Prodi, isolato da Ds e Margherita, obbligato a presentarsi alle Camere
Domani in Senato, il 28 nell’aula di Montecitorio.
Decisivi gli interventi di Bertinotti e le pressioni uliviste
Roma. Due botte e mezzo in un giorno solo e tremendo. Che per Romano Prodi non sarebbe stata la giornata della felicità si poteva intuirlo quando l’Unione è andata sotto in commissione Affari costituzionali del Senato sui requisiti di urgenza per il decreto legge sulla detraibilità dell’Iva. Ma era niente. Perché quasi contemporaneamente Prodi ha dovuto cedere alla durezza degli alleati che lo costringono a riferire al Parlamento sul caso Telecom; e in serata s’è trovato davanti all’obbligo di affrontare la questione già domani al Senato. Come stabilito dall’aula di Palazzo Madama in una votazione – su proposta di Renato Schifani (FI) – nella quale la maggioranza è uscita sconfitta per tre voti (151 a 148). E’ certo che Prodi stia vivendo il momento più difficile dall’inizio della legislatura, e in anticipo rispetto alle annunciate turbolenze parlamentari sulla legge finanziaria. Il caso Telecom ha aperto un largo spazio all’incomprensione con le due forze riformiste della maggioranza, la Margherita e i Ds. Sono stati loro a imporre che il presidente del Consiglio riferisse in aula la settimana prossima (giovedì 28) sulla disputa con Marco Tronchetti Provera. E l’isolamento di Prodi è visibile nel mesto passaggio verbale da quel suo “saremo mica matti” pronunciato dalla Cina alla “disponibilità a riferire” sopraggiunta in America, con Massimo D’Alema al fianco (e non è un dettaglio). Al di là delle differenti opinioni sul futuro di una Telecom scorporata – Margherita e Ds si oppongono alla linea dirigista prodiana – l’Ulivo ha ridotto i margini di copertura al Prof. bolognese. Atteggiamento incoraggiato dal presidente della Camera, Fausto Bertinotti. Nella riunione mattutina dei capigruppo, i dirigenti dell’Unione pensavano di sanzionare (malvolentieri) il calendario stabilito: a riferire in aula sarebbe stato il ministro “competente” Paolo Gentiloni (Comunicazioni), il premier avrebbe semmai risposto tra una settimana durante il question time. Ma Bertinotti ha fatto sfoggio di equidistanza auspicando un ruolo più diretto per Prodi. I Ds hanno accolto l’auspicio. Di qui la sospensione dei lavori e l’aggiornamento della seduta al pomeriggio. Nel frattempo, alle 15 e 30, Vannino Chiti (Rapporti con il Parlamento) doveva raggiungere telefonicamente a New York il presidente del Consiglio e consigliargli di non ostacolare il buon senso. Risultato: una sola informativa affidata al premier, Montecitorio come palcoscenico. Chiti ha addomesticato l’esito della conversazione: “Visto che al centrodestra andava bene una relazione per la prossima settimana, Prodi ha offerto la propria disponibilità”. Poi il capitombolo al Senato che anticipa i tempi della discussione parlamentare.
La partita sulla riforma della giustizia
L’impazienza dei riformisti verso Prodi era più che sospettabile da giorni. All’ora di pranzo, il dalemiano Giuseppe Caldarola diceva che sarebbe stato “utile un dibattito parlamentare con il presidente del Consiglio, ovviamente sostenuto dalla sua maggioranza che gli crede”. Dopodiché, al di fuori dei virgolettati, pure in ambienti della Margherita si sono affacciati ragionamenti elementari e desolati: se Prodi agisce da solo quando si tratta di approvare o respingere un piano industriale, non è stupefacente che sia poi chiamato a risponderne in solitudine. Del resto è quanto sosteneva sempre ieri il quotidiano della Margherita, Europa: “C’è da augurarsi che ci vada lui, se occorre direttamente da Fiumicino, e ci sia il tempo per fugare le zone d’ombra che ancora avvolgono la vicenda”.
E’ scontato che l’opposizione – ma pure gli isolati nella maggioranza come Daniele Capezzone della Rosa nel pugno – cerchi ora di attribuirsi i meriti del cedimento prodiano. Meno credibile dovrebbe essere l’immagine di una maggioranza che possa farsi troppo male sul caso Telecom. Le parole dei dirigenti dell’Unione dirigono verso il quieto vivere, come se la lezione inflitta al neghittoso premier sia sufficiente a rimpannucciare la situazione. Ma certo la brutta figura in aula a Palazzo Madama non è un bel presagio. Incoraggiato dalle novità, il centrodestra ha riunito il coordinamento dei gruppi parlamentari alla Camera per consolidare la voce unica ritrovata nel corso della polemica antiprodiana. Ma è solo tattica. Quanto al resto: è appena iniziata al Senato, dove i numeri della maggioranza tolgono il sonno a Prodi, la partita sul ddl che congela la riforma della giustizia concepita dal centrodestra. Silvio Berlusconi sogna una caduta emblematica dell’Unione, non potrà contare su Luigi Pallaro ma avrà con sé Sergio De Gregorio (ex dipietrista, ora al gruppo misto). E forse altri.
il Foglio