La vendita di Tim
Nel 2005 Telecom Italia annunciò la fusione con Tim. L’operazione fu giustificata dalla creazione di valore attribuibile all’integrazione del fisso con il mobile. La fusione comportò un aumento del debito di Telecom che supera oggi i 41 miliardi di euro, ma consentì alla Telecom di accedere al cash flow generato da Tim. Un anno dopo Telecom Italia annuncia lo scorporo di Tim in nome di un fantomatico riassetto. I consiglieri che approvarono la fusione, anche i cosiddetti consiglieri indipendenti, approvano l’operazione. Un’inversione a U incomprensibile dal punto di vista strategico e industriale. Telecom Italia dalla sua cessione a debito ai cosiddetti “capitani coraggiosi”, avvenuta nel 1999, ha conosciuto solo cessioni, scorpori, riduzione di personale. Oggi rischia l’implosione. Olimpia, che detiene il pacchetto di controllo della Telecom, ha in carico le azioni di Telecom al doppio del valore del mercato nella più totale indifferenza degli organi di controllo. Un valore ormai irrecuperabile, anche secondo gli analisti più benevoli. Lo scorporo di Tim e la successiva vendita sono un estremo tentativo per ridurre il pesante indebitamento del gruppo. Ritengo che il Governo debba intervenire, in particolare per quanto attiene alla dorsale, per salvaguardare gli interessi nazionali. La Telecom è l’ennesima dimostrazione che la vendita a debito da parte dello Stato a privati senza una reale capacità finanziaria di monopoli naturali non produce risultati positivi, né per lo Stato, né per i cittadini.
- Antonio Di Pietro