Media USA, meglio degli italiani
Maurizio Blondet
22/09/2006

In Italia nessuno lo sa, perché i nostri giornali ne tacciono: ma al Congresso americano è in corso una ribellione contro il Quarto Reich di Cheney e Rumsfeld. E ne sono protagonisti tre senatori repubblicani, ossia del partito al potere.
John McCain, mutilato e decorato del Vietnam, John Warner e Lindsey Graham si oppongono al tentativo di Bush di fare degli USA il primo Paese civile a stracciare la Convenzione di Ginevra. E i giornali di là stanno sostenendo i ribelli.
Come ha spiegato l'Herald Tribune, Bush vuole che il Congresso vari una disposizione «che esenti gli USA dalla norma della convenzione che proibisce 'offese alla dignità personale, trattamenti umiliani e degradanti'. Bush sostiene che la dizione è troppo vaga, ma la realtà è che vuole l'autorità per continuare a fare, ai prigionieri nella carceri segrete della CIA, cose che sono in chiara violazione delle norme internazionali. Egli vuole anche che il Congresso riscriva il War Crimes Act, che punisce penalmente le violazioni della Convenzione».



Contro questo tentativo di allargare la «zona grigia» (come la chiama Gawronski) si sono sollevati - dopo sei anni di cieca lealtà al presidente - alcuni coraggiosi parlamentari.
Due repubblicani, i senatori Chuck Hagel e Olympia Snowe, votando coi democratici alla Commissione senatoriale sull'Intelligence, hanno costretto il presidente della commissione, lo sfegatato bushista Pat Roberts, a rendere pubblico un rapporto che dimostra, una volta per tutte, che Saddam Hussein non era complice di Osama Bin Laden, anzi aveva emanato un ordine generale che vietava ogni contatto con Al Qaeda: la smentità più chiara della menzogna criminale con cui la Casa Bianca ha trascinato gli americani ad invadere l'Iraq nel quadro della falsa «guerra al terrorismo». Lo stesso rapporto dimostra che tutte le presuente prove della complicità fra Saddam e Osama non solo erano false, ma venivano da Ahmad Chalabi, il bancarottiere iracheno protetto da Wolfowitz.
E nella camera bassa, la Commissione per la riforma del governo - guidata da un repubblicano - ha raccolto la circostanziata testimonianza dell'ispettore generale degli Interni, il quale ha documentato come la Casa Bianca abbia approfittato della sua guerra per arricchire amici e aziende complici (come la Halliburton) con appalti senza gara a condizioni di favore, in un clima di corruzione e incompetenza generale.



Persino l'ex segretario di Stato Colin Powell è uscito dalla sua capanna dello zio Tom per chiedere ai senatori di respingere il tentativo di Bush di stracciare la Convenzione di Ginevra; sostenuto da una quantità di generali, di giuristi e di avvocati militari.
Il loro argomento: il ritiro dalla convenzione mette in pericolo i soldati americani.
Essi possono essere trattati come l'America di Bush tratta gli enemy combatants, detenuti sine die in carceri segrete, interrogati con torture e così via.
La novità è che giornalisti anche famosi spalleggiano questi rivoltosi.
Robert Kuttner, direttore di American Prospect, spiega ai suoi lettori che la convenzione di Ginevra garantisce la reciprocità del trattamento umano dei prigionieri americani (1).
E ricorda che suo padre, mitragliere catturato dai tedeschi nel 1944, benchè ebreo non fu torturato né ucciso dai tedeschi: «Mio padre sopravvisse perché anche i nazisti rispettavano l'accordo reciproco sul trattamento dei prigionieri: tu non maltratti i miei soldati quando li prendi prigionieri, e io non maltratto i tuoi».
Se gli Stati Uniti non riconoscono più la convenzione, aggiunge Kuttner, «non solo i nostri soldati sono in pericolo, ma la nostra stessa anima».





Paul Krugman, editorialista di grido del New York Times, ha scritto: «Ho vergogna che il mio governo faccia questo genere di cose».
Descrive le torture usate a Guantanamo e a Abu Ghraib: la cella fredda, in cui il detenuto è tenuto in piedi, nudo, per oltre 40 ore a 10 gradi di temperatura, e innaffiato di acqua fredda; e il «waterboard», in cui il prigioniero è legato a una tavola, col la testa più in basso dei piedi, e affogato in un mastello d'acqua.
La vera domanda, dice Krugman, è: «Perché l'amministrazione Bush è così determinata a torturare la gente?» (2).
Per lunga conoscenza giuridica occidentale, la tortura è inutile anche nel mondo del dopo 11 settembre.
«Ciò che la tortura produce è informazione sbagliata, essendo la vittima disposta, per far cessare il dolore, a dire qualunque cosa vogliano gli interrogatori». E racconta il caso di Ibn Al-Libi, che sotto tortura ha confessato che Saddam e Osama erano complici…«confessione che divenne un elemento chiave per consentire a Bush di invadere l'Iraq, e che era pura invenzione».



Perché dunque «Bush vuole torturare la gente» e legalmente?
Risponde Krugman: «Per mostrare che può farlo».
E così si avvicina alla verità indicible, che la «democrazia USA» somiglia ogni giorno di più a un regime totalitario.
«La tendenza più evidente dell'amministrazione Bush è lo sforzo di togliere di mezzo ogni limite al potere del presidente. La Tortura attira Bush e Cheney precisamente perché viola insieme il diritto e la tradizione. Vogliono fare di una pratica illegale e immorale il centro della politica USA per affermare il loro "diritto" a fare tutto quello che ritengono necessario».
Bob Herbert, sul New York Times: «Il carattere dell'America è cambiato. Siamo a rischio di farci governare dalla paura».
E Frank Rich, ancora sul New York Times: «Più dura la guerra, più enormi le menzogne» che la Casa Bianca ammannisce agli americani (3).



Insomma, c'è ancora del coraggio nella stampa statunitense.
Nella stampa italiana, solo servilismo, paura, disprezzo e calunnia per chi prova a dire la verità. I media, da noi, onorano i Gawronski, i sostenitori della necessità della «zona grigia» in cui si può torturare, spedire dei prigioneri in Paesi dove vengono torturati, chiuderli in galere senza giudizio e senza accusa (né difesa) per anni. Quelli hanno il rispetto dei media.
Volonterosi carnefici del Reich americano, anche più degli americani.

Maurizio Blondet




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Note
1) Robert Kuttner, «Rebelling against torture and Bush», Herald Tribune, 19 settembre 2006.
2) Paul Krugman, «The world according the king of pain», Herald Tribune, 19 settembre 2006.
3) Bob Herbert, «A stranger in the mirror»; Frank Rich, «The longer the war, the larger the lies», New York Times, 18 settembre 2006.




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