L’INCANTESIMO SI È ROTTO

- di Renzo Foa -


Per una banale ripicca l'Unione ha consumato il suo primo significativo flop parlamentare ed è riuscita a mostrare in modo plastico quanto siano pesanti le incognite sul suo immediato futuro. Per non parlare del linguaggio usato dopo la bocciatura dell'articolo 5 del ddl sulla sospensione della riforma dell'ordinamento giudiziario. Siamo molto lontani dall'alta politica. Il capogruppo dell'Italia dei valori, Nello Formisano, ha confessato che è stato «un modo per esprimere il nostro disappunto» per il mancato voto su tre emendamenti; un ministro, Clemente Mastella, ha annunciato di «essersi rotto i coglioni» (letterale) di un altro ministro, Antonio Di Pietro, e di pensare non solo ad una mozione di sfiducia ad personam, non solo a far cadere in aula ogni provvedimento del dicastero delle Infrastrutture ma perfino a «prendere atto che la maggioranza non esiste più». Una guerra civile a bassa intensità, il cui esito è stato rimesso nelle mani di Prodi. Per di più, con il risultato immediato che una delle controriforme del centrosinistra, se la Camera non riuscirà a porvi rimedio, mancherà il suo scopo e i magistrati dovranno decidere fra la funzione inquirente e la giudicante.
Si è dunque verificato il famoso incidente di cui tanto si è parlato in queste settimane, proprio pensando ai rapporti di forza esistenti in Senato. L'Unione non consuma la sua crisi su un confronto di strategie e di visioni, ma per la tensione e la rivalità esistenti tra due formazioni minori. Sarebbe comunque sbagliato non tener conto del contesto in cui è esploso il duello tra Mastella e Di Pietro.
Un contesto segnato dall'insofferenza verso il presidente del Consiglio, particolarmente visibile nell'affaire Telecom, dalla caduta verticale di popolarità del governo segnalata dai sondaggi e dal malessere provocato all'interno della stessa maggioranza da una Finanziaria che ha provocato un profondo disagio nell'intero Paese.
Un contesto - va aggiunto - in cui appare sempre più chiara la debolezza della leadership dell'Unione. C'è stata la sequela delle gaffes di Prodi, ci sono i Ds e la Margherita che pensano solo al proprio potere, ci sono i massimalisti che ricattano per imprimere sulla politica economica il segno della vendetta contro i ricchi che «devono piangere». Allora, perché dipietristi e mastelliani non devono farsi sentire?
C'è dunque una maggioranza divisa e frammentata. È riuscita per alcuni mesi a reggere in Parlamento solo nel nome della tenuta del suo potere. Da ieri l'incantesimo si è rotto. Si è frantumata la solidarietà fra alleati, che non hanno esitato a esibire un reciproco disprezzo. È svanito il senso dell'impresa comune. È stato proclamato, davanti all'opinione pubblica, che ognuno gioca per sé e che il resto non conta. Non conta il galateo politico. Non conta il senso dello Stato. Non conta il rispetto delle istituzioni. Si sono presentati con la presunzione di essere «un'Italia migliore» e con l'arroganza dei loro complessi di superiorità morale. Assomigliano ad un incubo.
C'è naturalmente da aspettarsi che l'incidente trovi una soluzione, che Prodi trovi le parole e soprattutto il contentino per risarcire Mastella, che la maggioranza trovi un compromesso per salvarsi. Il tutto in attesa di un altro incidente. Nel frattempo c'è solo da essere grati all'Udeur e all'Italia dei valori: con il loro comportamento e con il loro linguaggio ci hanno detto cos'è il centrosinistra e hanno ricordato il guaio che ci è capitato.