Nei primi anni ’90 a cavallo con il rinnovo delle amministrazioni locali, a seguito della L. n° 142 dell’8 giugno 1990 sulle autonomie locali, i Comuni dovettero dotarsi di un proprio Statuto.
Con le delusioni del governo regionale “di sinistra e sardista” come allora si diceva, diverse amministrazioni comunali in Sardegna che avevano ricalcato quella formula politica, da parte dei sardisti cominciavano a subire dei ripensamenti che si tradussero in coalizioni variegate.
Io stesso, assessore dal 1985 al 1990 con una coalizione PCI-PSd’Az-PSI, purtroppo conclusi un accordo con DC-PSI e PSd’Az, vincendo le elezioni e ricoprendo la carica di vice-sindaco, fino alle mie dimissioni nel ’92 (**), restando comunque in Consiglio comunale all’opposizione.
Uno degli adempimenti importanti che coinvolsero subito le amministrazioni locali fu l’adozione dello Statuto (Comuni e Province).
Il PSd’Az fu tra i primi a mobilitarsi, intuendo le potenzialità insite in quel nuovo strumento normativo.
Il 27 gennaio 1991 in un convegno dei segretari di sezione della federazione di Oristano, svoltosi a Is Arenas (Narbolia), l’argomento venne discusso a seguito di una relazione introduttiva di Salvatore Bonesu, che diede il supporto tecnico-politico.
Mi sembra opportuno farne conoscere i contenuti:
Sintesi della relazione di Salvatore Bonesu:
“L'azione sardista nei Comuni e gli statuti”
Qualcuno potrà chiedersi perché una relazione di questo titolo venga fatta ad un convegno di segretari di sezione anziché ad un convegno di amministratori sardisti.
La scelta, che certamente non esclude che il tema possa essere ripreso e maggiormente sviluppato con gli amministratori, a brevissimo termine secondo le intenzioni della Federazione, deriva da un concetto semplicissimo a cui noi sardisti spesso non diamo l'importanza che merita.
Se per gli altri partiti amministrare gli Enti Locali è fare pura attività amministrativa, molto spesso al solo fine di ricercare il voto clientelare, per noi sardisti, che non deleghiamo le scelte politiche ad uno Stato in cui non crediamo, fare amministrazione è fare politica nella sua totale e piena accezione.
Per cui l’amministrazione dei Comuni non può essere rimessa, come attività lontana dalle fondamentali scelte politiche, ai soli amministratori comunali, ma deve essere oggetto di scelte politiche del Partito in tutte le sue espressioni ed in primo luogo delle sezioni.
Ciò è tanto più vero in un momento come questo di rapida evoluzione degli Enti Locali verso nuovi modelli.
Il Partito Sardo d'Azione è per sua natura il partito delle autonomie locali.
I sardisti credono che il potere sia del popolo riunito in comunità e che le strutture, quali gli stati, che comprendono più comunità locali, traggano la loro legittimità solo dal consenso, fondato sulla pari dignità delle comunità.
I Comuni, ed in particolare gran parte dei comuni della Sardegna, che hanno una storia millenaria, esistono prima dello Stato, ma la Repubblica Italiana, nonostante le proclamazioni di tutela delle autonomie li ha sottoposti ad un regime centralistico che non consente loro, quali enti pubblici a più diretto contatto con il cittadino, di far fronte alla sempre più accentuata richiesta di servi.
I comuni, nella regolamentazione che è stata loro data con successivi provvedimenti del 1911, 1915 e 1934, erano sostanzialmente degli organi di decentramento dello Stato.
Dovevano, e devono, infatti curare servizi di interesse sostanzialmente statale: anagrafe, stato civile, leva, riscossione delle imposte, edifici, attrezzature e personale ausiliario delle scuole, ecc..
Il tutto sotto la direzione di un funzionario statale distaccato presso il Comune, il segretario comunale.
E' chiaro che una siffatta concezione del Comune non soddisfava le esigenze dei cittadini, che premono per l'istituzione di nuovi servizi sociali e culturali per la creazione di infrastrutture (impianti sportivi, trasporti, teatri, sale di riunione, ecc.), per l'intervento più o meno diretto del Comune nel campo economico.
La L. 142 del 1999 ha almeno teoricamente capovolto questa impostazione.
Ha nell'art. 2 affermato che il Comune quale istituzione amministrativa non è altro che il rappresentante di un soggetto politico preesistente e cioè la comunità e della comunità deve tutelare gli interessi e promuovere lo sviluppo.
Questi concetti dobbiamo, come sardisti, sviluppare chiedendo ai nostri amministratori comportamenti coerenti.
Circolano bozze di statuti comunali che non definiscono neanche il concetto di comunità e sarebbe assurdo che amministratori sardisti si adagiassero su tali impostazioni, sprecando una occasione irripetibile per dare corpo, con atti aventi rilevante valore giuridico e politico quali gli statuti alla nostra visione delle comunità locali e del loro raccordarsi con una entità più vasta e cioè col Popolo Sardo.
E' chiaro che nell'attuazione di ciò siamo fortemente condizionati dalle leggi dello Stato Italiano e dobbiamo trovare formulazioni che siano compatibili giuridicamente con tali leggi.
Si potrebbe avanzare, e la proponiamo come ipotesi di lavoro, la seguente bozza:
Titolo I
La Comunità
Articolo 1
La comunità di ... è l'insieme degli uomini e delle donne che per tradizione familiare, o per loro libera scelta. ritengano di farne parte per i legami di natura culturale, economica e sociale che hanno col territorio di ... e con gli altri membri della comunità.
La qualità di membra della comunità si perde solo per decisione personale di non farne più parte.
Qualora la legge non preveda espressamente che un obbligo o un diritto sorga, perduri o si estingua, in relazione alla residenza del soggetto, o ad altra criterio di collegamento col territorio, i diritti ed obblighi verso la comunità e le sue istituzioni sorgono, perdurano e si estinguono in relazione all'appartenenza o meno alla comunità secondo le norme precedenti.
Articolo 2
La comunità di ... è parte del Popolo Sardo ed il suo territorio ed i suoi cittadini appartengono alla Nazione Sarda.
La lingua della comunità è il sardo.
La religione della comunità è la cristiana cattolica.
Articolo 3
La comunità,, erede delle tradizioni storiche plurisecolari degli abitanti di .... è fondata sull'istituzione familiare, vive del lavoro dei propri componenti ed ispira la propria azione ai principi di libertà, uguaglianza e fraternità.
Titolo II
Il Comune
Articolo 4
La Comunità di ... è rappresentata dal Comune di .... che, operando nel rispetto delle leggi della Repubblica Italiana e della Regione Autonoma della Sardegna, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo secondo la necessità e la volontà, espressa nelle forme di democrazia diretta e rappresentativa, della Comunità stessa.
Il territorio del Comune è quello che per antica consuetudine appartiene alla Comunità.
E' chiaro che da questa impostazione, che vede la comunità, e di conseguenza l'istituzione comunale, fortemente caratterizzati in senso etnico derivano conseguenze rilevanti.
Nei compiti del Comune dovrebbero figurare la tutela dell'identità della comunità non limitata ai soli residenti ma comprendente anche gli emigrati, la tutela e la promozione della cultura e della lingua della comunità, la facoltà di uso della lingua della comunità da parte del cittadino ed il relativo onere del Comune di rispondere in tale lingua.
Tale ultima evenienza potrebbe essere così codificata:
Art. 18
La lingua del Comune è quella sarda della Comunità, come comunemente usata.
Salvi gli obblighi di redazione di traduzione ufficiale, nei casi previsti dai commi seguenti, ogni atto pu6 essere redatto nella lingua della Comunità.
Gli atti aventi rilevanza giuridica nell'ordinamento della Repubblica Italiana devono essere stesi ín lingua italiana, o comunque in tale lingua deve essere stesa traduzione avente valore di atto originale.
Gli atti aventi rilevanza giuridica nell'ordinamento della Comunità Europea, salva l'applicazione della norma precedente ove abbiano rilevanza giuridica anche nell'ordinamento della Repubblica Italiana, devono essere stesi in una lingua ufficiale della Comunità Europea, o comunque in tale lingua deve essere stesa traduzione avente valore di atto originale.
I membri della Comunità possono avanzare istanze agli organi del Comune, o comunque corrispondere con essi, nella lingua sarda della Comunità.
In tal caso gli organi del Comune sono tenuti a rispondere nella lingua della Comunità, salvo l'obbligo dì allegare traduzione ufficiale in lingua italiana, avente valore di originale, ove dall'atto dì risposta possano derivare conseguenze giuridiche.
Nelle sedute collegiali degli organi comunali è libero l'uso orale della lingua della Comunità, ma i verbali devono contenere comunque, in lingua italiana, la sommaria traduzione di quanto affermato.
Qualora la verbalizzazione debba essere, per richiesta dall'intervenuto integrale, l'oratore deve dare traduzione in lingua italiana di quanto precedentemente affermato in lingua sarda.
Le insegne pubbliche, poste a cura del Comune o delle sue istituzioni, dovranno essere bilingui e contenere tutte le indicazioni nella lingua della Comunità ed in lingua italiana.
Ma i caratteri identificativi della Comunità sono espressi anche con la toponomastíca. Il relativo articolo potrebbe essere così formulato:
Art. 27
Il Comune Conserva e ripristina la toponomastica originaria, secondo la tradizione scritta e orale.
La toponomastica all'interno degli abitati è definita nella lingua sarda della Comunità ed in lingua italiana. Nelle certificazioni la toponomastica è espressa in entrambe le lingue, negli altri casi l'uso è libero.
Nessuna variazione di toponomastica può sopprimere la precedente denominazione se non dopo dieci anni dall'adozione.
Durante i dieci anni successivi all'adozione della variazione nelle certificazioni sarà indicata la nuova denominazione seguita dall'indicazione che precedentemente vi era altra denominazione.
Ai cittadini residenti, o esercitanti attività aventi rilevanza fiscale, nelle vie di cui sia stata modificata la denominazione dovrà essere consegnato d'ufficio certificato attestante la modificazione.
La Giunta Comunale adotterà i provvedimenti relativi alla toponomastica sentita una commissione formata da cinque studiosi della storia, della lingua e delle tradizioni della Comunità, eletta dal Consiglio Comunale con voto limitato a tre nomi.
E' chiaro che l'impronta sardista sugli statuti comunali non può esaurirsi in articoli così formulati se avulsi da tutto il contesto.
L'autonomismo sardista deve permeare tutto lo statuto ed in particolare, come si diceva, la definizione dei compiti del comune. Il relativo articolo potrebbe essere così formulato:
Art. 5
Il Comune di ... ha quali compiti, oltre quelli assegnati per legge statale e regionale:
1) La tutela, lo sviluppo, la promozione, la diffusione e l'insegnamento della cultura e della lingua della Comunità e del Popolo Sardo;
2) L'apprestamento dei mezzi per l'esercizio del culto della religione della Comunità;
3) La tutela del territorio della Comunità, del suo paesaggio, dei suoi monumenti,, dei beni artistici ed archeologici, delle sue potenzialità economiche.
4) La liberazione dal bisogno di tutti ì membri della Comunità e la creazione di condizioni economiche e sociali che consentano loro il pieno sviluppo della loro personalità;
5) La promozione e la tutela del lavoro quale diritto e dovere di tutti ì membri della Comunità;
...
Il Comune esplica i suoi compiti nel rispetto delle competenze delle altre Pubbliche Amministrazioni nei limiti delle sue capacità finanziarie, adottando il metodo della programmazione, provvedendo direttamente, o tramite sue istituzioni, o in concorso con altri Enti Pubblici o privati, nelle forme previste dalla legge e dal presente statuto.
Il Comune esplica i suoi compiti nei confronti di tutti i membri della Comunità, ovunque si trovino.
Con queste proposte si è voluto dare l'inizio ad un complesso dibattito, che certamente rappresenterà un momento ,di crescita culturale e politica del Partito.
Potevamo anche noi adagiarci su proposte di statuto come quella della Association Internationale pour la Defense des Langues et Cultures Menacées, ma ciò sarebbe stato rinunziare al nostro diritto e dovere di pensare, in sardo, con la nostra testa e la nostra barrita, portando con concretezza i principi federalistici nella nostra realtà.
Dobbiamo cercare, anche dove siamo in minoranza, di costringere gli altri partiti a scendere sul nostro terreno, interessando ì cittadini alle nostre proposte e confrontandole con quelle di chi non vuole il pieno esplicarsi delle autonomie locali.
Dobbiamo, dove siamo in maggioranza ma in coalizione, non sacrificare il nostro essere sardisti ad equilibri fondati su una nostra rinunzia a fare le nostre battaglie.
Dobbiamo dove abbiamo la maggioranza attuare, nei limiti dell'ordinamento dello Stato, le nostre scelte politiche.
Cando si tenet su 'entu est prezisu bentulare.