Ricevo ed inoltro....


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Compagni e amici,
a proposito dell'attacco all'Ucoii da parte del governo e del ministro Amato (molto poco in verità) ho trovato e tradotto un pezzo di Israel Shahak del 1983, dopo l'invasione del Libano del 1982. Credo sia molto attuale. Ho aggiunto due note e un poscritto. credo meriti di essere pubblicato.

Mauro Manno
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ETUDES PALESTINIENNES, N° 8, 1983, pp. 89-92

«Nazistificazione»

Israel Shahak *

Tradotto dal francese da Mauro Manno, membro di Tlaxcala, rete di traduttori per la diversità linguistica (tlaxcala@tlaxcala.es). Questa traduzione è in Copyleft.

Un paese si nazistifica quando delle idee, che non è conveniente di solito esprimere nella buona società, acquistano improvvisamente diritto di cittadinanza nella stampa, in Parlamento, sulla bocca di gente importante. É secondo me quello che sta succedendo in Israele dove alcune affermazioni hanno acquisito una sorta di «normalità». So che il termine di nazistificazione disturba, visto che per la maggior parte della gente il nazismo significa, ben inteso, Auschwitz, le camere a gas ... So ugualmente che gli apologeti di Begin affermano che, malgrado tutte le atrocità della guerra in Libano, Israele non fa ricorso alle stesse pratiche dei nazisti. Io risponderei che il regime hitleriano nelle sue prime fasi non aveva ancora istituito i campi della morte e che durante gli anni 1935-1939 le vittime ebraiche dei pogrom in Polonia erano certamente più numerose di quelle di Hitler in Germania. Hitler all’inizio faceva forse meno vittime di altri, ma nel frattempo costruiva il peggiore dei regimi. Affermando che alcuni gruppi non facevano parte della razza umana, che alcuni cittadini tedeschi perdevano per questo la loro cittadinanza, che il pianeta era popolato di razze distinte e gerarchizzate, il nazismo preparava la strada per Auschwitz. Per me Begin è oggi una sorta di Hindenburg, mentre Sharon e Eytan mi fanno pensare molto proprio a Hitler, così come la pratica israeliana nei territori occupati e in Libano mi sembrano molto vicine a quelle dei nazisti nei confronti degli ebrei durante il periodo dal 1935 al 1939.[1] E l’esistenza contestuale di un certo numero di azioni positive in Israele, non cambia nulla. Così, tanto per dare un esempio, la recente decisione della Corte Suprema israeliana che ha scavalcato la volontà del governo e ha permesso ai giornalisti israeliani della radio-televisione di intervistare dei palestinesi, anche vicini all’OLP, può benissimo in questo periodo, che per me rappresenta un periodo di crescita dei pericoli, coesistere con pratiche analoghe a quelle che hanno caratterizzato la crescita del nazismo in Germania. In Israele, c’è Ansar, ci sono i campi di tortura e simultaneamente ci sono dei tribunali che continuano a giudicare con una buona dose di legalità.

Non bisogna sottostimare la gravità di certe dichiarazioni dei dirigenti israeliani. Quelle di Sharon, o di Begin, il quale ritiene che un «palestinese è un animale a due zampe», sono ben note. Ma non so se le affermazioni del generale Eytan, che in Israele è più popolare di quanto si creda, siano anch’esse conosciute dal pubblico all’estero. Eytan che dichiara regolarmente alle sue truppe che «un buon arabo è un arabo morto», che afferma che tutti gli arabi devono essere sterminati o espulsi, che ha sempre preconizzato le punizioni collettive, fino ad ora non ha mai dovuto affrontare una sola opposizione di un qualsiasi membro dell’establishment politico, né del Likud, né dei laburisti. Per il generale attuale Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano, gli arabi, tutti gli arabi e non solo i palestinesi, formano una categoria umana particolare e a questo titolo meritano un «trattamento» a parte. Questo metodo è comune a Eytan e ai nazisti, somiglia molto ai metodi che si usano abitualmente per ammaestrare gli animali. Questi ultimi non possedendo nessuna «umanità», non posseggono neanche quel valore intrinseco che di solito garantisce ad ogni essere umano, indipendentemente dal sistema nel quale vive, un certo numero di diritti inalienabili. Per Begin e Eytan tutti gli arabi sono animali. [2]

Vorrei parlare di un episodio per dimostrare fino a che punto la nazistificazione è orribile, come essa supera in orrore una situazione precedente in Israele, che già non era particolarmente allegra. Tipica dell’atteggiamento di Eytan riguardo agli arabi, la faccenda si può riassumere in questo modo. Un anno fa, una ragazzina della località di Bat Yam, a sud di Tel Aviv, è stata ritrovata assassinata e fatta a pezzi. L’assassino non è stato mai trovato. All’inizio del mese di marzo del 1983, mentre parlava a degli scolari, improvvisamente, Eytan dichiarò che l’assassino era un palestinese dell’OLP e che questa organizzazione imponeva ai suoi membri di violentare e assassinare le ragazzine ebree. Aggiunse che egli era in possesso di informazioni riguardanti un crimine analogo commesso da un arabo contro un’altro bambino. La dichiarazione fu uno shock. Il giorno dopo la polizia smentì le dichiarazioni di Eytan; dopo la polizia fu il turno del Ministro dell’Interno Burg, poi del Procuratore Generale Zammir e infine dello stesso Shin Beth. M a nulla valse tutto ciò, ad ogni smentita Eytan tornava alla carica e confermava le sue accuse. La faccenda prese una proporzione un po’ folle. Ogni mattina c’era una smentita sui giornali ed ogni sera Eytan ripeteva le sue accuse.Ma c’è una cosa più grave di questa. Pensate che ci sia stato un solo politico del Likud o del Partito Laburista che abbia contraddetto Eytan? Burg lo attaccò, il Mapam, il Rakah, lo Shelli ... ugualmente, ma non una voce del Likud o del Partito Laburista si fece sentire. La nazistificazione è diventato un fenomeno di società. Questo generale le cui dichiarazioni sono degne di un nazista è troppo importante per essere attaccato. E a questo punto non posso non tracciare un altro parallelo. Quando Hitler giunse al potere, molti politici tedeschi si permettevano di criticarlo, ma mai per il suo razzismo. Negli anni ’30, il razzismo era troppo popolare perché si criticasse l’antisemitismo di Hitler.

Gli ultimi due mesi, numerosi avvenimenti hanno illustrato i nuovi grandi cambiamenti della società israeliana. Due settimane fa,partecipavo alla commemorazione del 30° giorno della morte del militante di «Peace Now», ucciso da una bomba. Eravamo a Gerusalemme, il nostro corteo di più di 2.000 manifestanti, ad un certo momento, incrociò un gruppo consistente di giovani fanatici del Gush Emunim, tutti askenaziti, che urlavano senza sosta solo una parola: «Begin! Begin!». Con noi c’era un piccolo gruppo di ebrei orientali che occupava il centro del corteo. Quando quelli del Gush Emunim li videro, smisero di gridare «Begin! Begin!» e si misero a gridare «Arabi! Arabi!». Questo termine è diventato un insulto pubblico contro degli ebrei! Dovete solo lanciare questa parola senza aggiungere altro.

Nella cittadina di Netivot, vicino Gaza, l’assassinio di un gioielliere portò all’espulsione di qualche arabo che vivevano in quel luogo. La stampa, si interessò all’episodio e i giornalisti vi condussero diverse inchieste. Tra le loro «scoperte», si scoprì che nella faccenda erano implicati dei giovani smobilitati dall’esercito.. Le loro convinzioni? «L’odio per gli arabi ci unisce», oppure «Alcuni lavori spettano solo agli arabi». Si trattava forse di quei lavori ritenuti «duri» o «sporchi? Si certo ma non solo questo. Il ragionamento di quei giovani israeliani sembrava fondarsi principalmente sulla loro convinzione che gli ebrei dovevano solo supervisionare e dirigere il lavoro degli arabi, che quest’ultimi avevano bisogno di capomastri «brutali». É vero che quei giovani avevano tutti effettuato il loro servizio militare nei territori occupati oppure in Libano... Le stesse inchieste giornalistiche hanno messo in rilievo che quei giovani preferivano essere disoccupati piuttosto che fare un «lavoro da arabi». Una parte della disoccupazione dei giovani dopo il servizio militare, oggi in Israele, dipende da questo tipo di convinzione.

Oggi, l’odio dell’arabo non è condannato dal potere in Israele. Tutti i dirigenti sono d’accordo per strombazzare che gli ebrei non devono odiarsi tra di loro, nessuno condanna l’odio dell’arabo.

Penso che una parte importante della società israeliana si sta nazistificando e che questo sia utile al governo Begin. Perché esso ha bisogno di fornire ogni anno ai suoi sostenitori una vittoria sugli arabi. Nel 1981, fu il bombardamento del reattore nucleare in Iraq; nel 1982, l’invasione del Libano. Che ci dobbiamo aspettare per il 1983? Non so quale sarà la sua trovata; ma è certo che Begin colpirà quest’estate.

Israele oggi è diviso tra due poli di importanza disuguale. Penso che dal 50 al 60 % degli israeliani seguano Begin, e che 20% si oppongano alla sua politica. Riguardo a quest’ultimi, vorrei dire che il Movimento «Peace Now», alle cui posizioni io non aderisco completamente, secondo me, costituisca comunque uno dei principali oppositori della nazistificazione. Anche coloro che tra i suoi membri non sono favorevoli alla nascita di uno Stato palestinese considerano tuttavia che un palestinese è un essere umano e che come tale ha diritti inalienabili. Per tornare alla polarizzazione della società, si deve dire che tra coloro che appoggiano e coloro che si oppongono a Begin, c’è una massa fluttuante che non ha ancora deciso da che parte stare. Ma credo che sarà costretta a farlo molto rapidamente.

Oggi Israele è al massimo della sua potenza. E l’offensiva totalitaria in corso è ben lontana dall’essere conclusa. Vedo due cause principali: La prima è che gli Stati Uniti continuano ad aiutare il governo israeliano, malgrado Sabra e Chatila, malgrado tutti gli orrori quotidiani dell’occupazione israeliana del Libano, malgrado la sua annessione rampante della Cisgiordania e Gaza. La seconda causa, altrettanto grave, è la divisione profonda degli arabi.

Ma una cosa, una sola, può sconfiggere oggi la nazistificazione, ed è la resistenza libano-palestinese nel paese dei cedri. Quando i nazisti israeliani affermano che gli arabi comprendono solo il linguaggio della forza, è in realtà di loro stessi che stanno parlando. Se alcuni partigiani di Begin oggi si pongono qualche domanda, ciò avviene unicamente perché la resistenza libano-palestinese si va rafforzando. Se questa resistenza continua, la macchina infernale israeliana sarà bloccata; altrimenti temo che Begin si lanci in una nuova avventura omicida.


Poscritto a cura del traduttore

Le prime 13 righe del brano di Shahak, se si toglie la parola Begin e la si sostituisce con Olmert, potrebbero essere perfettamente valide ai nostri giorni. Ancora una volta abbiamo assistito a crimini di guerra e crimini contro l’umanità da parte di Israele nel paese dei cedri; è la terza invasione. Ancora una volta escono allo scoperto «gli apologisti» di Israele affermando «che, malgrado tutte le atrocità della guerra in Libano, Israele non fa ricorso alle stesse pratiche dei nazisti». A questi apologisti bisogna rispondere con le parole con le quali Shahak risponde agli apologisti di Begin nel 1983. Poi ci sono gli ipocriti: coloro che affermano che Israele, tutt’al più, «esagera» o fa un uso «sproporzionato» della forza militare. Costoro si ribellano e si indignano se si paragonano le azioni di Israele alle azioni del nazismo. Essi sostengono senza vergogna che i crimini degli occidentali e dei sionisti, oggi, non possono essere paragonati né al «terrorismo», essendo questo una prerogativa degli islamici, né ai crimini nazisti.



Oggi è di moda dire che gli islamici sono i moderni nazisti. Sappiamo che i neoconservatori sionisti nell’amministrazione Bush, gli uomini di Israele alla guida della politica estera americana, hanno inventato il termine «islamo-fascismo». Gli «islamo-fascisti» o «terroristi» devono essere, secondo loro, annientati con la guerra contro il terrore perché rappresentano un pericolo uguale a quello dei nazisti. L’Occidente si deve unire nella guerra al terrore contro gli «islamo-fascisti».

In questa logica imperiale e sionista, osare paragonare il bombardamento di Qana in Libano, dove sono morti decine di bambini e decine di civili, ad alcune stragi naziste in Italia è semplicemente inaccettabile. É scandaloso, è vergognoso, non piace ai sionisti e allora i nostri ipocriti del governo di ‘sinistra’ si ribellano. Ma si ribellano solo perché hanno fatto propria la logica imperiale sionista. Shahak invece ci dice che è la resistenza libanese e quella palestinese che salvano Israele dalla nazistificazione.



Eppure i fatti hanno una loro sostanza al di là delle parole con cui si vuole definirli.

A Marzabotto nel 1944 i nazisti fucilarono migliaia di persone inermi perché ritenevano che costituissero l’ambiente favorevole in cui si muovevano i partigiani che colpivano gli occupanti tedeschi. Con Marzabotto e con ogni altro massacro nazista, i generali hitleriani volevano dare un esempio affinché i civili non sostenessero i partigiani ma, se possibile, si staccassero da essi e, per paura di rappresaglie, li denunciassero. Le rappresaglie servono a questo. I nazisti, naturalmente non «esagerarono», non usarono la forza in modo «sproporzionato»; agirono come agiscono di solito gli occupanti che si vedono rivoltare contro le vittime delle loro esazioni di occupanti.

Qual’è la differenza con i crimini che Israele commette tutti i giorni in Palestina e, di tanto in tanto, pure in Libano e in altri paesi arabi?

I bombardamenti in Libano o a Gaza, sui civili, sulle infrastrutture economiche e logistiche, non hanno forse lo scopo di far staccare le popolazioni civili dai combattenti di Hamas o Hezbollah? O sono solo errori dovuti alle bombe poco intelligenti e non laureate? Sono «esagerazioni», azioni «sproporzionate» per ottenere la liberazione di due soldati israeliani quando ci sono migliaia di prigionieri libanesi e palestinesi nelle carceri israeliane? O è solo la solita logica degli occupanti e cioè: «noi abbiamo il diritto di occupare le vostre terre e voi non avete il diritto di ribellarvi. Per uno dei nostri, cento o mille dei vostri».

In Libano si vogliono disarmare le milizie di Hezbollah e gli sciiti. Allora si bombardano le regioni abitate dagli sciiti, nel sud, a Beirut, ma anche le regioni abitate dai cristiani (spesso nel passato alleati di Israele). Il messaggio è chiaro: agli sciiti si dice «non appoggiate la resistenza»; ai cristiani si dice «cosa aspettate ad attaccare gli sciiti?» E i complici di Israele in Occidente dimenticano che i cristiani libanesi hanno anch’essi le loro milizie, e anche i Drusi. Si vuole un’altra guerra civile per favorire lo Stato sionista?

É solo una «esagerazione» da parte di Israele o invece una tattica nazista di sterminio dei propri nemici per regnare eternamente da padrone in Medio Oriente?

E infine ci chiediamo:

Perché l’Unione delle Comunità Islamiche in Italia (Ucoii) non può dire che gli israeliani si comportano come nazisti e lo può fare solo qualche ebreo antisionista? Dobbiamo chiedere il permesso a Israele e ai sionisti per dire quello che appare chiaramente essere la pura e semplice verità? L’uso della falsa accusa di antisemitismo è diventata patrimonio dell’Occidente? Solo gli ebrei antisionisti possono dire quello che è evidente al mondo intero. Questa stortura micidiale uccide la libertà di parola e di critica i quei paesi che pur si vantano di contrapporre questo principio democratico ai paesi islamici e al resto del mondo.



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[1] Dal 1935 al 1339, nella Germania nazista non ci furono espulsioni di ebrei. C’era un patto tra nazisti e sionisti di Palestina (laburisti), denominato in ebraico Ha’avara, che favoriva l’emigrazione ebraica esclusivamente in Palestina in cambio dell’acquisto di prodotti tedeschi da parte dei coloni sionisti. L’emigrazione doveva però avere come unica destinazione la Palestina, questa era la condizione posta dai sionisti. Il tutto si svolgeva contemporaneamente al boicottaggio dei prodotti tedeschi che gli ebrei (non-sionisti) del mondo facevano negli stessi anni. Nel 1983, quando scrive Shahak, i sionisti avevano già espulso dalla loro terra 750.000 palestinesi nel 1948 e praticavano una politica di oppressione nei confronti dei palestinesi dei territori occupati dal 1967, da 16 anni. Oggi gli anni sono 39 (nota del traduttore).

[2] Ci chiediamo cosa succederebbe se il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito di uno stato dell’Occidente dichiarasse che «tutti gli ebrei sono degli animali» (nota del traduttore).







Israel Shahak

La traiettoria politica di un grande intellettuale ebreo israeliano, acceso oppositore del sionismo, recentemente scomparso.

Di Norton Mezvinsky

Da Against The Current del settembre 2001.

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(*) Norton Mezvinsky insegna Storia presso la Central Connecticut State University ed è, con Israel Shahak, di Jewish Fundamentalism in Israel (fondamentalismo ebraico in Israele).

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La tragedia nella morte di Israel Shahak consiste nel fatto che questa è giunta troppo presto, nel momento di maggiore capacità produttiva di questo raro intellettuale ed umanista. Edward Said lo ha descritto come "un uomo coraggioso che dovrebbe essere onorato per i servizi che ha reso all'umanità".

Dall'Ortodossia all'Attivismo

Israel Shahak nacque a Varsavia il 28 Aprile 1933, da genitori ebrei polacchi istruiti e benestanti. Durante l'occupazione nazista, la sua famiglia venne trasferita nel ghetto di Varsavia. Il fratello maggiore riuscì a fuggire in Inghilterra dove si arruolò nella Royal Air Force e successivamente morì in guerra. Alla scomparsa del padre, Israel venne nascosto dalla madre presso una famiglia cattolica, ma nel 1943 i nazisti catturarono entrambi e li deportarono nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. Scampati alla shoah, nel 1945 emigrarono in Palestina all'epoca sotto mandato britannico.

Nel nuovo paese Israel ricevette un'educazione secolare e religiosa ortodossa. Dopo il diploma prestò servizio di leva presso una unità di elite dell'esercito israeliano e una volta adulto rimase tra i riservisti. Successivamente frequentò la Hebrow University di Gerusalemme ed ottenne il dottorato in chimica nel 1961. Dopo aver lavorato per due anni presso l'università di Stanford in California tornò alla Hebrow University come istruttore, successivamente divenne professore.

A più riprese gli studenti lo votarono come professore più stimato dell'ateneo e come chimico diede un significativo contributo alla ricerca sul cancro. Nel 1990 a causa del diabete fu costretto a dedicarsi ad altro.

Per tutta la sua vita Israel Shahak rimase un fiero ebreo israeliano ed acquisì una profonda comprensione ed apprezzamento per gli aspetti positivi della storia ebraica. Dal momento in cui giunse in Palestina nel 1945 sentì a casa e mai pensò di vivere altrove, Gerusalemme è stata la città che più ha amato.

Quando era un giovane studente reagì fortemente contro ciò che individuava di negativo (compreso il razzismo) nell'ebraismo classico. Nella metà degli anni sessanta soffrì per la natura reazionaria del sionismo e per l'oppressivo carattere sionista dello stato di Israele. Nel 1965 Israel iniziò la sua attività politica contro l'ebraismo classico ed il sionismo, dopo la guerra del 1967 divenne ancora più esplicito ed attivo, ben presto raggiunse un ampio riconoscimento in Israele, nei paesi e nelle comunità arabe, e in buona parte del resto del mondo fino alla sua morte il 2 luglio 2001. Invocava vigorosamente i diritti umani per tutte le persone e costantemente predicò ed agì contro gli individui e le istituzioni, il più delle volte all'interno della sua società, che opprimevano altri. Per più di trenta anni focalizzò la propria attenzione verso la negazione dei diritti umani in Israele e sull'oppressione dei palestinesi.

Dopo la guerra del 1967 Shahak divenne un attivo ed eminente membro della Lega Israeliana per i Diritti Umani e Civili, nel 1970 ne venne eletto responsabile. La lega, i cui membri erano cittadini ebrei e palestinesi dello stato di Israele, promosse campagne e proteste contro la politica e le azioni del governo israeliano tese a privare i palestinesi dei loro diritti umani, inoltre si occupava di fornire legali ed altro aiuto ai cittadini palestinesi oppressi, raccoglieva e diffondeva informazioni relativamente alla condizione di vita dei palestinesi nei territori occupati dal 1967. Sotto la leadership di Shahak la Lega espanse le proprie attività e divenne più efficace.

Campagne internazionali

All'inizio degli anni settanta Israel Shahak comprese che all'estero non erano sufficientemente note sia la negazione dei diritti umani sia l'oppressione dei palestinesi nello stato di Israele, in tal senso si impegnò a diffondere quante più informazioni possibili, specialmente negli USA. Sperava che ciò potesse condurre molti americani ad opporsi a ciò che il governo israeliano stava facendo e che la pressione da essi esercitata potesse spingere il governo USA a influenzare il governo israeliano nel temperare, se non far cessare, alcune delle sue forme di oppressione.

Anche se tutto questo era un desiderio che non avrebbe prodotto la maggior parte dei risultati sperati Shahak riteneva che il fornire informazioni poteva comunque avere un valore. Io concordavo con la sua analisi e decidemmo di operare insieme. La nostra campagna di informazione negli USA iniziò in maniera attiva nel 1972 quando organizzai una serie di conferenze di Shahak. Tour seguenti pianificati da me e da altri si svolsero durante gli anni settanta, ottanta e primi anni novanta. Durante questi tour Shahak tenne lezioni in università, college, chiese, istituzioni, organizzazioni ed altre istituzioni, inoltre parlò privatamente con molte persone inclusi alcuni membri del congresso e funzionari del dipartimento di stato.

Israel Shahak denunciò chiaramente la negazione dei diritti dei palestinesi di Israele e dei territori occupati. Denunciò inoltre le limitazioni di libertà, pensiero, espressione, le ordinanze sulla terra, le restrizioni di vita, le retribuzioni ineguali, le restrizioni lavorative, la confisca della terra, la distruzione di case, l'incarcerazione gli arresti domiciliari sotto provvedimenti di emergenza, tortura dei prigionieri, punizioni collettive, omicidi, discriminazioni nell'educazione, limitazione dell'attività politica privazione della cittadinanza e molte altre misure. Lui forniva documentazione precisa per ognuno di questi punti spesso distribuiva la traduzione inglese dei suoi articoli, in cui criticava queste misure.

Perentoria critica del sionismo

Shahak sosteneva che l'oppressione del popolo palestinese derivasse dal carattere sionista dello stato di Israele. Comprese, in quanto sopravvissuto alla shoah, che coloro che sono stati oppressi possono divenire a loro volta oppressori.

Il suo saggio "Sionismo come movimento recidivo", contenuto nel libro "Anti Zionism: analitical reflections" (Amana, 1989), è una brillante esposizione della sua teoria secondo cui il sionismo ebbe origine come reazione al progressivo cambiamento e venne a dettare la maggior parte delle scelte relativamente alla politica estera ed interna di Israele. Il sionismo unito al militarismo di stato crea le condizioni per aspirazioni territoriali e per una politica interna discriminatoria verso la minoranza non ebrea di Israele.

Shahak sosteneva che il sionismo non è motivato da valori ebraici positivi ma che piuttosto è il desiderio creare un ghetto ebraico pesantemente armato. Sionismo come reazione ma simultaneamente immagine riflessa dell'antisemitismo sciovinista.

Per Shahak l'ideologia sionista potenziata dalla sovranità di Israele costituiva la causa delle negazione dei diritti umani e nazionali dei palestinesi e delle iniquità nello status di cittadini palestinesi dello stato ebraico. In ciò Shahak differisce da alcuni ebrei israeliani di sinistra che criticano specifiche misure oppressive nei confronti dei palestinesi ma che si rifiutano di criticare il sionismo definendosi essi stessi sionisti. Shahak definì questa sinistra sionista ipocrita. Sebbene non sia mai stato né socialista né comunista (fu critico rispetto a queste ideologie) lavorò in stretto contatto sulle questioni dei diritti umani con alcuni marxisti israeliani inclusi membri del Rakah (Partito Comunista Israeliano) ed alcune di queste persone con cui fu spesso impegnato in dibattiti politici erano ancora suoi stretti amici.

Traduzioni

Subito dopo il ciclo di conferenze tenute negli USA, Shahak ed io ritenemmo che fosse utile promuovere la regolare distribuzione negli USA di traduzioni in lingua inglese degli articoli critici prodotti dalla Hebrow Press (nelle loro conclusioni vicine al pensiero di Shahak).

Riuscimmo a convincere alcune persone a lanciarsi in questa avventura. Ad esempio il National Council of Churches supportò la pubblicazione di Swasia, ed anche io fui coeditore e distributore di alcune di queste pubblicazioni. In aggiunta a tutto ciò, Shahak scrisse articoli, molti dei quali tradotti da riviste e giornali inglesi ed americani, in cui presentava alcune sue analisi, spesso tratte da articoli di Hebrow Press.

Shahak non amava i leader, secolari e religiosi, di organizzazioni ebree con base negli USA, li criticava severamente per la loro attitudine a seguire ciecamente la politica ufficiale del governo israeliano circa i palestinesi e gli arabi in generale. Spesso credette che la società ebrea di Israele fosse più aperta rispetto a quella degli ebrei americani rispetto ad un serio dibattito circa gli arabi ed Israele.

Shahak additò i leader ebrei americani per la loro mancanza di apertura accusandoli di esercitare pressioni per soffocare il dissenso. Sosteneva che costoro fingono di sapere molto più di quel che effettivamente sanno della società israeliana e di utilizzare l'olocausto per raccogliere denaro e sostegno politico.

Scritti circa la religione ebraica

Negli anni settanta ed ottanta Shahak venne criticato a più riprese dai suoi antagonisti e ricevette anche delle minacce di morte. Non scoraggiato continuò ad indirizzare al suo pubblico discorsi e scritti. Negli anni novanta il suo pubblico divenne più ricettivo. Il suo rifiuto di definire accordi di Oslo come accordi di pace, la critica all'attuale leadership politica palestinese, la critica del giudaismo classico e del fondamentalismo ebraico in Israele gli procurarono dure critiche.

I tre libri di Israel Shahak furono pubblicati tra il 1994 ed il 1999. Con Jewish History, Jewish Religion: the Weight of Three Thousand Years (Pluto, 1994) realizzò, grazie una ricerca e un analisi che ripercorreva almeno quattro decenni, un pungente attacco al giudaismo classico ed al suo più recente sviluppo il giudaismo ortodosso.

Commentando questo libro Noam Chomsky scrisse: "Shahak è uno studioso preminente con una conoscenza profonda e di vedute notevoli. Il suo lavoro è ben informato e penetrante, un contributo di grande valore".

Il libro "Jewish fondamentalism in Israel" di cui sono stato coautore è uno studio ancora più profondo di un importante aspetto del giudaismo classico e ortodosso. Questo libro rimarca l'importanza della crescita dell'influenza e del potere del fondamentalismo ebraico in Israele. Traccia la storia e lo sviluppo del fondamentalismo ed esamina le sue diverse correnti. Il libro colloca l'assassinio del primo ministro Rabin all'interno del contesto di una tradizione di punizioni e omicidi di ebrei considerati essere eretici od informatori. La natura antidemocratica del fondamentalismo ebraico è evidente nella nostra analisi entrambi i libri sopracitati sottolineano le connessioni tra alcuni degli aspetti negativi del sionismo e i filoni del giudaismo ortodosso classico.

In Open Secrets: Israeli Nuclear and Foreign Policies (Pluto, 1997), Shahak presentò un'analisi della politica estera israeliana sulla base di una serie di articoli che scrisse tra il 1992 ed il 1995 (tratte per lo più dalla Hebrew press). Argomentò che Israele stava conducendo una politica segreta di espansionismo su molti fronti con l'obiettivo di ottenere il controllo non solo della Palestina ma dell'intero Medio Oriente. Una traiettoria che lui considerava essere un profondo pericolo sia per gli ebrei che per i non ebrei.

In questo contesto è appropriato ciò che Gore Vidal scrisse nella sua introduzione a Jewish History, Jewish Religion descrivendo Israel Shahak come "l'ultimo, ma non l'ultimo dei grandi profeti".