Originariamente Scritto da
mustang
di VITTORIO FELTRI
Al Senato, governo ko per due volte. Lo soccorrono 28 assenti della Cdl. Ecco i loro nomi.
Ogni domenica, quando entro al bar del mio paese, Ponteranica, inizio Valbrembana, il solito gruppetto di avventori, che ormai mi piace definire amici, mi domanda con una punta di ironia: allora, quando ce la facciamo a mandare via quella gente lì? Ovvio, quella gente lì è Romano Prodi e i suoi ministri.
Ed io da mesi rispondo allo stesso modo: devono trascorrere due anni sei mesi e un giorno di legislatura; poi si potrà sperare di licenziare la banda. I miei simpatici interlocutori, per lo più leghisti, scoppiano a ridere.
Già, hanno imparato a memoria la lezioncina: i signori parlamentari per avere diritto alla pensione (cosa alla quale tengono più che ad ogni altra, comprese la fede e l'idea), devono aver maturato il minimo di anzianità ossia due anni sei mesi e un giorno.
Ecco perché non vogliono andarsene in anticipo: perderebbero il privilegio di un assegno mensile tuttaltro che disprezzabile.
Molti non credono a questa storia della ricca quiescenza come collante fra lo scranno e le chiappe di deputati e senatori. Sbagliano. Perché esistono prove inoppugnabili. Inoltre, l'interruzione anticipata della legislatura comporta altri problemi finanziari, per esempio le spese derivanti da una nuova campagna elettorale, come sempre, dall'esito incerto.
Quindi cari lettori non sottovalutate le mie considerazioni, diciamolo pure, un po' qualunquiste.
Basta vedere quello che è successo ieri in Senato ben due volte. Si trattava di affrontare col voto due questioni: una Nota di aggiornamento al Dpef (documento di programmazione economico-finanziaria) e un decreto sui rimborsi dell'Iva, provvedimenti ritenuti fondamentali dalla Unione. Anche gli asini sono consapevoli che il centrosinistra a Palazzo Madama conta su un paio di seggi in più rispetto all'opposizione. Dunque era l'occasione buona per dare una spallata ai prodiani e sbatterli giù. Manco per niente. Diciotto illustri rappresentanti della Casa delle libertà al momento di esprimere la loro volontà sul Dpef sono risultati assenti, sicché non è stato possibile battere il governo anche se, nella circostanza, era più debole dei suoi avversari.
Stessa scena, qualche ora dopo, sul decreto Iva. Un numero scientificamente calcolato di deputati è sparito dall'aula e Prodi si è salvato. Che significa questo? È evidente. C'è un accordo fra pistola di sinistra e pistola di destra onde tenere in piedi l'esecutivo quando è in procinto di crollare.
Se non fosse così - numeri alla mano - il Professore ieri si sarebbe fratturato lo scheletro in due occasioni. Se non è accaduto è solo perché un plotone di mascalzoni d'opposizione ha bigiato per i motivi che sappiamo: garantire la sopravvivenza della legislatura, quindi assicurarsi la pensione e non spendere un capitale per affrontare le spese di una nuova campagna elettorale a pochi mesi dall'ultima elezione. Fra gli assenti alcuni saranno giustificati. Alcuni. Ma non tutti e 28. Sappiamo, uno è malato da tempo. E gli altri? Pensare che la parola d'ordine di Berlusconi era una: opposizione dura e pura. Figuriamoci. Se disubbidiscono anche a lui per leccare le terga a Prodi siamo messi male. Non ci dimenticheremo di loro e del loro cattivo comportamento: pregheremo i nostri lettori, che sono parecchi, di non votarli più.
Eccoli.
Forza Italia: Maria Burani Procaccini, Marcello Dell'Utri, Niccolò Ghedini, Luigi Grillo, Michele Iorio, Pietro Lunardi, Guido Ziccone.
Per An mancavano Giovanni Collino (in Aula tutto il giorno, in quel momento alla sede del partito), Cesare Cursi, Domenico Gramazio, Alfredo Mantovano, Maurizio Saia, Gustavo Selva.
Per l'Udc risultavano assenti Mario Baccini, Antonio De Poli, Giuseppe Naro e, come da qualche tempo a causa di un problema di salute, Lorenzo Nedo Poli. Non ha votato nemmeno Gianfranco Rotondi, leader della Nuova Dc.
Con quattordici presenti in più, la Finanziaria dell'Ulivo sarebbe stata in grande difficoltà.
saluti