attenzione, quella richiesta dal Papa, che ben si è evidenziata nelle celebrazioni che egli ha presieduto in questo primo anno e mezzo di pontificato: solennità, serietà e rigore liturgico hanno preso con forza posto nelle grandi celebrazioni di massa del nuovo Pontefice.
«La celebratio - ha detto ai preti di Albano il Papa - è preghiera e colloquio con Dio: Dio con noi e noi con Dio. Quindi, la prima esigenza per una buona celebrazione è che il sacerdote entri realmente in questo colloquio».
Il sacerdote, dunque, è chiamato a “stare” con il Signore mentre celebra, a pregarlo anche perché «i testi della santa messa non sono testi teatrali o qualcosa di simile, ma sono preghiere, grazie alle quali, insieme con l’assemblea, parlo con Dio».
Per il Papa, entrare in questo colloquio è importante. È un colloquio in cui, come disse san Benedetto nella sua “Regola”, è necessario accordare la mente a ciò che si dice. «Nella misura in cui noi abbiamo interiorizzato questa struttura, compreso questa struttura, assimilato le parole della liturgia - ha detto il Papa -, possiamo entrare in questa interiore consonanza e così non solo parlare con Dio come persone singole ma entrare nel “noi” della Chiesa che prega».
Naturalmente, a questa condizione fondamentale, espressa nelle parole di san Benedetto, devono associarsi anche cose esteriori. «Dobbiamo imparare - lo dice ancora il Papa - a pronunciare bene le parole. Qualche volta, quando ero ancora professore nella mia terra, i ragazzi hanno letto la Sacra Scrittura. E l’hanno letta come si legge un testo di un poeta che non si è capito. Naturalmente, per imparare a pronunciare bene, si deve prima aver capito il testo nella sua drammaticità, nel suo presente». Ne consegue che la recita della Preghiera eucaristica, richiede un momento di attenzione particolare per essere pronunciata in modo tale che coinvolga gli altri. Penso che dobbiamo anche trovare occasioni, sia nella catechesi, sia nelle omelie, sia in altre occasioni, per spiegare bene al popolo di Dio questa preghiera eucaristica, perché possa seguirne i grandi momenti: il racconto e le parole dell’istituzione, la preghiera per i vivi e per i morti, il ringraziamento al Signore, l’epiclesi, per coinvolgere realmente la comunità in questa preghiera».
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