"Quante persone ci sono in questa strada, un centinaio? Quante sono le persone intelligenti, sette, otto? Bene, io lavoro per le altre novantadue" Phineas Taylor Barnum
UE, mondo, futuro Michio Kaku:
https://www.youtube.com/watch?v=7NPC47qMJVg
solita storia di parlare del tasso di disoccupazione senza citare mai il tasso di occupazione, che in italia è il più basso della UE
meglio da camerieri che da servi banans come voi!!!ps:la bolla immobiliare è cresciuta moltissimo co naznar al governo e la spagna son ben due volte ceh l oriconferma presidente del governo,eppure,SENZA TELEVISIONI,anzi,ha tirato fuori la politica dalal tv spagnaola,mentre prima c'era un sistema tipico dell'itlaia,ITALIOTA BANANAS!!!
ps frutti dell'azione di zapatero li vedrem otra qualche anno almeno,bisogna dargli del tempo,coem dite voi berluscoglioniti."BISOGNA LASCIARLO LAVORARE"!!!327:327:327:
non è solo quello
ad esempio quei milioni di casalinghe in italia vengono considerate una risorsa e non quello che sono: DISOCCUPATE CHE NON PRODUCONO IUN CAZZO
Spagna, Zapatero sotto tiro bruciati 4 mila posti al giorno - Repubblica.it
L'economia spagnola è l'unica in Europa che non è tornata a crescere nel 2010
Dal governo fiumi di soldi per opere pubbliche e banche, ma con scarsi risultati
Spagna, Zapatero sotto tiro
bruciati 4 mila posti al giorno
Colpiti i settori trainanti del miracolo: turismo e edilizia. Invendute 500mila case
dal nostro inviato GUIDO RAMPOLDI
MADRID - In principio fu la Spagna di Aznar, l'Impero che risorge, la Reconquista (dell'America Latina), la Conquista (dell'Iraq), il Sorpasso in corso (sull'Italia), un'economia al galoppo e una classe dirigente così consapevole del proprio slancio che pareva quasi mettersi in posa, come i Grandi di Spagna, e i nani di corte, nei quadri del Velazquez. Caduto Aznar subentrò la Spagna di Zapatero, civica, solidale e non più imperiale, anzi fucina di imprecisate "Alleanze tra Civiltà", ma sempre due spanne più alta dell'Italia, superata nel prodotto pro-capite del 2008.
Però oggi l'esito di due epoche da primato pare la esse di PIGS, acronimo un po' razzista inventato dagli analisti anglosassoni per raggruppare quelle economie troppo indebitate che starebbero insozzando l'euro con i loro maialeschi deficit (PIGS, in inglese "porcelli", sta per le iniziali di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna). Ed è questo che oggi risulta intollerabile agli spagnoli. Non tanto lo scoprirsi fragili dove prima si credevano granitici. Quanto il tornare indietro di vent'anni, di nuovo intruppati in quell'Europa minore che pensavano di aver lasciato per sempre, insieme alle sue povertà e ai suoi affanni.
La retrocessione è così inattesa, così traumatica, così inaccettabile, che la settimana scorsa, quando Bruxelles ha osato appaiare Spagna e Grecia, il presidente del Banco Santander, Botin, si è fatto interprete del risentimento nazionale ed è sbottato: ohè, stiamo scherzando?, noi siamo "il Real Madrid", i greci l'Alcoyano, una squadretta di serie B. Non solo nessuno gli ha fatto notare che tanta autostima forse è concausa dei guai spagnoli, ma la classe politica ha fatto proprio quel paragone grossolano; e l'ex ministro dell'Economia Josè Luis Leal è tornato in argomento per sostenere che il metro di paragone dev'essere la Gran Bretagna, anche lei malmessa ma in serie A, non certo la Grecia.
Altra stampa stizzita invece si domanda perché gli economisti abbiano sfilato l'Italia dai PIGS, in effetti chiamati PIIGS ancora sei mesi fa, quando la nostra 'I' appariva nel gruppo. E non riesce ad accettare che il deficit italiano, per quanto straripante dai limiti di Maastricht, sia in percentuale la metà dello spagnolo. In pochi giorni siamo diventati un enigma fastidioso. Da anni la Spagna leggeva nel nostro declino la misura del suo successo. Fosse di destra o di sinistra, considerava Berlusconi l'autobiografia di una nazione. Ora fatica a capire come quel Paese bizzarro, l'Italia, possa permettersi il contro - sorpasso. Dov'è il trucco, com'è possibile? Converrà attendere la fine della corsa, però gli analisti che sfiorano in anticipo la questione convengono che l'Italia ha un tessuto industriale più solido e più diversificato. Inoltre i sistemi caotici sopportano meglio le situazioni di stress. In tempi normali la Spagna è avvantaggiata da un governo con poteri effettivi e uno Stato solerte esecutore. Ma in tempi di crisi quel sistema verticale può risultare rigido, perfino dannoso se il governo sbaglia.
E non v'è dubbio che nell'affrontare la crisi Zapatero abbia sbagliato, e sbagliato parecchio. A giudicare dall'ira dei giornali e dal rabbioso sconforto di molti suoi compagni di partito, nulla gli sarà perdonato. A meno che non gli riescano miracoli, sarà il capro espiatorio di una crisi vissuta dalla classe dirigente spagnola come un'umiliazione nazionale, una sconfitta storica, un oltraggio collettivo. I media della destra lo azzannano con una voluttà tetra. La sua popolarità è in declino. Nei sondaggi il Partido popular ora sopravanza di 6 punti il suo partito socialista, dove per la prima volta ci si chiede ad alta voce se non convenga affidarsi ad un nuovo leader per tentare di vincere le elezioni del 2012.
Eppure è anche responsabilità della destra se l'economia spagnola è congegnata, dai tempi dai Aznar, nella forma che le è stata fatale. Il suo punto di forza: il turismo di massa, nel quale è seconda al mondo. Ma in un periodo di crisi mondiale il turismo di grandi numeri si assottiglia. Tanto più se proviene in parte rilevante dalla Gran Bretagna, e perciò è stato impoverito dalla debolezza della sterlina. L'altro pilastro: l'edilizia.
Società di costruzioni tra le prime dieci nel mondo. E lo sciame di piccole imprese che ha trasformato la costa in una linea ininterrotta seconde case per spagnoli e stranieri. Però un settore già maturo nel 2007, quando lo tramortisce definitivamente la crisi finanziaria mondiale.
Qui Zapatero commette il primo errore: applica una teoria giusta in modo pessimo. Cerca di uscire dalla crisi con una soluzione keynesiana. Finanzia miriadi di opere pubbliche, e così permette alle imprese di costruzioni di tirare avanti. Ma è mera sopravvivenza. Tutto quel costruire aiuole, abbellire strade e inventare parchi, che oggi fa di Madrid una delle città più curate al mondo, non produce ricchezza né in prospettiva lavoro.
Zapatero usa un secondo strumento keynesiano. In modo tardivo ma generoso, finanzia le banche affinché quelle a loro volta finanzino le imprese. Ma i banchieri devono ripianare le voragini prodotte da crediti inevasi e si affezionano al denaro su cui sono seduti. Lo ricevono praticamente gratis. Può rendere molto se investito con astuzia; pochissimo, se prestato agli imprenditori. Questi ultimi si sentiranno ripetere: ci dispiace, non date garanzie sufficienti.
Le elezioni del 2008 provocano un ulteriore danno economico alla Spagna. Il Psoe perde la maggioranza assoluta ed il governo è costretto a negoziare di volta in volta l'appoggio dei partitini regionali, i quali pretendono in contropartita copiosi investimenti pubblici. A rilevanti successi politici, come la coalizione anti-terrorista tra socialisti e nazionalismo basco moderato, corrispondono rilevanti esborsi.
Fin qui, errori ma anche sfortuna. Poi, l'imperdonabile. Zapatero nasconde la crisi. Per il governo resta a lungo parola impronunciabile. Si deve dire: "Decelerazione". E il segretario del Partido popular, che nella campagna elettorale del 2008 chiama le cose con il loro nome, viene accusato dai socialisti di disfattismo anti-patriottico. Nell'autunno scorso, quando non è più possibile negare che il Paese è in piena recessione, Zapatero annuncia che l'economia spagnola è nella stessa condizione delle economie dell'Europa maggiore, e con quelle sta per tornare in attivo. L'uscita dalla crisi è "imminente", ripete in dicembre.
Pochi giorni dopo la verità lo travolge con l'uragano dei dati certificati dalla Banca centrale. La recessione più profonda da mezzo secolo (-3,6% su base annua nel 2009), e la più tenace del G20, dove la Spagna è l'unico Paese che non sia ancora tornato a crescere. La maggior caduta dei prezzi al consumo dal 1952.
Cinquecentomila case invendute. E soprattutto, la maggior distruzione di posti di lavoro che ricordino le statistiche nazionali (in dicembre ne sparivano quattromila al giorno, - 6.7% su base annua). Quel 19% di disoccupati, 40% tra i giovani, comportano un peso ormai intollerabile per le finanze pubbliche, e contribuiscono in parte rilevantissima ad un deficit che ha raggiunto l'11,7% del Pil. Nessun guru della finanza internazionale pronostica sventura; ma due tra i più ascoltati, Paul Krugman e Nouriel Roubini, ritengono che la Spagna, non la Grecia, oggi sia l'economia più pericolante dell'Eurozona.
Perché Zapatero ha taciuto? Nel processo al premier che comincia a spaccare il Psoe ("tornato a dividersi", ammette l'unico quotidiano zapaterista, Publico), si confrontano due tesi. La difesa vuole che Zapatero abbia cercato di evitare alla Spagna la terapia "di destra" - tagliare, tagliare, tagliare - che Bruxelles infligge automaticamente alle economie con la polmonite. Invece l'accusa lo vede prigioniero dei suoi limiti. E' un seduttore di folle terrorizzato dall'impopolarità. Ha garbo e un'eleganza naturale; gli manca la consistenza dello statista, cui mai come ora sarebbe chiaro che governare vuol dire scontentare. L'ha paralizzato la paura di uno sciopero generale. Sarebbe suonato come una mozione di sfiducia presentata da un largo settore del suo elettorato (nel 2008 votò Psoe il 59% degli spagnoli che si dichiarano di estrema sinistra). Ma più devastante è stata la mozione di sfiducia che in questi giorni gli hanno presentato i mercati finanziari. Ora deve convincere gli uni che non si arrenderà alle frustate delle Borse, gli altri che non cederà alle proteste dei sindacati. Acrobazia complicata, come dimostra la condotta erratica del governo nelle ultime giornate, con misure annunciate a Bruxelles e smentite a Madrid poche ore dopo.
Una teoria cospirativa echeggiata da le Monde attribuisce alle Borse una sorta di intelligenza politica. Sospinte da ispiratori occulti, starebbero caricando Spagna e Grecia come mandrie di bufali per travolgere l'ultima ridotta della socialdemocrazia europea. Geometrie così lineari non corrispondono alla realtà.
Però è chiaro che i percorsi che conducono fuori dalla crisi stanno determinando nuove forme di organizzazione sociale e produttiva. Se stiamo alle dichiarazioni dei due premier, Grecia e Spagna ritengono che i loro guai non abbiano compromesso la possibilità di un'uscita "a sinistra". Madrid ha già fatto qualche passo in quella direzione. Tra le ipotesi proposte a sindacati e industriali la settimana scorsa figura una sorta di scambio tra contratti a tempo, da penalizzare, e contratti part-time, da incentivare. Ma quando si tratterà di discutere la spesa pubblica, l'immaginazione avrà meno spazio. Ogni 18 spagnoli che lavorano, 8 sono pensionati, cioè gravano sulle casse dello Stato: come se ne esce? La settimana scorsa il governo ha proposto rimedi per limitare l'esodo verso la pensione (e per innalzare l'età di ingresso a 67 anni). Ma i sindacati hanno mostrato i muscoli.
Uno studio recente della London School of Economics spiega l'insuccesso delle riforme greche con il fatto che, di destra o di sinistra, erano mal congegnate. Scontavano i limiti culturali dei ministri e dei loro consiglieri tecnici.
Se questo è vero, sono i risultati, non la corrispondenza con questa o quella politica, che dovrebbero guidare l'Europa nella ricerca delle soluzioni alla crisi. In questo caso potremmo scoprire che la tendenza generale a flessibilizzare il lavoro non sempre è utile. L'informazione greca, per esempio, è ultra-flessibile. Giornalisti assunti con contratti trimestrali. Basso costo del lavoro. Risultato: la Grecia è quasi priva di quell'asset nazionale che è un'informazione di qualità. E i suoi editori usano redazioni docili, in quanto ricattabili, come strumenti vili, per difendere i propri interessi o colpire gli interessi altrui. Se questo è il futuro, buona fortuna.
Meglio una cena in mezzo a tanta gnocca che svariate in mezzo a tanti mafiosi
il tasso di occupazione è fondamentale anche quando si parla di disoccupazione, perchè la percentuale di disoccupati è riferita agli occupati, mica al totale della popolazione quindi certo che i due dati vanno mischiati non si può pensare di lasciarli separati, a meno che non si voglia fare come fanno i politici italioti che prendono per il culo i loro cittadini ignoranti in matematica che non si rendono conto della truffa
ad esempio, iln spagna l'occupazione femminile è 6 punti più alta che in italia, in germania poi il divario è mostruoso
quindi noi abbiamo diversi milioni di casalinghe che sono disoccupate ma non vengono contate come tali
ma sono lì, anche se le si chiama in altro modo, quindi oltre ai cassa integrati e i bamboccioni che non compaiono da nessuna parte come disoccupati il dato italiano della disoccupazione è falsato pure dalla bassissima occupazione
io continuo a ripetere che se si calcolasse ESATTAMENTE la disoccupazione reale italiana, saremmo ai livelli della spagna, ma se nessuno lo dice allora non esiste
Producono benessere familiare ai massimi livelli. Chi ricorre ad una badante/camariera/colf/babysitter ha una perdita netta sia materiale sia soprattutto educativa/affettiva rispetto a chi può permettersi la moglie casalinga.
Purtroppo te tra le tante cose odi il concetto di famiglia, poi un giorno mi spiegherai cosa ti ha fatto tanto di male. I laicisti di sinistra sono tanto socialisti per quanto riguarda ricchezza benessere e servizi sociali quanto individualisti per tutto il resto. Magari se riusciste a trovare una via di mezzo sareste molto più in pace col mondo!
Ultima modifica di bianconero; 08-02-10 alle 23:55