Non c'è più religione..
Maroni: difendo Napoli perché rifiuto i luoghi comuni
FRANCESCO VASTARELLA «Sì, ho fatto due chiacchiere con il sindaco Iervolino, ha riconosciuto che nelle mie parole non c’era alcuna posizione demagogica. Mi ha fatto piacere. Mi ha anche invitato e io ho accetato di venire a sentire buona musica al San Carlo. Sono io che la ringrazio». Chi l’avrebbe mai detto, Roberto Maroni, ex ministro leghista del Welfare, difensore di Napoli nella trasmissione Annozero. Come si sente un leghista in veste di difensore di Napoli? «Ho detto quel che penso e che ritengo sia la realtà. Napoli è fatta per la totalità da persone oneste che faticano e una piccola minoranza che delinque. Non si possono confondere le due cose, come forzatamente è stato fatto nella trasmissione di Santoro, che appena una settimana prima aveva dipinto Milano come intollerante e razzista. Non è vero che tutta Napoli è nelle mani dei clan, non è giusto nei confronti di tanti che lavorano per affermare la legalità facendo molta più fatica che in una città del Nord». Centrosinistra campano sotto assedio dal governo amico, prima Prodi, poi Visco... «Non so e non mi interessa se nel centrosinistra ci sia un regolamento di conti. Io l’altra sera non ho voluto difendere la Iervolino o Bassolino, non ne hanno bisogno e io non sarei stata la persona più indicata a farlo. In qualche modo il governo della Campania e di Napoli non è stato così incisivo come qualcuno si aspettava. Qualche responsabilità chi ha governato ce l’ha, ma io rifiuto il luogo comune per cui Napoli è tutta delinquenza. Sono luoghi comuni da superare». Si parla di legge speciale, Prodi ha invocato un evento choc per Napoli. Serve? «No. Legge speciali vuol dire mettere soldi per fare qualcosa. Si spendono in fretta, si crea un po’ di benessere ma non si risolvono i problemi. C’è bisogno invece di una ricetta duratura. Come quando uno si mette a dieta, perde dieci chili in un mese, poi li riprende perché è condizione innaturale, mentre c’è bisogno di abituare l’organismo e il metabolismo gradualmente. Bisogna creare condizioni di sviluppo come nel Veneto di 20-25 anni facon una condizione di crisi forte, anche lì c’era la criminalità, ricorderete la mafia del Brenta. Poi, tutti insieme, non solo la politica, hanno fatto sì che il Nordest diventasse motore d’Europa. Certo, facile a dirsi, ma quando si è lì ad amministrare bisogna fare i conti con la realtà, non è facile». Nei cinque anni da ministro che cosa si aspettava e Napoli non lo ha fatto? «Non tutte le leve sono nelle mani degli amministratori, di qualunque colore siano. Classe dirigente non è solo la politica, serve un’azione comune, scuola, imprenditoria. Da ministro ho avuto divergenze con Regione e Comune, ho contestato il fatto che non siano riusciti a interrompere le malintese politiche sociali che finiscono in assistenzialismo puro e concorrono a impedire lo sviluppo, i sussidi sono spesso contrari all’etica del lavoro. Ereditai dalla Turco il reddito minimo di inserimento e lo abolii. La Regione lo reintrodusse con una sua legge. Io sono convinto che invece siano più efficaci le politiche attive del lavoro, costano più fatica ma creano veri posti. La sfida principale resta a culturale, a cominciare dalla scuola, non si risolve in 4-5 anni, ci vorrà qualche generazione, ma se non si parte subito non si arriverà mai.