esteri

Osama e altre docu-fiction
Maurizio Blondet
19/09/2006
«Al Qaeda minaccia il Papa».
Tutti i giornali italiani hanno lo stesso titolo cubitale, e la stessa certezza: è proprio «Al Qaeda» che minaccia Roma e il Papa.
Anche se il proclama è apparso su un blog della Google, anonimo e in lingua inglese, ospitato da un server USA. (1)
Un complottismo ufficiale massiccio e corale, una voluttà di paranoia, di alimentare odio e paura irrazionale.
Tutti arruolati volontari nella maligna «guerra della percezione», che è la vera guerra in corso.
Dietro questa nube psichica, sarà probabilmente inutile ricordare le realtà di fatto.
Ma ci proviamo, instancabili.



Va ricordato dov’era Osama bin Laden l’11 settembre 2001, il giorno del mega-attentato che ha ottenebrato l’Occidente.
Era a Rawalpindi, città di 1,5 milioni di abitanti, in un ospedale militare pakistano, per sottoporsi a dialisi.
E non lo raccontò un complottista.
Lo spiegò Dan Rather, l’anchorman della catena televisiva CBS, il 28 gennaio 2002. (2)
Quella sera, Dan Rather annunciò lo «scoop esclusivo», e diede subito la parola all’inviato Barry Petersen, che era in Pakistan.
«CBS News ha saputo che la notte prime dell’11 settembre, Osama bin Laden era in Pakistan. Stava ricevendo trattamento medico con l’assistenza di quello stesso apparato militare che qualche giorno dopo assicurò di sostenere gli USA nella guerra al terrorismo in Afghanistan».
Sul video appare l’ospedale militare di Rawalpindi, poi un’infermiera di spalle.
«Questa dipendente sanitaria, la cui identità deve essere protetta, dice che quella notte tutto il normale personale del reparto urologia è stato mandato via, e sostituito da un gruppo segreto. Dice che c’era da curare una persona molto speciale».



Appare un altro interlocutore, col volto coperto: «I militari lo circondavano, dice questo impiegato dell’ospedale che, anch’egli, non vuole essere riconosciuto: ‘Ho visto il paziente misterioso mentre scendeva, sorretto, da un’auto. In seguito ho visto molte immagini di quest’uomo: è colui che conosciamo come Osama bin Laden. Ho sentito due ufficiali che, parlando fra loro, dicevano che Osama bin Laden andava curato e sorvegliato attentamente».
Seguiva una spiegazione delle «numerose malattie» del capo terrorista, «problemi gastrici e della spina dorsale» oltre alla grave insufficienza renale.
Petersen: «I medici dell’ospedale negano che quella sera [il 10 settembre] sia avvenuto qualcosa di speciale, ma rifiutano di farci vedere, come abbiamo chiesto, i registri di ricovero. Il governo ha smentito che bin Laden abbia ricevuto cure ospedaliere quella notte».
Voce fuori campo: «Il presidente pakistano Musharraf ha dichiarato che bin Laden soffre di affezioni renali, e che secondo lui è moribondo. Il più recente video mostra un bin Laden pallido e debole, che non muove il braccio sinistro».
Poi l’immagine del ministro Donald Rumsfeld mentre dice: «Per quanto riguarda la salute di Osama bin Laden non ne ho alcuna conoscenza».
Petersen, ironico: «Gli Stati Uniti non hanno modo di sapere chi, nell’apparato militare o di spionaggio pakistano, aiutava bin Laden anche la notte prima dell’11 settembre, fornendogli la dialisi per tenerlo vivo. Dunque gli Stati Uniti non sanno se queste stesse persone non lo stiano aiutando a restare libero».
Cinque anni sono passati da questo scoop.



L’ultima illazione su dove si trovi Bin Laden è apparsa, il 9 settembre 2006, su un giornale australiano, lo Hobart Mercury: «La maggior parte degli analisti d’intelligence sono certi che Osama si nasconda da qualche parte al confine tra Afghanistan e il Pakistan. Negli ultimi tempi è stato detto che egli si trova probabilmente nell’Hindu Kush, nell’area tribale di Chitral, sotto il monte Tirich Mir, alto 7.700 metri…».
Un alpinista estremo: niente male per un malato grave, bisognoso di dialisi settimanale.
O forse nel Waziristan ha ricevuto un trapianto ed ora scoppia di salute.
Che la fonte di questa «notizia» sia la cosiddetta intelligence americana non c’è dubbio.
Il Balochistan Times, il 23 aprile 2006, ha citato una frase di Bush sulla difficoltà di catturare Osama.
Il nemico, ha detto il presidente, «si trova in un’area estremamente montuosa e assolutamente inaccessibile, con montagne altre da 3 a 4 mila metri».
E non ci sono «infrastrutture di comunicazione in grado di rintracciarlo» (sic).
Non è opportuno ricordare - e infatti i media se ne guardano bene - che Bush fu vicinissimo a catturare Osama nel novembre 2001, a Tora Bora, dopo che i B-52 avevano bombardato a tappeto la zona definita «l’ultima ridotta di Osama»; un commando americano aspettava solo l’ordine. L’ordine non venne.
Oggi, invece, nel quinto anniversario, uno speciale della ABC dal titolo «The path to 9/11» («verso l’11 settembre»), ha dimostrato, diciamo così, che fu Clinton a lasciar scappare l’arcinemico: «troppo occupato con la scandalo Levinsky per combattere il terrorismo».
Questo speciale è stato confezionato con spezzoni autentici e sequenze inventate, da telenovela: il nuovo genere della docu-fiction, «finzione-documentazione».
La docu-fiction è l’arma segreta della guerra di percezione in corso.



Per il quinto anniversario, vari film sono stati preparati per confermare psichicamente la versione ufficiale pericolante, dal film di Oliver Stone sui pompieri delle Twin Towers a «United 93», che ha ricostruito fantasticamente «l’eroica resistenza» dei passeggeri contro i terroristi (armati di taglierino).
Non hanno successo di botteghino, ma non importa: servono a «passare» a spezzoni sul piccolo schermo, come sfondo delle ricostruzioni e dibattiti sull’11 settembre.
E’ successo a Matrix, succederà ancora: è il mezzo per «saturare psichicamente», con immagini «vere» e false, il pubblico che fosse tentato di dubitare della «verità».
Lo scoop della CBS del 28 gennaio 2002 viene così cancellato dalle memorie corte.
Quella scoperta giornalistica risale a un tempo in cui ancora il giornalismo poteva cercare in modo autonomo i fatti, e in cui la docu-fiction non aveva del tutto chiuso ogni spiraglio.
Quel tempo è finito.
Nel convegno alternativo sull’11 settembre a Bologna, Giulietto Chiesa ha riferito a questo proposito di un episodio agghiacciante. (3)
Il parlamentare europeo ha raccontato come, pochi giorni prima, fosse stato invitato dalla commissione Difesa della UE ad assistere - così era letteralmente scritto sull’invito - al «filmato che simula un attacco nucleare terroristico su Bruxelles».
Un vero e proprio film, ha detto Chiesa, costruito come un reportage «dal vivo».
Completo di tutto: le facce note della CNN che annunciavano l’orribile attacco sulla capitale eurocratica, la notizia ripetuta da Al Jazeera e da tutti i network, le reazioni internazionali con l’apparizione dei veri capi politici di oggi, le affannate tavole rotonde con «esperti» reali…intanto, minuto per minuto, andavano immagini satellitari che mostravano lo spostarsi della nube radioattiva, portata inesorabilmente dal vento ad espandersi sull’Europa del nord.



Non mancava nemmeno la rivendicazione: il «vero» Osama bin Laden rivendicava il lancio dell’atomica in arabo, con sottotitoli in inglese, nel solito video «fatto recapitare ad Al Jazeera».
Sbalordito, Chiesa ha chiesto «chi» avesse pagato per una simile produzione video, evidentemente costosa.
Era stata fatta coi soldi dei contribuenti?
No, è stata la tranquillizzante risposta: si è trattato di un «regalo».
Offerto dal CSIS, il Center for Strategic and International Studies di Washington, un think-tank correntemente ritenuto emanazione della CIA.
Un «regalo» del tutto equivalente a una testa di cane troncata, quale la mafia suole recapitare alle sue vittime designate.
Una minaccia.



Vale la pena di analizzare il messaggio contenuto in quel regalo del CSIS all’Europa.
Esso dice tre cose:
1 - Possiamo farvi questo - tirare una bomba atomica su Bruxelles - e abbiamo i mezzi per addossarne la colpa ad «Al Qaeda».
2 - Di più: possiamo convincere la vostra popolazione che è stato Osama, e non noi.
3 - Come vedete, abbiamo già preparato gli spezzoni della «atroce realtà» che i vostri telegiornali manderanno in onda se e quando la cosa avverrà, come materiale autentico, giornalismo puro, pura documentazione. Chi dubiterà del video di Osama?
Può avvenire davvero, se l’Europa continua a resistere a partecipare alla «long war».
Come dice Israel Singer, «non crediate di essere immuni» dal terrorismo.
Questa è la nuova realtà in cui siamo entrati.
E’ in corso una guerra vera e spaventosa, in Afghanistan, Iraq e Libano (e presto in Iran e Siria) con autentiche bombe e vere distruzioni e stragi.
Ed è in atto una «guerre della percezione», in Occidente.
Le bombe vere sono per gli islamici.
Ma il bombardamento psichico è diretto contro voi e noi, i loro nemici più temuti.
La guerra è contro di noi, e il nemico vero è il nostro principale alleato.
Armato di immagini digitali, che possono essere mescolate e fatte apparire vere. (4)



Ma non basta.
Il nemico strategico, quello che compie gli attentati false flag contro di noi per poter continuare a bombardare gli altri, ha un alleato primario: non solo i direttori dei media che volontariamente, con mezza-coscienza, diffondono la docu-fiction come fosse vera; ma soprattutto il pubblico occidentale, con la sua enorme, invincibile ignoranza e passività.
E’ questo pubblico che beve tutto, perché non si occupa di nulla.
Questo pubblico convinto al 30 %, come ha rivelato un sondaggio inglese, che il nome dell’attuale governatore della California sia Conan il Barbaro: il pubblico incapace di distinguere tra giornalismo e fiction.
Su questo colossale ignorante collettivo si basano i malvagi; da esso traggono la loro forza.
«Libero» dedica al sottoscritto una colonna: «Blondet cittadino onorario di Eurabia».
Presto, vedrete, arriverà la prova: Blondet o Chiesa che stringono la mano al «vero» Osama bin Laden, lassù sull’Hindu Kush ; miracolo che l’elettronica digitale rende possibile, e di cui l’agente Betulla è in posizione di ottenere l’esclusiva.
Perché questo, in fondo, è il movente vero che induce tanti «giornalisti» ad arruolarsi volontari nel sistema della menzogna: l’opportunità, con la scusa legittimante di battere il terrorismo, di colpire i colleghi, di prendersi delle piccole, meschine, vendette interne, di nuocere ed insultare i conoscenti.
Di fare una piccola ripugnante guerra civile nella tragedia globale, come quei «partigiani»
Che, durante la resistenza, approfittarono per ammazzare il vicino di casa invidiato, derubarlo, violarne la moglie.



E’ questa bava d’odio che spiega tutto: anche la volontà evidente di credere alla menzogna incredibile.
Un «filosofo cattolico», di cui abbiamo commesso l’errore in passato di pubblicare qualche articolo credendolo ancora filosofo e cattolico, ha mandato all’editore una mail che plaude al Papa e al suo infortunio con questa motivazione: «Ha finalmente detto la verità sulla merda Maometto».
Uno schizzo di merda.
Un rigurgito acido di bile pura, gratuita.
E se così «pensa» un «filosofo», è inutile lottare per la verità.
Oggi, si è «cattolici» per poter odiare i musulmani meglio, sull’esempio della cristiana Fallaci, che si è fatta seppellire in terra sconsacrata.
Non vi è alcuna fede.
E’ il bisogno collettivo di odiare, di nuocere, che finalmente può liberarsi, che con la scusa della cristianità in pericolo ha trovato il bersaglio.
Su Avvenire, appare un fondo, che difende il diritto del Papa a dire quel che ha detto sull’Islam (e che il Papa nega di aver detto con intenzione di odio).
L’ho conosciuto questo il firmatario; brava persona.
Ai tempi dell’invasione USA all’Iraq, ci comunicò che aveva portato via la famiglia da Roma, temendo una pioggia degli Scud di Saddam: ignaro, in buona fede, che la gittata di quei vecchi missili è di 300 chilometri, e non certo intercontinentale.
Come lui sono tanti.
Pronti a credere alla docu-fiction, se un giorno «Osama» lancerà una bomba atomica su Bruxelles. La guerra della percezione li trova già pronti: nella parte di vittime e di collaboratori insieme.





Nessuno si chiederà perchè mai, a quale scopo strategico, Al Qaeda dovrebbe sprecare un’atomica (non deve averne tante) su una capitale europea, anziché sugli USA o Israele: e non se lo chiederà: perché tutti, in fondo, «vogliono» crederci.
La docu-fiction ha la sua grande giornata; ma senza l’odio e la meschinità omicida dei piccoli non avrebbe tanta forza.
Il Papa farebbe bene a pensare su questo fenomeno, assai più pericoloso dell’Islam.
Ma cosa sa il Vaticano della modernità e dei suoi trucchi?
Ha mandato via Navarro Valls e l’ha sostituito con un gesuita, definito giornalista in quanto direttore di una rivista bimestrale; ma Al Jazeera diffondeva le parole papali in ogni angolo dell’Islam già dopo cinque minuti.
Quanto al segretario di Stato che s’è scelto, Tarcisio Bertone, è una brava persona: che a quanto pare non conosce alcuna lingua, e la cui vera passione sono le partite di calcio, che commentava da «giornalista» sul giornale della CEI.
C’è da stupirsi che il Papa sia stato involontario strumento della «guerra di percezione» totale in corso, subito usato e manipolato?
E’ la vecchia storia dei buoni: candidi come colombe, e incapaci di essere accorti come serpenti.
O ancor più, questa: che l’Anticristo «farà prodigi tali da sedurre, se possibile, perfino gli eletti».
Questa profezia si è avverata sotto i nostri occhi.

Maurizio Blondet