SANTORO EPURATO. DAL PUBBLICO di DIEGO MINONZIO
Solo due milioni di spettatori nell'ultima puntata di Annozero. Ballarò fa il doppio
Il problema è che dopo una certa età uno è responsabile non solo della propria faccia, ma anche dei propri programmi tv. C'è qualcosa di triste, di patetico, addirittura di "ingiusto" nel polveroso declino professionale di Michele Santoro, crocifisso ai reiterati flop del suo "Annozero", che dopo tanti anni di attesa giovedì sera ha rastrellato solo due milioni di spettatori e viene doppiato perfino da un epigono come "Ballarò". Uno schiaffo bruciante per uno che ai tempi d'oro di "Samarcanda", in diretta dalle catacombe antagoniste di Raitre, travolgeva la concorrenza con ascolti degni di Celentano e che da lì, durante quelle stagioni segnate dall'emergenza civile e dal crollo del "vecchio regime", muoveva le masse con il piglio del leader mediatico e il seguito di un messia. Santoro è stato un conduttore di successo, ha innovato il giornalismo televisivo con l'utilizzo delle immagini, ha scavato da mirabile demagogo tutte le crepe di un sistema politico che all'inizio degli anni Novanta iniziava a scricchiolare. Ma in questo modo, inevitabilmente - perché è così che sono fatti gli esseri umani - ha pensato di non essere più solo testimone, ma protagonista, di non dover solo registrare e commentare gli eventi, ma anche di dirigerli. Di crearli. Magari pure di abbatterli, se non gli garbavano. Insomma, ha iniziato a prendersi sul serio, dimenticando che lui - come Luttazzi, come Biagi, come la Guzzanti - era la spuma di un movimento tellurico che stava travolgendo tutto, e non certo il motore.
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