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marocchesi
SHANGHAI – Eni, Enel e Generali. Il China International Corporation (Cic) conclude il suo viaggio in Italia sparando alto, anzi altissimo, con le sue richieste verso Roma. Sulle prime due, dicono gli indiscreti, potrebbe essere accontentato; sulla terza, nonostante i buoni rapporti stabiliti da tempo tra il fondo sovrano cinese e Generali, i tempi per un'intesa sembrano ancora prematuri.
D'altronde, con in tasca 300 miliardi di dollari da spendere, più altri 200 miliardi che dovrebbero arrivare in cassa entro breve, è del tutto normale cullare obiettivi ambiziosi. Se nella rete del Cic sono già caduti colossi della finanza globale del calibro di Blackstone, Morgan Stanley e Visa, nonché decine di ricchi giacimenti petroliferi e minerari sparsi in mezzo mondo, perché mai i grandi nomi dell'economia italiana dovrebbero dire di no alle suadenti proposte di Pechino? Soprattutto se sono accompagnate da un bel gruzzolo di moneta sonante?
Già perché nonostante l'alone di mistero che circonda il fondo sovrano cinese, dopo tre anni di frenetico shopping a livello planetario, un fatto ormai è certo: quando il Cic inquadra nel suo mirino una preda, non bada a spese pur di portarsela a casa. Gli sciagurati, strapagati investimenti realizzati in Blackstone e Morgan Stanley, sui quali Pechino ha accusato perdite di portafoglio pesantissime, sono a lì a dimostrarlo.
Lasciata l'Italia, Gao Xiqing, il vulcanico direttore generale del Cic (nella foto), e la sua squadra composta in gran parte dai migliori Mba cinesi di ritorno in patria dalle università americane, faranno rotta verso altri lidi. Africa, Sud America, Repubbliche Centro Asiatiche, Nord Europa, Sudest Asiatico, vale a dire su ogni pista che odora di gas, petrolio e minerali.
Dopo lo sventurato debutto nei salotti buoni dell'alta finanza americana, infatti, il Cic ha cambiato le sue strategie. Il Governo lo aveva costituito con lo scopo di allocare parte delle riserve valutarie cinesi in investimenti alternativi e più profittevoli rispetto ai titoli del Tesoro americani. Frattanto, però, la domanda di energia e di materie prime cinese è letteralmente esplosa. Così il Cic è diventato anche uno strumento per l'approvvigionamento di risorse naturali nel mondo. E dopo la terribile crisi finanziaria del 2008, il suo ruolo in questo ambito si è ulteriormente rafforzato.
Saperne di più sull'attività del braccio finanziario internazionale del Dragone è una missione impossibile. Il Cic è il fondo sovrano più giovane del pianeta, ma è anche il più ermetico sul piano della trasparenza e della comunicazione. Non è un caso che, dopo un lungo e serrato dibattito interno alla nomenklatura finanziaria cinese, sia stato costituito scegliendo come modello il Government of Singapore Investment Corporation (Gic), il fondo da 330 miliardi di dollari dell'ex colonia britannica che mantiene la massima segretezza sui propri investimenti.