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    L'incubo americano e il nuovo mondo

    L'incubo americano e il nuovo mondo

    di Amir Madani

    Gli ambienti neocon e il loro portavoce sommo, il presidente della massima potenza mondiale J.W Bush sono in un pieno stato confusionale. Basta leggere il suo discorso sull' 11 Settembre per comprendere la profondità della confusione che investe oramai tutte le sfere dell'identità politico-culturale dei circoli neoconservatori. Gli strateghi neocon che hanno preparato il discorso del presidente Bush, chiamato “il rapporto dell' 11 Settembre dopo 5 anni” da un lato parlano di una “maggiore sicurezza” raggiunta e dall'altro continuano a provocare un' insicurezza psicologica generale per poter giustificare il perpetuarsi di quello che, nel quadro della propria letteratura politica, chiamano guerra al terrorismo. In questo quadro sono significative anche le parole di Bush nel suo discorso davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dove ha affermato: “Dovunque io volga lo sguardo vedo estremisti". Nello spazio della politica e della sicurezza degli Stati Un iti vola un uccello, e l'incubo e il sogno sono le sue due ali.

    Il filosofo Bertrand Russell nella sua critica ai neo-empiristi afferma che : “l'esperienza non è un metodo per la verifica degli enunciati ma il punto di partenza da cui nascono la conoscenza e il linguaggio” (N. Abbagnano Storia della Filosofia E.Associati volume sesto p. 365) . Quel che colpisce nei pensieri neocon e nelle parole del presidente Bush è proprio quel linguaggio, l'espressione della strategia e dell'agire neocon che non trovando minimo riscontro nella realtà ha preso la strada del mito, dell'immaginazione, della menzogna che pretende di sostituire la verità.. Lo stesso Russell nella “Teoria della Conoscenza” parla di due livelli e aspetti della conoscenza : una logica basata sui ragionamenti e sui dati di fatto e l'altra emotivo – passionale, basata sull'immaginazione e sul sogno.

    Bush, dopo aver perso contatto con la realtà logica ed evidente dei fatti e degli eventi materiali per sfuggire dall'incubo, percorre gli aridi deserti della propria immaginazione, vede il mondo come lui desidera che sia ed usa un linguaggio astratto privo di qualsiasi rapporto con la realtà materiale esterna.

    Bush nel suo discorso parla dell'Afghanistan come se tutti i piani politici della Casa Bianca, cioé dei neocon, siano stati realizzati e gli afgani, dopo il periodo buio del potere del mostro talibani, vivano in una democrazia basata su una fiorente economia. Mentre è noto a tutti che in Afghanistan continuano a infuriare sanguinose battaglie con i talibani provenienti dalle scuole deobandi (la variante afgano-pakistano-indiana del wahabismo saudita) del Pakistan del generale golpista Musharaf suo alleato nella guerra al terrorismo. Mentre il mullah Omar, secondo le parole di Karzai fiduciario Usa divenuto presidente, vive tutt'ora nella città pakistana di Quetta da dove dirige, insieme agli afgano-arabi delle zone tribali afgano- pakistane, la guerra contro il governo centrale e le forze straniere e gestisce gli ingenti proventi del narcotraffico. Secondo il linguaggio di Bush, in un Afghanistan in cui la coltivazione dell'oppio è decuplicata dopo l'arrivo de lle truppe americane e delle forze alleate, che, dopo le devastanti incursioni si devono ritirare nelle proprie basi blindate per non essere attaccate, sta trionfando la democrazia.

    Secondo l'immaginazione di Bush, anche in Iraq in piena guerra civile di stampo confessionale, dove oramai costantemente la violenza della guerra e i terrorismi di diversa provenienza annientano ogni giorno più di 100 vite civili, la democrazia sta per trionfare. Bush non vuole nemmeno leggere i rapporti di sedici agenzie di ricerca e d'intelligence americane che dicono che la guerra in Iraq ha dato nuove motivazioni agli estremisti e creato una nuova generazione di jihadisti in grado di riprodursi così rapidamente da rendere inefficace la risposta. Il movimento guidato da Al Qaeda che ha privatizzato e internazionalizzato il terrore, si è poi frantumato in realtà minori capaci di autoriprodursi. Internet con oltre cinquemila siti integralisti ha sostituito per certi aspetti i campi d'addestramento e i centri di indottrinamento. Nel rapporto riservato di 30 pagine del «National Intelligence Estimate» si afferma che sicuramente la guerra ha «peggiorato» la posi zione degli Stati Uniti nella lotta al terrore: l'invasione dell'Iraq non avvicina la vittoria. Non si capisce il rapporto di quale vittoria parlasse, ma la Casa Bianca come è oramai nella sua consuetudine contesta ogni non allineamento pieno.

    Le conclusioni dell'inchiesta commissionata dal National Intelligence Council
    segnalano che il conflitto iracheno si è trasformato in una palestra dove i “mujaheddin” non solo elaborano nuove tecniche ma le esportano con conseguenze disastrose. E' il caso dell'Afghanistan dove i talebani si sono riorganizzati lanciando attacchi simili a quelli che avvengono in Iraq. Quindi autobombe, azioni suicide, esplosivi sofisticati. In perfetta sintonia con i loro colleghi europei, gli 007 americani mettono in guardia sul ritorno dei «volontari» che si sono battuti in Iraq nei Paesi d'origine (Medio Oriente, Nord Africa, Europa).

    Bush vede in questo disastroso quadro il trionfo della sua democrazia, ascoltando quel “ dio” che gli sussurra nelle orecchie le linee delle crociate future contro l' “Asse del male” e le forze oscurantiste che minacciano la democrazia e vogliono ricostruire un califfato islamico che si estende dalla Spagna fino all'Indonesia. Il discorso dell'11 Settembre sulla scia dei precedenti discorsi come quello di 5 Ottobre del 2005 al Ronald Reagan Centre di Washington, associa le nazioni come l'Iran al terrorismo di al-Qaeda e alla sua filiale irachena, ma non parla più dell'islamofascismo. Anzi cerca di avvicinarsi ad una parte dei musulmani e tenta una comprensione con un certo islam che manifesta tentazioni di allineamento con gli interessi Usa. Tutta quest'analisi basata sull' immaginario trionfo in Afghanistan e Iraq , usa la paura in modo che possa trasformare l'11 settembre in un alibi per una guerra permanente e senza confini che “serve per la sicurezza dell' America e degli americani”. Una sicurezza che a parere dei congressmen Usa di ambedue gli schieramenti prevale sui diritti e sulle garanzie (vedi Dallo Stato di Diritto all'involuzione dell'Impero, G.Chiesa, Le Monde Diplomatique).

    Vedendo in dettaglio i connotati della sicurezza promessa e a volte – secondo Bush - ottenuta, sorge la domanda: di che tipo di sicurezza si tratta se per ottenerla è necessario scatenare guerre per giunta infinite e senza confini e abbattere i diritti civili? Tutto ha radice in quel linguaggio che spaccia la menzogna per la verità e pretende di farci credere che l'insicurezza è la sicurezza stessa. Il problema centrale di quest'amministrazione e del presidente Bush rimane, come dice Bob Woodward nel suo ultimo libro "State of Deinal", "il fallimento nel dire la verità".

    Lo stesso Bush nel suo discorso ad Atlanta pone la domanda: molti americani guardano a questi eventi e si chiedono: a cinque anni dopo l'11 settembre siamo più sicuri? Secondo le parole di Bush la risposta è questa: sì, l'America oggi è più sicura. Bush si chiede anche: cos'è la sicurezza? Con quale parametro viene valutata? La sicurezza viene raggiunta con maggiore uso del potere? Visto l'agire dell'amministrazione Bush ovviamente la sicurezza viene raggiunta effettivamente con maggiore uso della forza, scatenando guerre, limitando e annientando ogni garanzie giuridica: sul piano interno basta vedere il Patriot Act e leggi affini e sul piano internazionale prendere in considerazione l'arbitrio che domina il comportamento dei militari Usa inventori del disonore di Abu Ghraib e di carceri segreti a Kabul e vedere l'assenza di ogni norma giuridica a Guantanamo e nei guantanamo express …..

    L'Afghanistan è un caso sul quale l'immaginazione di Bush si basa, ne parla ripetutamente e perciò necessita una ripetizione anche da parte nostra . Nell'immaginario di Bush, l'Afghanistan non è un caso di guerra di penetrazione a scopo di dominio per mettere le mani su quel che Nixon già nel 1972 aveva definito “la chiave d'oro dell'Asia Centrale”, fonte quasi vergine di risorse di ogni genere, ma una democrazia dove la gente ha votato e esiste un simulacro di parlamento - Loya Jirgah –. L'Afghanistan non gli appare come un paese povero dove sono presenti, oltre lo stesso esercito Usa, altri 20.000 militari di 37 nazioni del mondo Bush neanche si è domandato: se c'è la democrazia in Afghanistan tutte quelle forze militari cosa ci stanno a fare? A costruire il consenso democratico con le baionette ? Bush non dice che Karzai (del quale Tom Franks, comandante militare Usa nel medio oriente aveva detto: " l'avevamo adocchiato già nel 1995-96 " per fargli fare il futuro presidente) per fare un viaggio a Teheran deve aspettare affinché il permesso gli arrivi dalla Casa Bianca. Un Karzai che non sembrando più sufficiente dovrebbe essere sostituito da Zalmay Khalilzad (nuovo simbolo del servitore dell'era globale: afgano e cittadino Usa, ex ambasciatore Usa a Kabul che ha sostituito John Negroponte come ambasciatore in Iraq). La realtà rimane ben diversa dall'immaginazione di Bush : l'Afghanistan è una terra martoriata dove prosperano i signori della guerra insieme ai narcotrafficanti e i guerrieri talibani insieme agli afgano-arabi provenienti da 25 paesi arabi e musulmani che ebbero il sostegno della Cia negli anni 80 per combattere i sovietici. (Mohammad ‘Ajam “passo per passo dietro Bin Ladin Asharq Alawsat ) . Newsweek International Edition ( Oct. 2, 2006 issue) .

    In un editoriale dal titolo “The Rise of Jihadistan” a firma di Ron Moreau, Sami Yousafzai and Michael Hirsh si legge: “ 5 anni dopo l'invasione dell'Afghanistan i talibani stanno combattendo duramente …vengono fuori i santuari dove i leaders di al-Qaeda possono operare liberamente” Gli stessi autori si chiedono se dopo 5 anni la vittoria Usa si stia trasformando in una sconfitta. E' alla luce di questa dramma che il generale italiano Fabio Mini realisticamente chiede che il mandato Onu delle forze Isaf venga ridiscusso (Fabio Mini Megachip intervista di Salvatore Scaglione).

    Al vertice del G8 quando Bush ha chiesto a Putin di rispettare la democrazia auspicando che “in Russia ci fosse una democrazia come in Iraq”, Putin, rispondendo che in “Russia non vogliamo una democrazia modello iracheno” ha provocato le risate dei giornalisti presenti. L'immaginazione di Bush è basata sull'incubo di una realtà drammatica che perpetua l'insicurezza. Ovviamente quando manca la sicurezza tutti gli altri fattori diventano pure questioni formali.

    La verità è che gli Stati Uniti dei neocon non hanno avuto nessuna vittoria significativa neanche militare, la schiacciante superiorità non si è trasformata in una vittoria militare, tanto meno in una vittoria politica, né in una impossibile vittoria culturale di fronte a popoli di antiche tradizioni civili. Nell'Iraq di oggi c'è una insicurezza generale, dove la violenza visibile degli invasori è accompagnata dalla violenza invisibile dei terroristi e i cittadini sono più terrorizzati di prima, quando sotto il dittatore Saddam non esisteva democrazia. In Iraq l'amministrazione Bush ha voluto trasformare in agire politico- militare il pensiero di Bernard Lewis che aveva affermato: i musulmani sono il “popolo malato” che va curato con la somministrazione di una grande dose di democrazia. Questa “democrazia imposta” come è noto è la negazione di un reale processo democratico che dipende dai fattori interni e da dinamiche endemiche. Nel 1961, J.F Kenedy aveva sos tenuto che “ il mondo del futuro non è un mondo filoamericano. La pace o è per tutti o per nessuno”. Infatti a causa della politica dell'amministrazione Bush nel determinare l'insicurezza generale su tutte le sfere, in Iraq come nel resto del Medio Oriente, anche i più moderati si arroccano culturalmente e la chiusura all'America e ai suoi valori diventa totale. La “sicurezza culturale” diventa il cardine dell'atteggiamento dei popoli di antiche tradizioni civili e culturali.

    I neocon continuano a non capire che in Iraq come nel resto del Medio Oriente insieme alla democrazia c'è anche una forte domanda di “sicurezza culturale” che rifiuta imposizioni provenienti dall'esterno.

    Bush e il suo staff neocon, sostenuti dall'establishment, continuano a vivere nel proprio mondo immaginario usando un linguaggio di stampo neorwelliano e invece di studiare le cause dei propri insuccessi continuano a parlare di “ scontro della civiltà” prospettando altre guerre per la “civiltà”, guerre globali senza confini che determineranno maggiore insicurezza per l'intera collettività. La realtà è che gli Usa dei neocon, dopo 5 anni di guerre combattute e promesse, hanno accumulato una serie di insuccessi perdendo ogni credibilità. La popolarità di Bush è in caduta libera : dal 90% del Settembre 2001, Bush è arrivato a 30% del Settembre 2006. Gli alleati europei di Bush come Aznar e Berlusconi sono stati puniti dagli elettori. Blair che sempre ha sognato un' Europa subalterna agli interessi Usa è in difficoltà e costretto a promettere e indicare una data per uscire dalla scena. Personaggi come Fukuyama hanno cominciato a pensare al dopo neocon.

    La dinamica dei fatti fa capire che gestire il mondo unilateralmente e in nome della democrazia con l'uso della forza secondo gli interessi politici-economici di minoranze esigue non è possibile. Se l'America neocon pensa che sua sicurezza dipenda dalla diffusione della democrazia deve semplicemente riconoscere le potenzialità e caratteristiche di democrazie altrui e rispettarle.

    Se Bush e gli strateghi neocon passassero per un attimo dall'immaginazione alla realtà potrebbero capire ( ci sono seri dubbi: non sulla capacità di capire ma sulla volontà di capire) che la promozione della democrazia formale e la non accettazione ed il rifiuto delle culture e delle tradizioni civili autoctone, potenziali generatrici della possibile democrazia sono due strategie antagoniste. I neocon intenzionalmente e secondo precisi pensieri e piani hanno pensato e agito per un mondo secondo il loro copione dove in nome del free trade vengono favoriti grandi gruppi (1) e con l'abbattimento delle sovranità nazionali e delle barriere doganali si allargano i mercati e nell'ambito delle democrazie formali, dove i diritti limitati diventano de facto delle concessioni, i cittadini apparentemente liberi diventano servitori – consumatori . Nel quadro di questa logica l'assimilazione culturale tende ad annientare le varietà e diversità negando l'identità autoctone. E come è noto l'identità negata ricorre alla tradizione e nel caso estremo all'istinto abbandonando del tutto la ragione.

    Il risultato della politica dell'amministrazione Bush infatti è un mondo in disordine . E' un incubo che Bush nel suo immaginario considera una vittoria. La verità è questa che dietro la realtà dell'incubo Usa c'è il sogno di un altro mondo. Un mondo in genesi che sta per sorgere sulle ceneri dei neocon .



    NOTE
    (1) When people think of fascism, they imagine Rows of goose-stepping storm troopers and puffy-chested dictators. What they don't see is the economic and political process that leads to the nightmare. A warning, by O bserving political and economic discourse in North America since the 1970s leads to an inescapable conclusion: The vast bulk of legislative activity favours the interests of large commercial enterprises. Big business is very well off, and successive Canadian and U.S. governments, of whatever political stripe, have made this their primary objective for at least the past 25 years.

    Digging deeper into 20th century history, one finds the exaltation of big business at the expense of the citizen was a central characteristic of government policy in Germany and Italy in the years before those countries were chewed to bits and spat out by fascism. Fascist dictatorships were borne to power in each of these countries by big business, and they served the interests of big business with remarkable ferocity.

    These facts have been lost to the popular consciousness in North America . Fascism could therefore return to us, and we will not even recognize it. Indeed, Huey Long, one of America 's most brilliant and most corrupt politicians, was once asked if America would ever see fascism. "Yes," he replied, "but we will call it anti-fascism."

    (Nov. 27, 2005. 01:00 AM Paul Bigioni Toronto Star) .
    Ibrahim

  2. #2
    Ashmael
    Ospite

    Predefinito

    I neocon faranno una brutta fine...finiranno sotto processo, processati dal Popolo Americano che hanno imbrogliato.

 

 

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