Il manifesto del senatore nero spiega alla sinistra che su sicurezza e fede sta sbagliando tutto

New York. Il manifesto politico di Barack Obama, il senatore nero dell’Illinois, è arrivato ieri mattina sugli scaffali di tutte le librerie americane sotto forma di un saggio di 376 pagine dal titolo “The Audacity of Hope - Thoughts on reclaiming the american dream”. “L’audacia della speranza” è lo slogan del suo acclamato discorso pronunciato alla convention democratica del 2004, il giorno in cui Barack Obama, dal niente, è diventato una stella nazionale e il politico più “hot” d’America.
Obama – 45 anni, padre keniota e madre del Kansas, infanzia trascorsa prima in Indonesia, poi alle Hawaii – è apprezzato a sinistra come a destra, cosa che capita molto di rado di questi tempi.
I giornali lo coccolano come se fosse il nuovo Bob Kennedy, Bush lo invita alla Casa Bianca e gli dà consigli per il futuro, la gente ne va matta.
Ogni sua apparizione pubblica diventa un evento, anzi “l’evento”, perché tutti vogliono vedere, conoscere e stringere la mano al prossimo prim presidente nero degli Stati Uniti, malgrado sia altamente improbabile che Obama si candidi alla Casa Bianca nel 2008.
L’unico dubbio è il suo essere troppo perfetto per essere vero: nero del midwest, di bell’aspetto, alla mano, di sinistra ma moderato, attento ai valori conservatori, bipartisan, grande comunicatore eccetera eccetera.
Qualcuno avanza il sospetto che, in realtà, l’innamoramento nei suoi confronti sia dovuto al fatto che Obama è il nero che piace ai bianchi, l’afroamericano di cui i white anglo-saxon protestant hanno disperato bisogno per poter superare il complesso di colpa per la segregazione e la discriminazione del passato.
Il libro era atteso perché, per la prima volta, Obama avrebbe elaborato il suo pensiero sulle questioni di politica estera e di sicurezza nazionale, quelle necessarie a capire se un politico, specie se democratico, abbia statura presidenziale.
Obama è contrario alla guerra in Iraq, ma riconosce che il jihad islamico sia un nemico serio: “Dobbiamo cominciare col dire che gli Stati Uniti, così come tutte le nazioni sovrane, hanno il diritto unilaterale di difendersi da attacchi”.
Obama scrive che è preferibile e più conveniente farlo insieme con gli alleati,
“ma questo non vuol dire che il Consiglio di sicurezza dell’Onu debba avere un veto sulle nostre azioni”.
La politica estera e di sicurezza elaborata da Barack Obama nel suo libro ha echi kennediani, clintoniani e, per certi versi, non distantissimi dalla dottrina bushiana elaborata dopo l’11 settembre: “La nostra immediata sicurezza non può essere tenuta in ostaggio dal desiderio di ottenere un consenso internazionale. Se dobbiamo andare da soli, il popolo americano sarà pronto a pagare ogni prezzo e sopportare ogni fardello per proteggere il suo paese”.
Obama è d’accordo con l’idea bushiana che esista un desiderio universale di libertà, ma è scettico sull’ipotesi di imporre la democrazia sulla punta della baionetta.
Obama parla con tutti, prova a essere amico di tutti e a trovare ciò che c’è di buono nell’uno e nell’altro partito, evitando gli isterismi e i radicalismi tipici dell’una e dell’altra parte politica e con la preoccupazione di dover scegliere bene le parole in modo da apparire “presidenziale”.
Agli elettori del Partito democratico e agli editorialisti liberal – convinti che con Bush al timone di comando, l’America stia vivendo il momento politico peggiore della sua storia, quasi una forma strisciante di fascismo – Obama ricorda gli internamenti degli americani di origine giapponese ai tempi del democratico Roosevelt e molti altri episodi della storia bicentenaria americana che, se possibile, hanno creato una situazione politica peggiore di quella attuale.
Obama critica chi “in base ai propri gusti, considera responsabili dell’attuale situazione il conservatorismo radicale o l’estremismo liberal, Tom DeLay o Nancy Pelosi, le aziende petrolifere o gli avvocati civili, i fondamentalisti religiosi o i militanti gay, Fox News o il New York Times”. E sebbene Obama riconosca maggiore validità alle tesi del New York Times rispetto a quelle della Fox, il solo fatto di aver paragonato il tempio del liberalismo alla tv di Murdoch può essere considerata un’eresia.
Obama, peraltro, crede che Bush sia una persona perbene, malgrado spesso, a cominciare dall’Iraq, non sia d’accordo con lui:
“Bush e chi lo circonda sono come noi, posseggono un misto di virtù e di vizi esattamente come noi”.
Al ruolo pubblico della religione, Obama dedica un paio di capitoli.
La tesi rispecchia il discorso di questa estate:
“I laici sbagliano a chiedere ai credenti di mettere da parte la religione se entrano in politica. E’ un’assurdità, la nostra legge è per definizione la codificazione della morale, gran parte della quale è radicata nella tradizione giudaico-cristiana”.

Christian Rocca su il Foglio del 19 ottobre

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