Questo documento, proposto in molte sedi regionali per la richiesta di delegati, illustra i temi che verranno riassunti in una mozione congressuale, di prossima pubblicazione.
Documento per il Congresso del MRE del 21-22 ottobre 2006
Unità a sinistra dei repubblicani
per dare forza alle nostre scelte
Fino a ieri tutta la politica del Movimento si è votata ad una leale abnegazione nei confronti dell’Ulivo e del suo fondatore. Una consegna totale, che ha scommesso su questo progetto ad occhi chiusi, senza soppesare con sufficiente accortezza rischi e alternative, svantaggi e possibilità.
All’Ulivo, e al successivo percorso del Partito Democratico si è creduto per tanti motivi. Si credeva nel progetto in sé; si credeva nella possibilità di fecondarlo di una politica repubblicana; si credeva nell’opportunità, per i repubblicani, di evolvere la propria esperienza in un contenitore più ampio; si credeva di potervi mascherare la nostra reale consistenza; si credeva inoltre nelle promesse, a suo tempo ricevute, di avere considerazione, spazio e rappresentanza nella politica italiana, e un ruolo dignitoso nella compagine del nuovo governo.
Sulla carta, questa prospettiva appariva allettante, e per questo è stata presentata come ineluttabile, come la sola via possibile, come il nostro unico, imprescindibile orizzonte.
Sull’altare di questa scelta è stato immolato tutto: la cura di rapporti proficui con altri partiti; la ricerca convinta di un percorso unitario tra tutta la diaspora repubblicana di centrosinistra; lo sviluppo di tematiche qualificanti e innovative, capaci di dare spessore e specificità alla nostra proposta; l’impegno sulle battaglie di laicità che hanno tenuto banco sulla scena politica; il tradizionale ruolo di pungolo e di “alleato scomodo ma utile” che ha sempre definito il modo di essere repubblicano; la composizione di un movimento più aperto al confronto interno, in favore invece di un assetto granitico e assenziente (irrobustito dalla selezione di un gruppo dirigente di “fedelissimi” e dalle periodiche cooptazioni in Consiglio Nazionale); la ricerca di un consenso da guadagnare sul campo, soppiantata dalla scorciatoia di acquisire parlamentari e rappresentanti esterni, che desse subito la sensazione di poter contare agli occhi degli alleati.
Questa strada e questo metodo sono stati intrapresi in modo deciso, a volte anche discutibile e spregiudicato, causando una distorsione del movimento, una sua insalubre evoluzione, un depotenziamento intrinseco: si è in sostanza costruito quello che molti hanno definito un “comitato elettorale”, uno strumento di potere, una scatola vuota per far fruttare una rendita di posizione.
Ma l’obiettivo era ambizioso, e rispondeva sempre all’interesse superiore: il riscatto del Mre nell’Ulivo e nel futuro governo.
Questo cammino è proseguito anche quando gli eventi e i segnali esterni hanno manifestato i primi chiari sintomi avversi: lo Sdi esce dall’Ulivo, gli alleati ci chiudono la porta, il tanto sospirato ministero si allontana. Si è tirato dritto ancora: a gennaio un congresso straordinario ha voluto rilanciare la stessa politica, lo stesso metodo, le stesse vane speranze, ignorando qualunque altra proposta alternativa, facendo affidamento su flebili riaperture di rito, estorte con insistenza a Prodi e Fassino e concesse in modo ambiguo e poco convinto.
Così l’appuntamento elettorale si è rivelato come l’imbocco di un vicolo cieco. Ci siamo arrivati in condizioni di estremo disagio: appena tollerati dall’Ulivo, con accordi risicati e ridotti ai minimi termini; con tanta terra bruciata attorno nei confronti degli altri possibili alleati; e senza gli strumenti adatti per fronteggiare sulle nostre gambe un impegno così gravoso.
Risultato, le politiche hanno consentito l’elezione di un solo deputato alla Camera sotto le fila dell’Ulivo, mentre al Senato, inaspettatamente obbligati a misurarci da soli, abbiamo ottenuto un risultato risibile: 0,15%. Cioè la certificazione dell’irrilevanza assoluta.
I nodi sono dunque venuti al pettine. Ai vertici del movimento sono cominciate rese dei conti e defezioni, alimentate anche dagli appetiti disattesi dei molti che, attraverso questo piccolo movimento, avevano pensato di balzare agli onori parlamentari o di governo. Mentre fra i militanti, l’insuccesso elettorale ha diffuso lo scoramento, frustrato l’impegno politico e favorito il distacco.
Ma le conseguenze sono arrivate anche da fuori: gli alleati dell’Ulivo hanno trovato il pretesto che cercavano per escludere questo esiguo partito che pretende senza aver niente da dare in cambio. Ci hanno emarginato dalla costruzione del Partito Democratico ed estromesso da ogni incarico di governo: se si considera che i membri dell’esecutivo sono 102, e che di questi non ne è stato riservato nessuno ai repubblicani, si comprende come, accanto alla valutazione politica, sia anche maturata una sorta di perfida ritorsione nei nostri confronti, a riscatto delle credenziali fin troppo generose che ci erano state concesse in principio.
A tutto questo si aggiunge, poi, la reazione scomposta del nostro segretario, che ha tenuto banco per giorni sui media nazionali, lamentando la mancata poltrona, manifestando il proprio sgomento, raccontando pietosi retroscena, e spingendosi ad affermazioni avventate e inopportune circa le ragioni dei repubblicani che hanno scelto la destra. Un comportamento umanamente comprensibile, ma politicamente inaccettabile, poiché ha relegato la nostra già precaria realtà nel girone dei questuanti, per giunta armati di pretenziosa arroganza. Un’immagine poco edificante e affatto dignitosa, agli occhi di qualunque osservatore, oltre che dei militanti stessi.
Oggi dunque, ci ritroviamo ad un passo dalla scomparsa. Elettoralmente consunti e politicamente debilitati, appesi all’esilissimo filo del Partito Democratico e al momento privi di qualunque altra via d’uscita.
Alla luce di questo fallimento, occorre dunque interrogarsi sulle strategie che ci consentano di ripartire.
E in questo senso è indispensabile che il Congresso di ottobre sia davvero l’occasione di un dibattito ampio, sincero, aperto, anche duro.
Purtroppo le premesse non fanno ben sperare: si registra infatti con estrema contrarietà che il programma congressuale che è stato predisposto non risponde a questa imprescindibile urgenza. Le due giornate sono infarcite di troppi interventi tematici prestabiliti, che lo configurano come un ibrido tra un convegno e un congresso politico, e intasano la discussione, riducendo gli spazi del confronto. Questo congresso non dev’essere una passerella di personalità. Non ci serve questo, né ci interessa. Occorre soprattutto discutere e confrontare proposte, approfondirle, giudicarle e votarle.
Ci uniamo pertanto alla richiesta, già pervenuta dall’assemblea di Brescia del 23 settembre, di rinunciare alle dissertazioni programmatico-culturali in favore di contributi scritti, per lasciare tutto il tempo disponibile al dibattito.
Inoltre scopriamo che, a una settimana dal congresso, un nuovo regolamento è stato approvato in sostituzione di quello diffuso in precedenza, con norme estremamente restrittive e vincolanti circa la presentazione di mozioni alternative. Una soluzione che mette in ombra le più elementari regole del confronto democratico interno, e mette in luce la debolezza dell'attuale segreteria.
Dunque, quale strada proponiamo per il futuro?
A noi il Partito Democratico interessa nella misura in cui concorre a costituirlo, con pari dignità politica, una terza gamba laica. Noi rappresentiamo un’anima laica e liberaldemocratica, potenzialmente utile a fare da cuscinetto fra la tradizione socialista e quella cattolica. Possiamo contribuire con efficacia a questo processo, ma solo a due condizioni: da un lato se saremo in grado di rappresentare un interlocutore serio, con un valore aggiunto reale non solo in termini numerici, ma anche programmatici; dall’altro se i partiti maggiori vorranno concederci questo spazio.
Oggi mancano entrambe queste condizioni.
Da parte nostra, è impensabile accreditare uno 0,15% alla stregua di “terza gamba”, e una nostra adesione al progetto in questo stato si configura come un mero scioglimento infruttuoso nel nuovo contenitore. Condizione che può allettare soltanto chi ambisce a spendere quel poco che resta per proprio conto, e non chi, come noi, ritiene che la tradizione repubblicana debba continuare a vivere in questo progetto con dignità e influenza.
Da parte dei partiti maggiori, invece, registriamo due fattori negativi oggettivi.
Il primo è che gli alleati ci hanno tenuti ai margini di questo progetto, ci hanno maltollerati e spesso snobbati. Offesi ed umiliati. La mancata considerazione del Mre al recente convegno di Orvieto ne è l’ennesima prova, quella definitiva. Si può anche credere in un progetto, ma se i contraenti non lasciano spazio, anche perché non abbiamo la forza per farvi fronte, la partita è chiusa. Insistere, significa esporsi a continue, logoranti e fatali sconfitte.
Il secondo è che il Partito Democratico si sta configurando non tanto come un soggetto nuovo, aperto alla società, innovatore nel panorama politico italiano ed europeo, ma sempre più come un accordo bilaterale tra Ds e Margherita. Cosa che da un lato lo rende un ibrido improbabile, destinato a lasciare aperti nuovi spazi nella politica italiana del centrosinistra, dall’altro ne rende molto più dilatati e incerti gli esiti positivi, come dimostra l’annosa, quanto cruciale questione del collocamento nel Parlamento Europeo e la scissione in atto nei Ds.
In attesa di comprendere le evoluzioni di questo processo occorre prendere atto che un partito come il nostro, che vale ufficialmente meno di due punti decimali, così com’è non è spendibile per un progetto di queste proporzioni. E lo è a fatica per qualunque altro progetto. Dobbiamo dunque pensare a crescere e a rilanciare una nostra proposta. Guardando anzitutto a noi stessi e al nostro ambiente.
Esiste tutta una diaspora repubblicana, a sinistra e non solo, che si ritrova sulla stessa barca, nelle stesse condizioni di frustrazione e di debolezza. Una diaspora che sta già dimostrando di voler dialogare in senso unitario, superando ogni steccato.
Dobbiamo ripartire da qui. Lavorando ad un recupero di tutte le anime repubblicane, a cominciare dal centrosinistra. Costruendo un’aggregazione tra simili che riassorba qualunque concorrenza, qualunque dualismo, qualunque dispersione del consenso: ci sono bacini territoriali di importanza fondamentale da coagulare; ci sono risorse intellettuali da mettere insieme e valorizzare; ci sono forze vive potenziali in grado di mobilitarsi; ci sono decine di migliaia di elettori rimasti “in sonno”, da recuperare alla causa chiudendo con le vicende passate.
Dobbiamo ricostruire l’unità delle forze repubblicane nel centrosinistra, rilanciandoci come forza coesa e autorevole.
E contestualmente, dobbiamo elaborare nuove tematiche condivise, in grado di sostanziare la nostra proposta politica, di attualizzarla, di intercettare un segmento elettorale moderato, ma d’avanguardia. Cioè quel segmento che è sempre stato attento e sensibile al nostro ruolo. La laicità dello Stato, la politica energetica, la ricerca scientifica, la politica europea, le nuove sfide della società multietnica sono solo alcune delle questioni su cui possiamo costruire una nostra politica di progresso.
Il 30 settembre è nata un’associazione trasversale e transpartitica che raduna, tra gli altri, militanti dei Repubblicani Europei, della Sinistra Repubblicana, dei Repubblicani Democratici, della corrente del PRI “Riscossa Repubblicana”. Dobbiamo sostenere e aderire a questo progetto, farlo nostro, concorrere al suo successo, per pesare di più e ripensarci insieme.
Se non partiamo da questo, siamo destinati a cronicizzare la nostra debolezza, e a scomparire.
Chiediamo dunque:
- che il Movimento rimetta al centro la priorità unitaria a sinistra tra i repubblicani, quale precondizione per dare al nostro filone dignità e peso nelle scelte future;
- che si rinunci, anche in nome di quest’obiettivo, a impegnare nelle condizioni odierne il movimento sulla strada del Partito Democratico, fino a quando non sia garantita la nostra capacità di incidenza e la chiara disponibilità dei contraenti ad accoglierci in maniera politicamente (sia pure non numericamente) paritaria;
- che il Movimento si adoperi per curare e ravvivare con maggiore impegno rispetto al passato, qualunque canale di dialogo e collaborazione con le altre forze laiche e liberaldemocratiche del centrosinistra, a partire da quelle che si riconoscono nel gruppo europeo dell’ELDR, affinché non sia preclusa nessuna altra possibile strada alternativa, nel caso in cui il Partito Democratico non decollasse o non ci vedesse partecipi.
Contestualmente a questo, ci aspettiamo un rinnovo radicale degli organi dirigenti del movimento, affinché si cominci a dare un concreto segnale di cambiamento, e si possa disporre di nuove risorse capaci di conferire uno slancio diverso alla nostra politica.
Paolo Arsena
Sergio Giardini
Pasquale Caterisano
Giancarlo Bernabei
Aurelio Vita
Giacomo Cattini
Martino Bianchi
Antonina Giammarinaro
Vincenzo Giammarinaro
Paolo Garuti
Marina Mancinelli
Anna Guirreri