Una palude infida peggiore dell’Irak


• da La Repubblica del 16 ottobre 2006, pag. 1


di Renzo Guolo

Ancora nessuna rivendicazione per il rapimento di Gabriele Torsello. I Taliban smentiscono il sequestro e affermano che il reporter italiano ha buoni rapporti con loro. Rapporti che gli hanno aperto le porte di Musa Qala, teatro di una battaglia tra guerriglieri e forze britanniche. Scontro durissimo e che i Taliban, passati dall'arcaismo tribale del Mullah Omar all'ammirazione per la strategia mediatica di Al Qaeda costruita da "Azzam l'Americano", vogliono mostrare: al mondo islamico perché sappia dell'efficacia della loro resistenza", agli occidentali perche guardino in faccia il pericolo.



Il freelance italiano potrebbe essere in mano a uno dei tanti gruppi di taglieggiatori che infestano il sud, in particolare la provincia di Helmand e la zona di Kandahar, una zona difficile, dove la vita di un occidentale, tanto più cittadino di un paese che ha forze militari in loco, si misura sull’entità del possibile riscatto.



Il rapimento è, comunque, l'ennesimo sintomo di una situazione fuori controllo. A cinque anni dalla caduta dell'emirato del Mullah Omar, il paese non è stabilizzato. Il governo Karzai controlla, con difficoltà, solo la capitale Kabul. I Taliban si sono riorganizzati: tanto che, secondo l'intelligence americana, la situazione in Afghanistan è persino peggiore di quella in Iraq. Gli uomini di Al Qaeda vanno e vengono dai porosi confini pakistani nella regione di nordovest, lungo i quali potrebbe, ciclicamente nascondersi lo stesso Bin Laden, che i Taliban affermano essere vivo.



A loro volta i "signori della guerra, potenti feudatari locali che controllano vaste parti del territorio, hanno visto crescere la loro influenza. Impongono il “pizzo” sui traffici che transitano nelle loro zone e incoraggiano le colture dell'oppio. Per dare sostentamento ai contadini che vivono nelle loro aree d'influenza ma anche perché, dalla raffinazione e dallo smercio dell'oppio, traggono denaro per finanziare i loro eserciti privati. Così come fanno anche i Taliban che, nelle zone sotto loro controllo, lasciano ora coltivare il papavero ed esportare l'oppio in cambio di "tasse di finanziamento. Il tempo in cui la loro polizia religiosa bruciava nei roghi i "demoniaci" raccolti del fiore rosso semhrano lontani.



Guidati più che dal Mullah Omar, dal suo braccio operativo, Dadullah, i Taliban attaccano con sempre maggiore frequenza le forze Isaf. Mescolando le classiche tecniche di guerriglia, ad altre che segnano una progressiva irachizzazione del conflitto. Come testimonia il crescente numero di attentati suicidi, passati da uno nel 2002 ai quarantatré nei soli primi otto mesi del 2006. Segno che l'ideologia qaedista è riuscita a penetrare nella mentalità locale, non certo estranea alla vertigine della guerra ma refrattaria, sino a qualche tempo fa, a legittimare il "martirio" suicida come strumento del jihad, cui preferiva lo scontro aperto con "l'infedele".



Irachizzazione visibile anche nell'uso di ied, gli ordigni esplosivi improvvisati, facilmente confezionabili in un paese che affonda di materiale hellico, e nell'impiego di automobile. All'inizio dell'estate l'Isaf ha avviato un'offensiva a sud: ma il fronte e difficile. Nel “Paese dei monti" i Taliban si muovono come pesci nell'acqua, e lasciano le truppe Isaf a presidiare immensi spazi vuoti. Ci vorrebbero più forze, ma gli americani hanno spostato molti dei loro effettivi in Iraq, dove la battaglia mai proclamata, ma non di meno in corso, per il controllo di Bagdad, rischia di diventare decisiva non solo per le elezioni di midterm ma per le stesso esito delle lontane presidenziali e i membri della Nato sono restii a fornirli. Non solo per le possibili reazioni negative delle proprie opinioni pubbliche ma perché l'intera strategia di nation building in Afghanistan, così come in Iraq, andrebbe rivisita, mentre è ostaggio delle passate, errate, scelte.



Intanto l'inverno è alle porte, e gli "studenti di teologia", chini sulle loro armi più che sui commentari coranici, si preparano a trascorrere un lungo inverno ristoratore.