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Discussione: Nazione Italia?

  1. #1
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    Predefinito Nazione Italia?

    L’8 settembre e la "morte della patria"

    Renzo De Felice, in un suo libretto - intervista intitolato Il Rosso e il Nero che ha fatto molto discutere, ha riassunto le sue interpretazioni intorno al fascismo e all’antifascismo e alla questione - recentemente sollevata – concernente la perdita del senso di identità nazionale degli italiani. Le sue argomentazioni sono piuttosto complesse e derivano dalla sua lunga attività storiografica intorno al fascismo; le riassumeremo per punti, per quanto attiene al nostro discorso.

    a) Secondo De Felice, con l’8 settembre 1943 si sarebbe consumata, nella coscienza popolare degli italiani, una catastrofe ideale, la perdita dell’idea di nazione che avrebbe "minato per sempre la memoria collettiva nazionale" (R. De Felice, 1995: 33). De Felice non lo dice esplicitamente nella sua intervista, ma il lettore finisce per intendere che, secondo lui, sotto il fascismo, gli italiani avessero effettivamente maturato un qualche senso della nazione (forse proprio per merito del fascismo?). Lo si inferisce da argomentazioni di questo genere: "il sentimento comune degli italiani, alla fine degli anni Trenta, era di totale fiducia per Mussolini; controllando bene le cifre, si scopre che la partecipazione volontaria alla seconda guerra mondiale fu maggiore che nella Grande Guerra" (R. De Felice, 1995: 35).

    b) La Resistenza fu principalmente opera di una minoranza (ed ebbe oltretutto scarso valore militare). De Felice a questo proposito entra nel merito delle cifre: "...ho pensato di fare un conto, approssimativo ma significativo, poter delimitare il numero degli individui coinvolti dall’una o dall’altra parte: sono arrivato a 3 milioni e mezzo - 4 milioni, mettendo insieme familiari stretti e parenti lontani, amici vicini. Pochi rispetto a quei 44 milioni di persone che abitavano allora l’Italia" (R. De Felice, 1995: 54). Questa argomentazione viene usata per contestare il fatto che la Resistenza possa avere compensato (o riscattato) la disfatta morale dell’8 settembre e per sostenere collateralmente che la retorica della Resistenza è stata creata dai partiti "antifascisti" del dopoguerra.

    c) Secondo De Felice l’attendismo fu la reazione più diffusa degli italiani nel periodo compreso tra l’8 settembre e il 25 aprile, dando così luogo alla formazione di una ampia "zona grigia": l'obiettivo prevalente di costoro era quello di salvare la pelle e aspettare la pace. De Felice usa il termine "opportunità" invece di opportunismo (R. De Felice, 1995: 59). Scrive lo storico: "La gran massa degli italiani, sebbene pochi furono coloro che riuscirono a non essere coinvolti, non solo evitò di prendere una chiara posizione per la Resistenza, ma si guardò bene dallo schierarsi a favore della Rsi" (R. De Felice, 1995: 59). Persa la fede nella patria, gli italiani sembrano ora, nella visione di De Felice, una massa informe dalla corta prospettiva morale, pronti per essere ulteriormente ingannati dai partiti antifascisti.

    d) Lo scarso ruolo della Resistenza viene ulteriormente qualificato e in base agli esiti successivi: "Dopo il 25 aprile, non fu infatti la Resistenza ad andare al potere, bensì saranno "due partiti nuovi", a conquistare il consenso delle masse. Dietro di loro due grandi potenze: la Russia di Stalin e il Vaticano di Pio XII" (R. De Felice, 1995: 68). Indubbiamente De Felice accusa gli storici dell’antifascismo di avere creato di sana pianta il mito della lotta di popolo.

    e) Questo complesso di eventi avrebbe determinato la mancanza di senso della nazione negli italiani di ieri e di oggi.

    In un certo senso anche De Felice concorda con l’insufficienza della forma giuridica nel determinare la fondazione del nuovo patto; afferma infatti "Il Patriottismo della nazione e il Patriottismo della Costituzione, per me non sono in contraddizione. Solo che senza la Nazione non ci può essere Costituzione, vale a dire i valori che danno corpo al Patriottismo della Costituzione sono dei valori espressi dalla storia, dalla cultura, dalle vicende di un determinato paese non da una astrazione giuridica" (R. De Felice, 1995: 104). De Felice in un certo senso difende la Costituzione repubblicana: ciò che è venuto a mancare in Italia - per gli eventi succintamente prima ricordati - è la nazione: "La Costituzione non ha infatti in sé i germi di quella democrazia bloccata, con le sue pratiche lottizzatrici e spartitorie, che ha ingessato la vita politica italiana degli ultimi cinquant’anni. Non sono d’accordo con chi vuole individuare nella politica dei costituenti gli esiti degenerati dell’etica politica della democrazia italiana di oggi, Non credo che tangentopoli sia un sottoprodotto degradato del consociativismo delle origini. Se c’è colpa non è della Costituzione. È dello scarso patriottismo dei partiti italiani, da allora a oggi" (R. De Felice, 1995: 108 - la sottolineatura è nostra). In sostanza De Felice lamenta la mancanza di un tessuto politico e culturale orientato alla nazione e imputa ciò, oltre che alla fatalità degli eventi storici, al prepotere dei grandi partiti dalla Liberazione a oggi (non se la prende con le carenze o lo scarso impegno degli intellettuali!).

    Posizioni molto simili a quelle di De Felice sono state espresse da Ernesto Galli della Loggia, nel suo libro "La morte della patria". Con maggior consequenzialità, ma anche con maggiore veemenza polemica. Galli Della Loggia, anche se i termini patria e nazione gli sembrano intercambiabili, sostiene quanto segue: "L’espressione "morte della patria" mi sembra la più adatta per definire la profondità, la ricchezza di implicazioni, in una parola la qualità tutta particolare che ha avuto in Italia la crisi dell’idea di nazione in conseguenza della guerra mondiale" (Galli Della Loggia, 1996: 4). Si tratta dunque di una radicalizzazione della visione di De Felice: la "morte della patria" è un concetto appropriato "perché in essa molti italiani vedono e sentono coinvolto lo stesso vincolo di appartenenza ad una medesima comunità nazionale, nonché il senso di tale vincolo". Aggiunge l’autore: "Il sentimento di una vera e propria "morte della patria" fu, infatti ciò che soggettivamente provò, in quel biennio terribile e immediatamente dopo, chiunque nel proprio mondo etico-politico, o solo emotivo, custodisse - in una qualunque foggia - l’idea di nazione, e dentro di sé sentisse questa idea irrevocabilmente legata all’idea, e all’esistenza, di una nazione italiana" (Galli Della Loggia, 1996: 3).

    Quali furono le cause e la dinamica della cosiddetta "morte della patria"? Galli della Loggia muove dalla premessa secondo cui, nella storia d’Italia, l’idea di nazione non si è sviluppata spontaneamente, ma è stata introdotta attraverso una sorta di nazionalizzazione delle masse prodotta dallo Stato nazionale, per cui "il concetto e il sentimento di patria" per gli italiani erano (e forse sono) sono ideologicamente strettamente intrecciati alla presenza dello Stato.

    Due fenomeni convergono dunque nell’8 settembre:

    a) la crisi e la scomparsa dello Stato (in conseguenza delle modalità della sconfitta bellica);

    b) "la sensazione diffusa in moltissimi abitanti della penisola che la sconfitta, in realtà, è stata causa e insieme prodotto e manifestazione, di qualcosa di molto grave e profondo: di una paurosa debolezza etico-politica (...) degli italiani". In altri punti si parla di "intima gracilità dell’organismo e della tempra nazionali" (Galli Della Loggia, 1996: 5-6).

    Emerge dunque un "dato nella sua sostanza pre o metapolitico, difficilmente collegabile in modo diretto e significativo al fascismo e ai guasti della dittatura" (Galli Della Loggia, 1996: 7). La crisi politico militare, in altri termini, non sarebbe del tutto spiegabile con le sole responsabilità del fascismo, ma sarebbe spiegabile solo facendo riferimento a un difetto nazionale di origine: "Qui la crisi politico - militare presenta un aspetto evidentissimo di crisi di capacità e di efficienza degli apparati amministrativi e tecnici, la quale riflette a propria volta un deficit di competenza unito a un vuoto spirituale, di carattere, che trascendono il regime e mettono in gioco, immediatamente e direttamente, la credibilità della sfera pubblico - statuale del paese..." (Galli Della Loggia, 1996: 7). Nel precipitare degli eventi fu determinante il comportamento delle Forze armate, di branche decisive dell’amministrazione e dei gruppi dirigenti. Galli Della Loggia ribadisce - andando contro tra l’altro alle posizioni di N. Bobbio (1998) - che la sconfitta non si spiega con la "guerra fascista": "... per l’intera durata della guerra il complesso dell’organismo militare italiano da un lato sembra incapace di prestazioni minimamente adeguate, e dall’altro sembra percorso fin dall’inizio da un sentimento di fatalità della sconfitta, così forte da divenire una sorta di profezia che si autoavvera e di fronte alla quale conviene rassegnarsi" " (Galli Della Loggia, 1996: 9). Ma c’è di più: " ..il nesso Stato - forza militare affonda le proprie radici nelle culture umane e nelle psicologie collettive..." (Galli Della Loggia, 1996: 15) "La virtù militare ha un posto di grande rilievo nella costruzione di questo sentimento di autostima perché essa testimonia in modo immediato di quelle qualità di carattere, legate al sentimento dell’onore e della libertà (intesa come il rifiuto di porsi volontariamente in balìa altrui), nonché all’obbligo di difendere l’uno e l’altra, che da sempre sono state ritenute proprie ed essenziali di una compagine politica, di un "popolo" politicamente organizzato" " (Galli Della Loggia, 1996: 16). In altri termini qui sembra di capire che anche lo stesso fascismo sia rimasto vittima della mancanza originaria di senso della patria.

    È interessante il fatto che anche Galli Della Loggia tenta di radicare l'insufficienza identitaria italiana in una dimensione quasi antropologica, una dimensione profonda, non facilmente aggirabile: "Ciò che viene in primo piano (...) è un interrogativo radicale sull’identità; sulla propria identità di individui, e poi di popolo, e infine di comunità nazional - statale. La domanda evocata è in un certo senso al di qua della politica " (Galli Della Loggia, 1996: 17). La posizione di Galli Della Loggia potrebbe essere probabilmente così sintetizzata: gli italiani, di fronte al dissolvimento dello Stato, hanno avuto una specie di "rivelazione" (quante rivelazioni nella storia d’Italia!): quello Stato prima liberale e poi fascista in cui avevano posto per necessità storica tutta la loro identità era in realtà un bluff (politico, amministrativo, militare, ecc...), per cui si sono ritrovati orfani e soli ad organizzare la sopravvivenza.

    E poi? Della Loggia sembra seguire uno schema simile a quello di De Felice. Gli italiani traumatizzati dalla rivelazione della debolezza costitutiva sarebbero caduti nelle mani della partitocrazia che avrebbe costruito la retorica antifascista, ma non avrebbe posto rimedio alla debolezza.

    Il libro di Galli Della Loggia, anche per la vis polemica che lo pervade e per un certo disordine argomentativo, si presta numerose osservazioni critiche. Non è del tutto chiaro se l’Autore afferma che le esperienze degli anni ‘43 - ‘45 (o forse il culminante 8 settembre) abbiano causato il senso della "morte della patria" [poiché, se la patria "muore", deve per lo meno essere dapprima viva]. Sembra che anche Galli Della Loggia pensi all’esigenza di una cultura comune che vitalizzi le istituzioni), anche se la sua teoria sembra spesso colorirsi di una venatura psicologistica (solo così si spiega la sottolineatura "traumatica" dell’evento 8 settembre). Che dire di fraseggi di questo genere: "...[la morte della patria] ... si sarebbe depositata tuttavia nel fondo oscuro della memoria collettiva - dove è rimasta per decenni non rimossa e non rimovibile..." (Galli Della Loggia, 1996: 8). È davvero difficile comprendere quale sia lo statuto scientifico di una cosa come "il fondo oscuro della memoria collettiva"; evidentemente talvolta le esigenze dell’audience prendono il sopravvento su quelle del rigore concettuale!

    Indubbiamente le teorie di De Felice e di Galli Della Loggia hanno il pregio di individuare un ben preciso evento come spartiacque della storia italiana e come causa della supposta successiva situazione di assenza del senso della patria. Tuttavia la scelta dell’8 settembre suscita non poche perplessità. Per lo meno non è del tutto chiaro se gli autori intendano affermare che prima dell’8 settembre gli italiani avessero il senso della patria; in tal caso non è chiaro se una parte del merito della presenza del senso della patria debba o meno essere attribuita al fascismo; oppure non è chiaro se l’8 settembre abbia costituito la dura presa di coscienza di qualcosa che si credeva di avere, ma che in effetti non c’era (ma se il senso della patria era solo una illusione, non si può certo poi criticare i partiti della Repubblica per averlo spento!). La spiegazione più probabile è che Galli Della Loggia e De Felice pensino a un senso della patria completamente slegato dall’assetto istituzionale (dittatoriale o repubblicano), un senso della patria che, in mancanza dell’8 settembre, avrebbe forse potuto essere traslato in maniera indolore dal fascismo alla Repubblica.

    La scelta stessa della data del "trauma" è stata contestata. Ha affermato ad esempio Norberto Bobbio: "Quando mi è stato chiesto quale delle due date della storia d’Italia, il 10 giugno del 1940 e l’8 settembre del 1943, fosse per me la data più tragica, io ho risposto: la data del 10 giugno. L’ 8 settembre non è altro che una conseguenza del 10 giugno. Ciò dipende dal fatto che l’Italia si è lasciata coinvolgere nella guerra nazista. [...] L’ 8 settembre è la conseguenza per aver partecipato a una guerra dannata, ad una guerra che era destinata ad essere perduta."

  2. #2
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    Ma te la smetti di offendere una nazione?
    E' uno sport di certi barbari del nord trasferito negli Usa...smettetela di deridere l'Italia brutti figli di puttana dalla pelle rosa-porco(se proprio devo essere razzista)...
    visto che brutta figura ha fatto Der Spiegel?
    Non tollero i commenti razzisti di chi parla male del mio paese perché nel suo è solo un robottino pronto a dire signor sì al suo datore di lavoro e si meraviglia che qui non avvenga il contrario.
    Che non offre proposte costruttive su come risolvere i problemi dell'Italia ma è solo interessato ad offendere perché rifiuta il proprio passato.
    Ti credo che uno storico fascista sostiene che con l'armistizio il nazionalismo italiano sia venuto meno. E' propaganda di guerra, scemotto...
    Sicuramente è stato un errore credere che gli americani e gli inglesi ci avrebbero liberato.
    Altro che liberazione, ci avete invaso per rimanerci ed ancora oggi ci state tra le scatole per non dire tra i coglioni...
    la verità è che...avremmo dovuto iniziare a spararvi addosso dopo il 25 aprile 1945.
    Fuori l'Italia dalla Nato, fuori l'America dal mio Paese...

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da Goofy Visualizza Messaggio
    Ma te la smetti di offendere una nazione?
    E' uno sport di certi barbari del nord trasferito negli Usa...smettetela di deridere l'Italia brutti figli di puttana dalla pelle rosa-porco(se proprio devo essere razzista)...
    visto che brutta figura ha fatto Der Spiegel?
    Non tollero i commenti razzisti di chi parla male del mio paese perché nel suo è solo un robottino pronto a dire signor sì al suo datore di lavoro e si meraviglia che qui non avvenga il contrario.
    Che non offre proposte costruttive su come risolvere i problemi dell'Italia ma è solo interessato ad offendere perché rifiuta il proprio passato.
    Ti credo che uno storico fascista sostiene che con l'armistizio il nazionalismo italiano sia venuto meno. E' propaganda di guerra, scemotto...
    Sicuramente è stato un errore credere che gli americani e gli inglesi ci avrebbero liberato.
    Altro che liberazione, ci avete invaso per rimanerci ed ancora oggi ci state tra le scatole per non dire tra i coglioni...
    la verità è che...avremmo dovuto iniziare a spararvi addosso dopo il 25 aprile 1945.
    Fuori l'Italia dalla Nato, fuori l'America dal mio Paese...
    Sei cosi` permoloso! Non sto cercando di offendere. Soltanto di stimolare una discussione.

    Secondo te, la maggioranza di italiani sono patriottici?

  4. #4
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    Con decenni di condizionamento a disprezzare il proprio paese come potrebbero esserlo?
    Oggi i mezzi di informazione tutti all'unisono spingono per il patriottismo di..usreaele..cosi gli italiani si sono persino dimenticati di avere una loro patria e pensano di essere quelli che muovono le mani e gesticolano, dei telefilm americani.
    La famosa artista idolo delle folle :" si figuri che uno ha addirittura scritto che avrei dovuto investire i MIEI soldi comprando un bar! Io!!!! La barista!!!!"

  5. #5
    Anti-Obama
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    Citazione Originariamente Scritto da shambler Visualizza Messaggio
    Con decenni di condizionamento a disprezzare il proprio paese come potrebbero esserlo?
    Oggi i mezzi di informazione tutti all'unisono spingono per il patriottismo di..usreaele..cosi gli italiani si sono persino dimenticati di avere una loro patria e pensano di essere quelli che muovono le mani e gesticolano, dei telefilm americani.
    Infatti.

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da antoninus Visualizza Messaggio
    Secondo te, la maggioranza di italiani sono patriottici?
    Ah, il patriottismo.

    Il "patriottismo" odierno, quello di stile americano, è un concetto infame creato per vendere all'uomo della strada un ideale preconfezionato e facile da seguire: che la propria nazione sia la migliore e la più sacra, i suoi interessi i più importanti, il suo popolo il più giusto.

    Dietro il "patriottismo" di stampo americano si nasconde il nazionalismo più spinto, la difesa degli interessi nazionali con tutti i mezzi.

    Il guaio è che, a partire dagli anni '40, il patriottismo americano è rimasto lo stesso, ma gli interessi che vengono difesi sono quelli delle grandi aziende e non più del popolo americano. In nome della difesa nazionale si è creata una guerra, quella irachena, che ha versato nelle casse di un gran numero di ricchissime aziende d'ogni tipo fiumi di dollari e petrodollari. Soldi dei contribuenti, felici di pagare perchè i loro ragazzi vadano a dare una lezione a quegli sporchi arabi terroristi. E i trust ringraziano.

    Per creare il nuovo patriottismo americano è stato necessario identificare un nemico, il "terrorismo", la cui definizione è talmente evanescente che si presta ad ogni tipo di interpretazione, e ad ogni tipo di falsificazione. Il popolo americano è stato tenuto sotto lo scacco di una continua tensione, convinto dall'incessante martellamento delle autorità che un nemico esterno, subdolo e infame, avesse preso di mira gli U.S.A., che avrebbero dovuto rispondere come un sol uomo in nome della difesa della libertà americana.

    E il popolo bue ha abboccato. L'uomo della strada ha bisogno come il pane di un motivo d'orgoglio, e non tutti possono fregiarsi di meriti personali. Perciò ecco che entra in gioco il patriottismo: già il fatto di essere americano ti da il diritto di sentirti orgoglioso di quello che sei; un membro del popolo più libero e liberista della terra. E in quanto tale hai il diritto e la superiorità morale per difenderti, anche a costo di colpire degli innocenti, perchè la guerra si sa, è cosa sporca, e nonostante le armi moderne purtroppo c'è un prezzo di sangue (altrui) da pagare.

    E' questa la grande menzogna, che la sola appartenenza nazionale possa essere motivo d'orgoglio. Non c'è differenza fra questo "patriottismo" e la spocchia nobiliare di vecchio stampo. La menzogna che racconta all'uomo come lui valga in quanto americano, o italiano, francese, tedesco, ariano, ebreo, cristiano, musulmano, socialista, conservatore e tutte le altre categorie in cui si vuol rinchiudere l'individuo.

    L'uomo vale per quello che fa, non per quello che è. E' sensato essere orgogliosi di un'appartenenza ideologica, se questa appartenza implica una serie di comportamenti che si ritengono giusti. Non ha senso fregiarsi di un'appartenza nazionale, se questa non va oltre il mero portar scritto su un documento "Cittadinanza - Italiana".

  7. #7
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    Citazione Originariamente Scritto da Keiros Visualizza Messaggio
    Ah, il patriottismo.

    Il "patriottismo" odierno, quello di stile americano, è un concetto infame creato per vendere all'uomo della strada un ideale preconfezionato e facile da seguire: che la propria nazione sia la migliore e la più sacra, i suoi interessi i più importanti, il suo popolo il più giusto.

    Dietro il "patriottismo" di stampo americano si nasconde il nazionalismo più spinto, la difesa degli interessi nazionali con tutti i mezzi.

    Il guaio è che, a partire dagli anni '40, il patriottismo americano è rimasto lo stesso, ma gli interessi che vengono difesi sono quelli delle grandi aziende e non più del popolo americano. In nome della difesa nazionale si è creata una guerra, quella irachena, che ha versato nelle casse di un gran numero di ricchissime aziende d'ogni tipo fiumi di dollari e petrodollari. Soldi dei contribuenti, felici di pagare perchè i loro ragazzi vadano a dare una lezione a quegli sporchi arabi terroristi. E i trust ringraziano.

    Per creare il nuovo patriottismo americano è stato necessario identificare un nemico, il "terrorismo", la cui definizione è talmente evanescente che si presta ad ogni tipo di interpretazione, e ad ogni tipo di falsificazione. Il popolo americano è stato tenuto sotto lo scacco di una continua tensione, convinto dall'incessante martellamento delle autorità che un nemico esterno, subdolo e infame, avesse preso di mira gli U.S.A., che avrebbero dovuto rispondere come un sol uomo in nome della difesa della libertà americana.

    E il popolo bue ha abboccato. L'uomo della strada ha bisogno come il pane di un motivo d'orgoglio, e non tutti possono fregiarsi di meriti personali. Perciò ecco che entra in gioco il patriottismo: già il fatto di essere americano ti da il diritto di sentirti orgoglioso di quello che sei; un membro del popolo più libero e liberista della terra. E in quanto tale hai il diritto e la superiorità morale per difenderti, anche a costo di colpire degli innocenti, perchè la guerra si sa, è cosa sporca, e nonostante le armi moderne purtroppo c'è un prezzo di sangue (altrui) da pagare.

    E' questa la grande menzogna, che la sola appartenenza nazionale possa essere motivo d'orgoglio. Non c'è differenza fra questo "patriottismo" e la spocchia nobiliare di vecchio stampo. La menzogna che racconta all'uomo come lui valga in quanto americano, o italiano, francese, tedesco, ariano, ebreo, cristiano, musulmano, socialista, conservatore e tutte le altre categorie in cui si vuol rinchiudere l'individuo.

    L'uomo vale per quello che fa, non per quello che è. E' sensato essere orgogliosi di un'appartenenza ideologica, se questa appartenza implica una serie di comportamenti che si ritengono giusti. Non ha senso fregiarsi di un'appartenza nazionale, se questa non va oltre il mero portar scritto su un documento "Cittadinanza - Italiana".

    Perche` tirare fuori il patriottismo americano? Cosa c'entra?

    Il Nazionalismo Italiano di Dante, di Mazzini, di Garibaldi, di Crispi, di Giolitti e di Mussolini non avevano niente di fare col patriottismo americano e non mi sembra meno espansionistico e "egoista".

  8. #8
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    Infatti...a quello americano penseremo dopo...

  9. #9
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    Predefinito Patriottismo/Nazionalismo/Espansionismo Americano?

    Francesco Crispi

    La politica estera tra cinismo e avventurismo
    (1887)

    --------------------------------------------------------------------------------

    Nota
    Questo discorso di fronte al Parlamento, tenuto dal presidente del Consiglio Francesco Crispi, mostra chiaramente il cinismo e l'immoralità su cui si basa la politica estera dello stato italiano. Il nazionalismo nei Balcani viene incoraggiato (può tornare utile) mentre ci si prepara a nuove aggressioni in Africa. Su tutto domina l'arroganza che porterà alle solite avventure criminali (espansionismo coloniale) seguite, come d'abitudine, da disfatte militari e politiche.


    --------------------------------------------------------------------------------


    Io vado, pel mio paese, altero di ricordarlo, poiché mai, in una unione completa e cordiale come quella dell'Italia e de' suoi alleati, è stata tanto rispettata la sua dignità, sono stati tanto garantiti i suoi interessi
    [grida di entusiasmo]

    Ma, oltreché con le alleanze, proseguiamo l'intento della pace col volere la giustizia. Ciò vi spiega, o signori, la nostra politica in Oriente. Ivi ciò che domandiamo è il rispetto dei diritti dei popoli, conciliato, in quanto è possibile, col rispetto dei trattati che formano il diritto pubblico europeo; ciò che speriamo è lo sviluppo progressivo delle autonomie locali. Si hanno, nella penisola dei Balcani, quattro nazionalità distinte, ciascuna avente la sua lingua, la sua sede secolare, le sue tradizioni antichissime, e - ciò che è più - la coscienza della propria individualità come nazione e l'aspirazione alla indipendenza. Ebbene, questi popoli che anelano, come ogni ente, a vita libera, aiutiamoli a riprendere possesso di loro stessi, senza lotte, senza spargimento di sangue, senza nuovi martiri. Non è questa la politica più degna d'Italia, più conforme alle sue origini ed a' nostri principi? E riflettete, o signori: questa non è soltanto politica di principi e di sentimenti, è altresì politica d'interessi ben intesi. I popoli balcanici, che colà rappresentano la giovinezza con le sue inesperienze, ma anche l'avvenire con le sue speranze e le sue forze, non dimenticheranno l'aiuto disinteressato che l'Italia avrà loro prestato [. . .].

    Pace vogliamo adunque, ma con onore, poiché poniamo l'onore più in alto che non siano i benefizi della pace stessa. Ed è per ciò che, mentre abbiamo lavorato ad assicurarla in Europa, ove hanno sede i supremi nostri interessi, ed abbiamo provveduto a che non ne sia turbato a nostro danno l'equilibrio, né sulla terra, né sul mare, prepariamo armamenti in Africa, dove la ingiustificata aggressione di un popolo semibarbaro ha condotto a gloriosa morte cinquecento dei nostri soldati.
    L'offesa vuole degna riparazione, e l'avremo. Importa che su quella terra d'Africa dove, o bene o male - è vano ormai ricercarlo - ci siamo insediati, il prestigio del nome italiano sia mantenuto illeso, e, quando offeso, sia vendicato. La nazione non ha guardato a sacrifizi, ed ha fatto bene. Non vogliamo avventure, non guerre di conquista, che anzi condanniamo apertamente. Nostra ambizione è che l'Italia si rifaccia e s'espanda là dove spontaneamente vanno i suoi figli, non soltanto cacciati dalla transitoria miseria, ma consigliati dai più facili guadagni, attirati dalle ospitali simpatie, tormentati nobilmente da quella febbre dell'ignoto, che ha già fatto misurare dai navigatori italiani, allargare dagl'italiani mercanti i confini del mondo conosciuto. Ma vogliamo che là, in Africa, tra i due domini vicini, sia, secondo giustizia, stabilita una demarcazione che non si possa impunemente varcare a braccio armato. Il confine che vogliamo è quello che strategicamente è necessario alla sicurezza dei nostri possedimenti ed al benessere dei nostri presidi. Una volta ottenuto e questo confine e la riparazione dovutaci, saremo lieti di aprire la nostra frontiera alle merci, alle derrate, ai prodotti nostri e dell'Abissinia, onde avviare fra i due paesi quella doppia corrente di scambi che per l'avvenire ci può ripromettere non scarsi compensi. Ma l'offesa va anzitutto riparata, e poiché il valore dei "leoni" italiani non fa più dubbio, ormai per gli Abissini, bisogna che acquistino dell'Italia come nazione un concetto adeguato e che la luce della nostra potenza li abbagli. Vittorio Emanuele, che fu il patriottismo incoronato, lasciò morendo per testamento agl'Italiani, che l'Italia deve essere, non rispettata soltanto, ma temuta. E temuti ed amati intendiamo essere ad un tempo da tutti.

    [interruzione; grida di bravo]

    (da Francesco Crispi, Scritti e discorsi politici, 1849-1890)

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da antoninus Visualizza Messaggio
    Sei cosi` permoloso! Non sto cercando di offendere. Soltanto di stimolare una discussione.

    Secondo te, la maggioranza di italiani sono patriottici?
    "Permaloso"? Beh, certo , tu come reagiresti if fucking subjects of the British Crown would came there in the states just to tell you anything but how you americans are rude, ignorant & so on. If they just would show you their scorn for your nation? Wouldn't you really get a bit angry?

    Per risponderti...sì, penso che in fondo al cuore tutti gli italiani sappiano che se solo riuscissimo ad organizzare meglio la nostra vita pubblica e privata potremmo vivere in un paradiso, e che l'Italia, per quanti guai e dispiaceri ci possa dare l'organizzazione inefficiente dello Stato, l'inelasticità dell'economia familiare, la ristrettezza di vedute della provincia profonda, è in fondo come una bella donna, che ti può far dannare e soffrire d'amore like a dog, ma che
    in fondo non puoi smettere di amare...

 

 
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