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  1. #1
    SENATORE di POL
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    Predefinito Gli svariati CONFLITTI DI INTERESSI dimenticati

    dal quotidiano LIBERO di oggi.......

    "Il conflitto d'interessi è quello tra coop e Ds

    di GENNARO SANGIULIANO

    Banche, assicurazioni e supermercati. La Quercia controlla uno dei maggiori imperi economici del Paese


    Si fa presto a dire conflitto di interessi. La questione ciclicamente ricorrente nella politica italiana e che porta, quasi per un riflesso condizionato, a pensare a Silvio Berlusconi. Un problema reale, in parte affrontato dalla legge Frattini, ma che a ben vedere è solo un pezzo di una vasta galassia che investe il tema del rapporto fra politica e economia. I conflitti d'interesse sono tanti e, forse, quello di Berlusconi, per entità patrimoniale, non è neanche il più grande. In Italia c'è l'altro grande conflitto d'interessi, è quello dell'impero economico che fa capo al maggior partito di governo, i Ds, un legame che non è solo culturale, come si tende a far credere, ma strutturale e diretto. Il Monte dei Paschi di Siena è quinta banca italiana, la più antica e tra le più solide del settore. L'istituto di credito senese è quotato in Borsa ma ha una struttura societaria in virtù della quale risponde alle leve di comando del potere politico locale. Il 49 per cento del capitale ordinario della prestigiosa banca, infatti, è nel portafoglio della "Fondazione Mps" il cui organo di indirizzo è di fatto controllato dal Comune e della Provincia, enti locali stabilmente in mano al partito dei Ds, che indicano la maggioranza mentre un altro lo nomina la Regione Toscana. Chiare le conclusioni, lo ha scritto testualmente qualche tempo fa il Sole24Ore: «Il maggior potere su uno dei più importanti gruppi bancari del Paese è esercitato dai Ds di Siena». A questa oggettiva situazione va aggiunta una valutazione più politica, a causa proprio dell'intreccio col Monte dei Paschi, gli incarichi di sindaco e presidente della Provincia di Siena sono, da sempre, punti sensibili dell'intera nomenklatura Ds. La forza del partito, in quella area geografica, consente al Botteghino di designare da Roma i vertici dei due enti. Il mondo delle cooperative ha un fatturato annuale di 45 miliardi di euro, la Lega delle Cooperative (la più grande delle associazioni del settore) conta più di sette milioni di soci. Per capire quanto questo mondo sia organico al partito dei Ds, basta scorrere le carriere dei suoi dirigenti nei quali è frequentissimo, se non fisiologico, il passaggio dalle coop ai quadri di partito, ai ruoli di sindaco, consigliere comunale e parlamentare. Nella sola Emilia si concentra il 60 per cento della forza economica del movimento cooperativo della Lega che vanta, da quelle parti 1.600 società, 2,3 milioni di soci. Nella sola provincia di Bologna le coop hanno 795.000 soci e oltre 300 imprese. I cervelli, oltre 150 dirigenti, la finanza ma anche il cuore delle coop sono nell'Emilia Romagna rossa e in Toscana, da dove il sistema delle coop si dipana in tutta Italia, fino in Puglia e in Sicilia. I settori trainanti del business delle coop sono tipicamente due: la grande distribuzione, in particolare quella alimentare; e le costruzioni, soprattutto la realizzazione di grandi opere pubbliche, quelle che dipendono dagli appalti dello Stato e degli enti locali. Settori a sicura redditività nei quali le coop, non senza efficacia, hanno realizzato veri e propri giganti. Nella distribuzione le Coop hanno una quota di mercato che ha raggiunto il 17,9 per cento, per 11,3 miliardi di euro l'anno. La Lega delle Cooperative attraverso la finanziaria Finsoe, controllata dalla holding Holmo detiene la maggioranza di Unipol, quarto gruppo assicurativo nazionale con il 9,6 per cento della raccolta premi e quattro milioni di assicurati. Lontane dalla Borsa e dalle alchimie della finanza prosperano le coop specializzate nelle costruzioni. La Cmc di Ravenna è una delle più grandi e strutturate imprese italiane nel settore dei grandi appalti, al sesto posto secondo le classifiche specializzate. È impegnata nelle più importanti opere pubbliche in Italia. Lo stesso discorso vale grosso modo per l'altro colosso, il Ccc, Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna. Vale la pena ricordare che tra le prime 30 aziende di costruzioni italiane, 12 sono cooperative. Le cooperative possono vantare anche meriti perché producono ricchezza e posti di lavoro, esattamente come Berlusconi. Il problema che tira in ballo il conflitto d'interessi è nella contiguità con il maggiore partito di governo. Ricapitolando: la quinta banca italiana, il quarto gruppo assicurativo, il primo gruppo italiano nella distribuzione alimentare, almeno due delle prime aziende di costruzioni nazionali. Non si esagera nell'affermare che chi riveste l'incarico di segretario dei Ds non solo è a capo di un partito ma è di fatto il terminale di uno dei più grandi imperi economici del Paese. "

    Saluti liberali

  2. #2
    SENATORE di POL
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    Predefinito

    "«Confermano quello che vado denunciando da un mese: i Ds stanno compiendo un grave errore politico nell' inserirsi in vicende finanziarie e rinunciando al ruolo di arbitro istituzionale che deve essere proprio delle forze politiche. Creano una commistione tra politica e affari che finisce per trasformare i problemi politici in problemi giudiziari».
    "
    ACHILLE OCHETTO - fondatore del "Partito Democratico della Sinistra" -
    agosto 2006


    "Intrecci organici tra Cooperative rosse e i DS
    Autore: Pierangelo Rossi
    Mar 20, 2006

    Il collegamento organico (politico e finanziario) tra le cooperative rosse e il più forte partito della sinistra (prima il PCI, oggi i DS) è un vecchio problema della politica italiana, problema mai affrontato seriamente.

    Su “Cartalibera” ne abbiamo già parlato (20/07/2005 e 24/01/2006), ma le vicende degli ultimi mesi (Unipol- Consorte-Sacchetti) e soprattutto una recente intervista, apparsa sul settimanale “Economy”, di Carlo Nordio, sostituto procuratore di Venezia, che nel 1999 aveva indagato sulle cooperative rosse nel Veneto, ci costringono a tornare sull’argomento.

    Per completezza di informazione, ricordiamo che Nordio nel 1999 aveva chiesto il rinvio a giudizio di oltre 100 amministratori di cooperative venete, finite sotto inchiesta per associazione a delinquere, falso in bilancio, bancarotta, finanziamento illecito del PCI-PDS. Gli indagati furono quasi tutti condannati o patteggiarono la pena.

    Come è noto le cooperative hanno sempre goduto di agevolazioni fiscali non indifferenti per poter rispettare i criteri di socialità e solidarietà.

    Sulla base di queste agevolazioni fiscali e di altri benefici e con il supporto politico specie dei partiti di sinistra, il sistema delle cooperative è cresciuto e si è sviluppato ed oggi le cooperative italiane rappresentano dei veri conglomerati industriali e finanziari (nel campo delle costruzioni, delle assicurazioni, della grande distribuzione, dei servizi, ecc.). Sono inoltre un fattore preoccupante di concorrenza rispetto alle altre imprese che devono rispettare altre regole e non hanno le agevolazioni fiscali.

    Non dimentichiamo che i legami con il vecchio PCI ed oggi con i DS sono sempre stati stretti, anzi gli amministratori vengono tutti o quasi dallo stesso partito.

    Nel passato esisteva una vera e propria cinghia di trasmissione con il partito, c’era un vincolo di fedeltà tra partito della sinistra e la Lega delle cooperative.

    Oggi tutto questo si è un po’ allentato, ma esiste tuttora uno scambio reciproco di classe dirigente, sicuramente di finanziamenti e un preoccupante intreccio tra cooperative e municipalità rosse, in termini di servizi, di appalti, di copertura di tutti gli spazi.

    Carlo Nordio aveva accertato l’esistenza di un immenso patrimonio immobiliare fittiziamente intestato a prestanome, ma in realtà riconducibile al Pci-Pds. Valeva circa mille miliardi di lire.

    Il patrimonio fu scoperto, più precisamente, dalla procura di Milano, che già nel settembre 1993 aveva fatto perquisire Botteghe Oscure e vi aveva trovato una stanza piena di fascicoli relativi agli immobili posseduti. Ma poi, stranamente (!!!) non si procedette al sequestro e il giorno dopo i fascicoli erano scomparsi.

    Il partito non ha mai spiegato come fosse venuto in possesso di questo gigantesco patrimonio, con quali soldi lo avesse acquisito e perché lo avesse tenuto nascosto.

    La cessione di gran parte di questo patrimonio immobiliare effettuata in questi ultimi anni, abbinata ad altrettanto strane (!!!) cancellazioni di forti pendenze debitorie del vecchio PCI da parte di alcune banche nazionali, ha permesso al Tesoriere Sposetti (DS) di ripianare i debiti di circa mille miliardi di vecchie lire che i DS avevano ereditato dal vecchio PCI.

    Torniamo all’intervista di Carlo Nordio. Ad una precisa domanda del giornalista: Dieci anni fa le Coop come finanziavano il Pci-Pds?

    Nordio risponde: “In modo diretto e indiretto. Le Coop avevano una riserva rigorosa di appalti pubblici, frutto di accordi politici spartitori a livello nazionale e regionale. In questo senso non c’era alcuna differenza fra DC, PSI e PCI: si erano divisi equamente tutto, con qualche briciola per gli alleati minori: Dc e Psi sponsorizzavano le imprese amiche, il Pci le coop. Ma i finanziamenti erano diversi.

    Alla Dc e Psi arrivavano contributi in denaro, con i quali si pagavano i funzionari e le altre spese. Nel Pci i funzionari erano pagati dalle coop, ma lavoravano per il partito. Il risultato finale è identico, però lo strumento è diverso. E lo è anche dal punto di vista penale: la mazzetta integra il reato di corruzione. Il sistema del Pci no.

    Un altro modo era quello della pubblicità inesistente: le coop pagavano cifre enormi per farsi pubblicità sui giornaletti del partito. Spesso le inserzioni, pagate, non venivano neanche pubblicate
    .”

    Ora ci domandiamo: cosa è cambiato da allora?

    Perché dieci anni fa è stato tanto difficile indagare sul finanziamento illecito del PCI-PDS, e oggi è altrettanto difficile indagare sui conti, sulle consulenze (50 milioni di euro per Consorte e Sacchetti!!!) dei dirigenti della cooperazione, sul finanziamento occulto dei DS?

    Due pesi e due misure?
    "


    http://www.cartalibera.it/publish/printer_193.shtml


    Saluti liberali

  3. #3
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    "Politica & affari

    Cooperative rosse da utopia a cassaforte

    Scippate ai «padri» riformisti furono trasformate dai comunisti nel «tesoro privato» del partito Viaggio attraverso le trasformazioni di un soggetto sociale

    di Antonio Landolfi



    Nacque la Lega delle Cooperative e con essa nacque una sorta di repubblica economica autonoma che faceva capo direttamente al Pci, ne costituì una grande forza finanziaria partecipe della vita economica del paese ma in piena indipendenza dal resto della nostra economia. In breve tempo l’organizzazione cooperativa divenne il perno finanziario del partito comunista, visto il suo rigoglioso sviluppo nelle “regioni rosse”. All’interno dell’organizzazione, un certo spazio fu dato anche ad altri partiti della sinistra: il ruolo di vicepresidente nazionale veniva riservato ai socialisti nenniani ed anche saragattiani, sia nell’epoca frontista del PSI, sia nella fase successiva dell’autonomia socialista, compresa l’epoca craxiana. Uno spazio era concesso anche ai repubblicani, data la tradizione cooperativistica di marca mazziniana che aveva consistenti radici nelle zone rosse della Romagna e delle Marche. I partiti non comunisti ne traevano qualche vantaggio, ma le cooperative e la struttura federale restavano saldamente in mano al PCI, di cui erano sempre di più un supporto elettorale ed anche finanziario indubbio. Furono i politologi che facevano capo alla rivista “il Mulino”, che risiedeva a Bologna, e costituiva quindi un ottimo osservatorio, a coniare il termine “collateralismo”, con cui si definiva il rapporto ombelicale che legava le organizzazioni di massa (e la Lega delle cooperative senz’altro lo era) al partito di Togliatti, Longo, Berlinguer ed Occhetto. Tutto questo si sapeva già nell’Italia degli anni cinquanta. Nessuno era in grado di circoscrivere il fenomeno. Neppure le cooperative cattoliche che la DC si era affrettata a promuovere e che s’erano create un loro campo d’attività specie nelle regioni non rosse erano in grado di competere con quelle “collaterali” al PCI.
    Alcuni analisti accreditavano persino la voce che la Lega beneficiava dei rapporti commerciali con L’URSS, l’Est europeo, la Cina e Cuba, gestendo l’attribuzione di licenze di export-import verso tali paesi. I maldicenti vennero tacitati con l’accusa di anticomunismo viscerale, e nessuna indagine confermò tali voci. Ad illuminare meglio la situazione che si era creata, venne alla fine degli anni cinquanta la testimonianza autorevole di Eugenio Reale. Cioè di uno dei capi più prestigiosi del comunismo italiano che aveva reciso i legami con il suo partito a seguito dei fatti di Ungheria. Reale era stato incaricato da Togliatti di presiedere al campo delle attività economiche, nazionali ed internazionali del partito e delle organizzazioni collaterali. Il fatto che fosse prescelto a tale compito, confermava in qualche modo che una parte rilevante delle attività di questo tipo avesse una dimensione internazionale, visto la lunga esperienza e la fitta rete di rapporti che egli aveva (era stato ambasciatore a Varsavia, aveva partecipato alla costituzione del Cominform, tra l’altro). Nei “Taccuini” che egli redasse (e riportati in un prezioso volume pubblicato da Giuseppe Averardi, attualmente dirigente del DS, dopo una lunga esperienza politica e parlamentare nel movimento socialista, dal titolo “Le carte del PCI”, edito da Lacaita nel 2000) Reale scriveva: “Negli anni cinquanta e sessanta il divario di sviluppo della cooperazione nel nostro paese rispetto agli altri paesi industrializzati è cresciuto. Nelle socialdemocrazie del Nord Europa il numero dei soci ha raggiunto il 50% della popolazione attiva, in Francia è raddoppiato dal 12 al 24 %. Persino in Canada ed in Usa è al 20 %. Il numero dei soci espressi in percentuale sul numero degli abitanti attivi è fermo in Italia al 7 %”.
    Negli anni successivi questa percentuale non saliva di molto: nel 1980, secondo i dati forniti dalla lega delle Cooperative i soci erano 13.180, con una percentuale che non raggiungeva il 10 %, cui naturalmente andava aggiunto il numero dei soci di altre organizzazioni, quella cattolica ed altre ancora, che però era ben più basso di quelli della Lega. Il numero così limitato dei soci si può spiegare con un dato, ripreso dallo stesso Eugenio Reale, secondo cui “ad opera del sindacato e dei funzionari di partito si è sviluppata la tendenza a privilegiare il rapporto di lavoro indipendente nella cooperazione rispetto a quello di associato autonomo”. Di conseguenza è venuta meno la distinzione tra imprese di natura associativa ed imprese di natura capitalistica. Tutto ciò ha permesso di modellare il sistema cooperativo in funzione del soggetto economico e finanziario più che in funzione associativa e partecipativa.
    Ed economicamente il sistema ha indubbiamente funzionato; con il sostegno politico, delle amministrazioni ed anche del consociativismo degli anni settanta ed ottanta nel settore della produzione, del consumo, dell’edilizia ed infine della finanza. Ed ha permesso di accumulare risorse tali da costituire un prezioso polmone per il PCI.
    Nella sua opera “Le carte del PCI” ha compiuto un lavoro prezioso che ci permette di ricostruire il percorso dei rapporti tra il movimento cooperativo e quel partito, in tutte le sue varie fasi e trasformazioni. Un rapporto che per lungo tempo è stato improntato a quella prassi di “collateralismo” che si traduceva per la cooperazione rossa in una delle tante “cinghie di trasmissione” del partito di riferimento. I momenti salienti furono nel 1961 con il convegno nazionale del PCI sulla cooperazione, conclusosi con il varo di una strategia di aggregazione del ceto medio assegnata come compito alla Lega nell’ambito di una politica di alleanze. Alla metà degli anni Settanta, nel quadro della politica di solidarietà nazionale, e della scoperta dell’economia di mercato, la cooperazione veniva sollecitata ad assumere forme e dimensioni più squisitamente imprenditoriali: una sorta di ala marciante neocomunista nell’ambito e nella logica dell’economia capitalistica. La vittoria elettorale a livello amministrativo e regionale del PCI permetteva l’espansione delle attività delle cooperative edilizie in ogni zona del territorio nazionale, grazie alla gestione degli appalti delle giunte di sinistra.

    17-02-2006 "


    Saluti liberali

  4. #4
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    Tale conflitto di interessi non è affatto presunto ma più reale di tanti altri, soprattutto più duraturo nel tempo e maggiormente fonte, distorta, di consenso. Un moralista dovrebbe inorridire, se non fosse senza morale. Ma di moralisti CON morale il nostro mondo è ormai quasi completamente sprovvisto, totalmente nella sinistruzza italica.
    Il problema non è l'esistenza delle cooperative o della cooperazione, ma esattamente il loro ruolo, ben diverso fra cooperative "bianche" e cooperative rosse, come spiega persino il compagno Averardi, che individua anche le grandi differenze con i movimenti cooperativi legati ai sindacati socialisti in altre parti d'Europa. Sostanzialmente solo le cooperative rosse italiche sono propriamente diventate, per decisione politica, imprese capitalistiche "normali", che operano sostanzialmente sul mercato come "imprese normali!", con i fini tipici delle imprese capitalistiche, restando legate strettamente, organicamente [non solo per "simpatia politica"] al partito politico di riferimento. E' facilmente intuibile cosa ciò comporti in realtà dove impresa appaltatrice, stazione appaltante, organismi di tutela e controllo si scambiano reciprocamente [o condividano addirittura] gli stessi uomini nei posti chiave decisionali, o abbiano occasione di discutere dei reciproci affari nella federazione del partito di cui sono, spesso, membri negli organismi dirigenti.....o fenomeni correlabili. Il "legittimo rapporto storico" di cui ha parlato il segretario dei Diesse è certo storico, ma per il resto, semplicemente la rappresentazione fotografica concreta dell'assoluta mancanza di titolo, di quel partito, per dare lezioni di moralità politica a chicchessia. E non solo per il suo passato di quinta colonna di una potenza totalitaria avversaria foraggiato con danaro insanguinato.

    Saluti liberali

  5. #5
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    lei parla come Berlusconi, un evento esiste solo nella misura in cui ne parlano i media, e per il modo in cui ne parlano. Credo che lei sia un Berlusconiano super, anche se inconsapevole. Del resto non credo che potrebbe esserne consapevole....adottando l'opportunistica e immoralistica "politica dello struzzo"....


    Shalom

  6. #6
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    Guardi negli anni sessanta i servizi segreti sovietici tramite un non grandissimo quotidiano romana di ispirazione comunista, Paese Sera, misero in giro voci complottiste sull'assassinio del presidente degli Stati Uniti d'America J.F.Kennedy. Lei non ci crederà ma quelle tesi, con poche varianti e qualche ingigantimento (americanizzazione....nel senso di americanata) sono quelle che circolano tutt'oggi sui media di tutto il mondo (ci hanno fatto pure un film). I giornali non parlano di cose di cui non hanno notizia, e di certe cose, con una guerra preventiva di propaganda che dura da decenni, di notizie ne' hanno ben scarse...
    Quella guerra di propaganda è stata del resto organizzata dagli stessi che hanno inventato certi complotti..... Infati, hanno provveduto a creare barriere fumogene su FATTI....per altro intuitivi e intuibili (per chi ha intuito non logorato da credi ideologici) oltre che storicamente corroborati....relativi al mondo del cooperativismo rosso italico e ai suoi rapporti speciali con il mondo degli appalti gestiti da Enti saldamente in mano allo stesso partito.......di riferimento degli appaltatori, e annessi e connessi.

    Saluti liberali

  7. #7
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    Paese Sera all'origine delle tesi mondiali su JFK

    Certo che si deve essere proprio imbecilli, gli usa sono un paese che allevano terroristi in Florida (non a caso anche quelli dell'11 settembre si allenavano e stavano lì), gente che va in giro armata e l'FBI non li arresta.

  8. #8
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    C'è sempre un primo pirla che tira fuori l'applicazione della teoria del complotto a qualche avvenimento particolare...
    Poi tutti gli altri gli vanno dietro come tanti pecoroni.

  9. #9
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    Il Conflitto di Interessi delle Coop è sotto gli occhi di tutti...ovviamente è colpa di Berlusconi...siamo o non siamo nell'Era dell'Unione?

  10. #10
    Hanno assassinato Calipari
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    Ma quale sarebbe il conflitto di interessi delle Coop? Da quando in qua un'azienda ha un conflitto di interessi?

    Avete mai sentito parlare del conflitto di interessi della Mediaset?

    Pecoroni, imparate l'italiano.

 

 
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