Ricetta Ue: sudditanza e ultraliberismo
| Venerdi 29 Settembre 2006 - 17:16 | Marzio Paolo Rotondò |
Sono sempre meno gli strumenti di uno Stato per mantenere il controllo dei propri settori strategici dall’attacco della finanza d’assalto. La Corte di Giustizia europea con sede in Lussemburgo ha infatti decretato illegale la ‘golden share’, abolendo di fatto uno degli ultimi strumenti a difesa dell’interesse nazionale nelle grandi aziende. Si aprono così le porte all’arrembaggio degli oligarchi del profitto.
La cosiddetta ‘golden share’ consiste è una singola azione detenuta dallo Stato in una società specifica che permette a quest’ultimo di mantenere parte dell’influenza nel processo decisionale dell’impresa e quindi dirigere nelle grandi linee la sua strategia. In particolare, la golden share garantisce diritti speciali in materia di approvazione di diverse attività come l’emissione di azioni, i dividendi aumenti di capitale e ogni proposta di fusione o scalata. Questa azione privilegiata è presente in numerose aziende strategiche di tutta Europa come risposta alle forti politiche privatizzatici degli eurocrati; azioni che purtroppo mirano a smontare i beni dello stato e dei cittadini di tutta l’Ue per il bene di pochi ricchissime élite. Da oggi, però, questo meccanismo di tutela non potrà più essere utilizzato.
“D’ora in poi gli Stati potranno evitare di sprecare il loro tempo a difendere l’indifendibile”. Grazie alla sentenza della massima corte Ue nel processo contro lo Stato olandese e le sue partecipazioni privilegiate nel settore postale (Kpn) e delle telecomunicazioni (Tnt), la Commissione impugna ora un precedente per sradicare maggiormente il controllo statale nell’economia.
“Siamo molto felici per la decisione della Corte europea di giustizia - ha detto Oliver Drewes, portavoce del commissario al Mercato Interno Charlie McCreevy - in quanto conferma che la golden share non va bene alla Commissione Ue e non va bene neppure per i giudici di Lussemburgo”. Tale sentenza, ha proseguito, dimostra come “i diritti speciali detenuti dai Paesi membri in certe società non abbiano spazio nel mercato interno Ue”. Ma non solo, ha ribadito ancora Drewes, la sentenza rappresenta “un precedente importante per tutti gli altri Paesi membri da applicare a tutti i casi ancora aperti”. Tutti gli Stati dell’Unione “devono rispettare il diritto comunitario” ha concluso il portavoce.
Un altro caso rilevante pendente alla Corte Ue riguarda la legge che protegge la Volkswagen dalle scalate. Il portavoce di McCreevy ha dichiarato ieri di avere “fiducia che in questo caso si possa andare avanti in modo favorevole alla Commissione”. Bruxelles ritiene la legge del 1960 violi in principi del mercato unico, poiché conferisce diritti particolari ai poteri pubblici nella misura in cui proibiscono a ogni azionista di detenere più del 20% dei diritti di voto anche se possiede una parte di capitale superiore. Tale dispositivo ha permesso al Land della Bassa Sassonia, il solo grande azionista Volkswagen, di difendere il gruppo da scalate indesiderate.
Fra i Paesi che utilizzano l’‘azione d’oro’ figura anche l’Italia. Lo Stato italiano detiene infatti questo tipo di azione in aziende come Eni, Enel, Finmeccanica, Telecom, ed altre ancora. Per questo anche noi siamo nel mirino delle autorità di Bruxelles. A fine giugno la Commissione europea aveva rinviato l’Italia alla Corte di Giustizia per i casi dei diritti speciali derivanti dalle golden share che lo Stato detiene suddette società, considerandoli una restrizione ingiustificata della libera circolazione dei capitali ed il diritto di stabilimento. Relativamente al caso italiano, Bruxelles ritiene “che l’esercizio delle prerogative speciali previste dalla legislazione è sproporzionato per realizzare gli obiettivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica, sanità pubblica e difesa”. I criteri fissati per l’esercizio di queste prerogative, secondo Bruxelles, “sono vaghi e imprecisi in relazione al campo di applicazione e accordano alle autorità dei poteri discrezionali estesi per valutare i rischi per gli interessi vitali dello Stato”. Inoltre Bruxelles considera anche che “le preoccupazioni per l’interesse pubblico, per esempio garantire la fornitura di certi servizi d’interesse generale, avrebbero potuto essere soddisfatti con altre disposizioni meno restrittive”. Questo il punto di vista delle autorità europee.
Mentre prima Bruxelles poteva solo consigliare ai Paesi membri di far cadere le golden share, adesso detiene lo strumento legale per poter obbligare i vari governi a fare marcia indietro su quello che loro ritengono far parte dell’interesse strategico nazionale.
L’esito di questa sentenza appena emanato dalla Corte di Giustizia europea dimostra ormai in pieno quanto l’Unione europea dedichi anima e corpo per distruggere lo Stato sociale dei Paesi membri per promuovere unicamente gli interessi dei mercati e della finanza. L’Unione europea, essendo un’entità composta dai vari interessi nazionali dei singoli Stati che tutelano il benessere della popolazione, se volesse veramente tutelare i cittadini europei avrebbe un maggior occhio di riguardo per dei meccanismi che pongono un freno al profitto selvaggio delle multinazionali e delle corporation.
L’Ue, con questa sentenza, apre pericolosamente le porte all’assassino dell’interesse comune.
Marzio Paolo Rotondò