Nelle ultime elezioni europee i movimenti
autonomisti hanno nel loro complesso subito
una severa sconfitta. Identica (e più
accentuata) sorte ha patito il maggiore partito
padanista. Fra le motivazioni del disastro alcune
sono generali e riguardano tutti gli autonomisti
(il frazionismo eccessivo, l’alto tasso di
rissosità, un eccesso di localismo deteriore, eccetera),
e altre sono specifiche delle
singole realtà. Molte sono
esterne e altre sono interne.
Sul numero 17 dei
Quaderni Padani era
stata fatta una lunga
riflessione su
questo argomento,
che
non è purtroppo
servita
a granché,
visti i risultati.
Quasi
tutto quello
che vi si diceva
si è dimostrato
giusto
ma nulla è
stato fatto per
cercare qualche
tempestivo rimedio.
Le ragioni esterne
sono rimaste tutte, rese
più forti dall’efficienza degli
avversari e dal loro formidabile
apparato propagandistico, utilizzato
con grande spregiudicatezza e abilità: il
successo di Emma Bonino e di Forza Italia ne
sono la conferma.
Sono purtroppo rimaste anche tutte le ragioni
interne, addirittura aggravate dal tempo e incattivite
dalla sconfitta.
La prima di queste ragioni è la sempre più
scadente qualità del personale dirigente leghista.
Si è drammaticamente avverata la conseguenza
della notissima e semiseria Legge di
Murphy (“Se qualcosa può andar male, lo farà”)
ma sembra che questo sia successo soprattutto
a causa di un suo più serioso corollario, il cosiddetto
Principio di Peter: “In una gerarchia
ogni membro tende a raggiungere il proprio livello
di incompetenza”. Quest’ultimo sembra
necessitare di una nuova variante
(che si adatta a larga parte delle
realtà associative e organizzative):
“Ciascheduno
tende a circondarsi
di gente di
qualità inferiore
alla propria”.
In pochi mesi
sul movimento
padanista
si sono concentrati
tutti
i possibili
difetti ed errori
(in
realtà, spesso,
risultato e
frutto di vizi e
deformazioni
vecchi di anni).
Il mondo padanista
ha prodotto elaborazioni
culturali,
spesso anche piuttosto
raffinate, in moltissimi settori
tematici ma quasi tutto
questo patrimonio giace ignorato e
trascurato, ed è spesso saccheggiato da altre
forze politiche: l’immagine pubblica del movimento
è sempre più piena di incompetenza e
approssimazione, e gli avversari sono abilissimi
nello sfruttare e nell’esagerare tali caratteri.
Sono stati in larga parte abbandonati i temi
classici (e vincenti) dell’autonomismo: lo sfruttamento
economico, l’oppressione culturale epolitica, la cancellazione delle identità e le aspirazioni
alle libertà e all’indipendenza. Ad essi si
sono gradualmente sostituite tematiche più generali,
prese di posizione che implicano scelte
morali individuali (e senza nessun legame con
le istanze autonomiste), elucubrazioni fra il filosofico
e l’esoterico, disquisizioni metapolitiche
e ideologiche: tutti elementi di confusione,
distrazione e divisione.
Nel disegno sulle prassi per il raggiungimento
dell’indipendenza e sui cammini istituzionali
si è raggiunta la massima nebulosità, in un groviglio
di proposte e controproposte costituzionali
e referendarie, in disegni divergenti di autonomie
regionali, comunali o provinciali, nella
chiusura del dibattito sull’architettura istituzionale
padanista.
Si sono disperse grandi e irriproducibili energie
in iniziative confuse e distraenti (referendum
abortiti, governi e parlamenti sublimati
nel nulla, moltiplicazione di associazioni) o in
avventure editoriali e televisive capaci di succhiare
enormi quantità di denaro senza produrre
nulla in termini di immagine, di diffusione di
idee o di aggregazione di consenso.
Si è continuato a relegare la cultura identitaria
in un ruolo marginale e secondario, privilegiando
istanze pseudoculturali deteriori o banali
soprattutto nella gestione delle amministrazioni
locali che non sono un volano di padanità
ma il prodotto dell’autorigenerazione di vecchie
prassi di gestione del potere.
Si è limitato lo spirito federalista e autonomista
alla sfera dei più lontani obiettivi invece di
farlo diventare il motore propulsore e qualificante
di tutta l’attività del movimento padanista:
la gestione quotidiana della politica è troppo
spesso centralista e autoritaria, non lascia
spazio alle differenze culturali e avvilisce di fatto
la grande variegazione identitaria padana,
quasi considerata un intralcio invece che una
forza e una ricchezza.
Infine, la conduzione nebulosa e altalenante
del treno padanista ha di fatto favorito divisioni,
tradimenti, cadreghismo e propensione per il
compromesso. Troppo sovente il comportamento
del personale politico e amministrativo ha
ingenerato confusione sui temi e sugli obiettivi,
mutando radicalmente le condizioni iniziali in
obiettivi diversi (Gustave Thibon lo avrebbe
chiamato “irenismo”) trasferendo - ad esempio
- le tensioni ideali per le libertà indipendentiste
verso un generico federalismo o regionalismo, o
riducendo il tutto a una modesta propensione
per il “buon governo”, la “governabilità” o “il
cambiamento dall’interno”.
Oggi viene difficile cercare di proporre rimedi
che non suonino come patetici e inutili tacconi.
La sola soluzione sembra essere una molto
radicale ricostruzione di tutta la macchina
padanista che abbia una chiara visione degli
obiettivi (la libertà e l’indipendenza della Padania
e la costruzione di una entità istituzionale
federata fatta dell’unione delle Piccole Patrie
storiche) e dei mezzi per raggiungerli: rigenerazione
di un movimento politico democratico,
aperto al dibattito, costituito da diverse componenti
ideologiche, fortemente impregnato di
cultura identitaria, che rinunci alla gestione
spiccia del potere amministrativo (e quindi a
ogni compromissione cadreghistica) e che si
faccia rappresentare da gente presentabile, colta
e civile.
Appoggi esterni possono anche essere concessi
ad altre forze politiche ma solo in cambio di
precisi impegni programmatici finalizzati al
raggiungimento degli obiettivi padanisti o di
precisi impegni tematici (come il bilinguismo,
la toponomastica, la lotta all’immigrazione o la
proporzionale etnica) che diano il senso concreto
del cambiamento e costituiscano visibili tappe
di un preciso cammino di libertà.
Tutto deve essere infine avvolto in coerenti
rappresentazioni simboliche (oggi spesso scadute
all’avvilente rango di improvvisata paccottiglia)
che di questo cammino siano la sicura
componente segnaletica, la rassicurante e immutabile
bandiera.
La nostra gente ha bisogno di solidi riferimenti
culturali e di certezze nel suo cammino
verso la libertà.
Brenno
QP n. 24 luglio-agosto 1999
e stronzi noi!!!