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    Predefinito Quale dialogo religioso?

    E però tra gli interlocutori ci debbono essere anche i laici


    • da Il Riformista del 21 settembre 2006, pag. 1

    di Orlando Franceschelli

    Certo, si tratta di una sorte che lo accomuna a non poche vicende umane. Ma veramente anche il dialogo sembra rientrare tra le cose destinate ad essere apprezzate di più quando mancano. Un destino tutt'altro che lusinghiero, cui occorre saper resistere con sobrietà e fermezza, tanto più quando agli argomenti ci si ostina a rispondere con la minaccia e la pratica, ovviamente del tutto inaccettabili, dell'intimidazione e della violenza. Come è successo da parte del fondamentalismo islamico anche in occasione della lectio magistralis pronunciata a Ratisbona da Benedetto XVI. La libertà di coscienza e di parola unita al rifiuto di ogni forma di violenza - dictis, non armis: con le parole, non con le armi, come insegnava gia Lucrezio-, rappresentano i presupposti costitutivi ed irrinunciabili di ogni ricerca della verità e di ogni confronto e convivenza civile. In breve, dell'unico atteggiamento etico politico capace di alimentare la civiltà del dialogo di cui proprio le nostre società pluraliste e globali hanno sempre più bisogno: la laicità con cui si sa essere portatori e testimoni delle proprie opinioni e dei propri valori. Nel rispetto, quello vero e sempre costruttivo, delle opinioni e dei valori degli altri.

    Tra questi ultimi rientrano certamente quelli religiosi, professati dai singoli individui e dalle varie fedi e chiese. Tra le quali sarebbe semplicemente assurdo non ricordare innanzitutto le tre religioni del Libro, ebraismo, cristianesimo ed islam, alla cui capacità di parlarsi le nostre società non possono che essere comprensibilmente e fortemente interessate.

    E tuttavia, della nostra sfera pubblica fanno parte anche altri protagonisti. A cominciare dalla scienza, dalla filosofia che con essa prova a confrontarsi, fino ai singoli cittadini non credenti. Come ovviamente ben sanno anche i rappresentanti delle chiese. E lo stesso Benedetto XVI, che non a caso a Ratisbona ha dedicato non poca attenzione proprio al rapporto tra scienza, ragione moderna e cristianesimo. Come dire: ad uno snodo intellettuale e politico che misura il tasso di laicità non meno dell'auspicabile capacità di dialogo tra le varie religioni.

    Ebbene, non solo la recente lectio del papa, ma anche non pochi commenti e talvolta strumentalizzazioni politiche di questo suo intervento, su un punto decisivo risultano ancora lontani dal saper assumere un atteggiamento dialogico nei confronti della “non credenza pensosa", per usare l'espressione di monsignor Bruno Forte tra i teologi più vicini all'attuale pontefice.

    Piu precisamente: sono ancora prigionieri di una vera e propria sindrome dell'asimmetria. Invece di confrontarsi con la plausibilità delle ragioni scientifiche, filosofiche ed etiche che hanno portato la coscienza moderna a guardare al mondo e all'uomo non contro, ma al di fuori della tradizione cristiana, propongono una riduzione del disincanto moderno, e segnatamente del naturalismo darwiniano in cui esso culmina, a dogma scientistico ed ideologico. Destinato per giunta, a livello antropologico ed etico, a precipitare soltanto nel relativismo e nel nichilismo.

    Mentre il cristianesimo ellenizzato, in definitiva: la filosofia cristiana di ascendenza agostiniana, sarebbe l'unico portatore e difensore della sintesi vera tra messaggio biblico, cultura greca, umanesimo, e persino scienza, illuminismo e ragione moderna. Anzi: al di fuori di una simile sintesi, quest'ultima sarebbe destinata a diventare poco più che una depravazione, come ha notato monsignor Maggiolini. Difendendo, in sintonia con altri commenti analoghi, le posizioni espresse da Benedetto XVI a Ratisbona in un modo che illustra bene a quali tentazioni integralistiche esponga il bisogno di negare o di annettersi ogni possibile verità e valore altrui. Di sentirsi unici depositari della vera ragione, della vera scienza, della vera etica. Una tentazione che talvolta veramente travalica persino la stessa apologetica.

    Ovviamente, il disincanto non parla alla coscienza moderna solo a patto di essere, come dire, sdoganato e sorretto dall'approvazione della teologia e delle gerarchie ecclesiastiche. Questo, come è noto, sembra essere il privilegio cui aspira la componente atea ma devota dei teo con.

    Tuttavia, denunciata la sostanziale incapacità di dialogare con la scienza e la filosofia moderne non solo da parte del fondamentalismo protestante e dei teo con, ma anche dei massimi rappresentanti della stessa gerarchia cattolica, forse non è vano richiamare anche l'altra possibilità che pure si offre alle società moderne: quella del dialogo alto ed adulto tra la ragionevolezza del dubbio e l'umana saggezza che sorreggono il disincanto autentico, e la testimonianza della fede. Di cui proprio la laicità educa a non sentirsi mai avversari ostili o ideologici.

    Un simile dialogo delle rispettive plausibilità risulta sicuramente impegnativo. Come ogni dialogo tra posizioni alternative. Ma forse non è mai sterile, se sorretto effettivamente dalla consapevolezza che anche le ragioni ed i valori non ispirati dalla fede e dall'appartenenza religiosa rappresentano non l'errore, il nemico o il parassita inconsapevole della tradizione teologica, bensì una risorsa intellettuale ed etica delle nostre società.

    Papa Ratzinger e molti commentatori della sua lectio hanno rimproverato persino a Kant un uso limitato della ragione. Problemi non nuovi per il grande illuminista, che aveva presentato con queste parole La religione nei limiti della sola ragione, incorsa poi nei rigori della censura prussiana: “Il teologo biblico può essere d'accordo con il filosofo o ritenere dì essere costretto a contraddirlo. Questo è indifferente, purchè il teologo comunque ascolti le difficoltà che il filosofo potrebbe opporgli. Ma - concludeva Kant - dissimulare queste difficoltà oppure addirittura screditarle come empie è un espediente miserabile, che non regge». Sia detto con il rispetto della domanda: evitare ogni “espediente" che comprometta la civiltà e la pedagogia del dialogo, non è ciò che serve maggiormente alle nostre società? Anzi: anche allo stesso dialogo interreligioso? E forse persino ad una testimonianza di fede finalmente aliena dal fanatismo di un culto soltanto esteriore o aggressivo.


  2. #2
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    Predefinito

    Per gli ecclesiastici cattolici dialogare significa cercare di convincere.

    E' a loro sconosciuta ogni capacità di comprensione delle altrui opinioni.,

 

 

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