Osama Bin Laden è stato per molti anni alleato degli Stati Uniti nella guerra contro i sovietici. Ma l’etichetta «agente della Cia», con cui viene descritto il suo ruolo in quegli anni, non è giusta e rischia di trasformarsi in leggenda rendendo del tutto incomprensibile ciò che accadde in Afghanistan dopo l’invasione dell’Armata Rossa nel dicembre del 1979.
La rivolta dei mujaheddin scoppiò agli inizi del 1980 e fu per molti aspetti un avvenimento spontaneo, nello stile e nella tradizione di un Paese che ha sempre mal tollerato gli interventi stranieri nel proprio territorio.
Ma non appena fu chiaro che vi era ormai una resistenza antisovietica, alcuni Paesi si coalizzarono per sostenerla, armarla, finanziarla e cacciare i sovietici dalla regione. Stati Uniti, Pakistan, Arabia Saudita, Paesi del Golfo, Cina e Iran non poterono formare un’alleanza perché ciascuno di essi aveva i propri interessi, spesso diversi da quelli degli altri «compagni di viaggio». Ma si divisero pragmaticamente le parti e ciascuno di essi svolse una efficace azione complementare. Il Pakistan intervenne con la rete del suo servizio segreto (l’Isi) e assicurò alla resistenza un prezioso retroterra logistico. Gli Stati Uniti fornirono missili terra- aria Stinger (un’arma micidiale contro gli aerei sovietici) e consiglieri militari per l’addestramento dei mujaheddin. La Cina dette armi e l’Arabia Saudita, grazie ai proventi petroliferi provocati dall’aumento del prezzo del petrolio nel decennio precedente, divenne il tesoriere della coalizione.
Tutti insieme, infine, aiutarono in vari modi i volontari islamici che correvano in Afghanistan a combattere il nemico sovietico.
Nel suo bel libro sui «Talebani», pubblicato da Feltrinelli nel 2001, il giornalista pakistano Ahmed Rashid scrive: «Tra il 1982 e il 1992, circa trentacinquemila radicali musulmani provenienti da quarantatré Paesi islamici di Medio Oriente, Africa settentrionale e orientale, Asia centrale ed Estremo Oriente partecipano al loro primo combattimento a fianco dei mujaheddin afghani ». E mentre si forma nel mondo la prima grande Legione arabo musulmana, il denaro dell’Arabia Saudita permette ad «altre decine di migliaia di radicali musulmani stranieri» di studiare nelle centinaia di nuove madrasa (le scuole coraniche) che si sono aperte in Pakistan e lungo il confine con l’Afghanistan.
È questo il quadro in cui occorre collocare l’arrivo di OsamaBin Laden nella regione. Secondo Rashid, il servizio segreto pakistano insistette a lungo presso il servizio segreto di Ryad per l’invio in Afghanistan di un principe che potesse esercitare funzioni di comando e dimostrare l’impegno del regno saudita a favore della jihad. La persona prescelta fu per l’appunto Osama. Non era un principe, ma aveva molte amicizie a corte ed era il rampollo di una delle più influenti personalità economiche del regno. Comincia da quel momento l’irresistibile ascesa del fondatore di Al Qaeda. È certamente possibile accusare Osama di molti crimini.
Ma non credo che gli si possa rimproverare di essere stato «agente della Cia».Èstato sempre coerentemente islamista e ha dichiarato guerra agli Stati Uniti dopo la Guerra del Golfo, quando gli americani si servirono del territorio saudita per attaccare l’Iraq e vi si installarono successivamente con due grandi basi militari. È un terrorista, certo, ma non privo di una sua diabolica coerenza.
Sergio Romano
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