Riceviamo da Anselmo Gusperti
CATASTO AI COMUNI
La Finanziaria, con i documenti di riferimento, segnerà il passaggio del catasto ai comuni, con una delega per la revisione del sistema su base patrimoniale. La motivazione ufficiale, sempre sbandierata tanto da venire inserita nel testo legislativo, è semplice: perequazione, superamento di estimi non rispondenti al vero, equità, trasparenza, qualità. Sarà. Tali splendide parole cozzano contro un elemento di fatto, addirittura storico: il catasto sorse nazionale proprio per esigenze di perequazione, per superare i precedenti e difformi catasti preunitari. Affidare ai comuni competenze in materia catastale significa eliminare l’unità, una volta e mezzo secolare, del catasto.
Accettiamo, tuttavia, per buone le considerazioni addotte a sostegno del passaggio di competenze che oggi il Governo intende attuare. Ammettiamo che dietro l’operazione si celino soltanto buoni propositi di giustizia, di equità, di avvicinamento ai cittadini e che i comuni abbiano esclusivamente fini migliorativi della situazione odierna. La pietra di paragone per verificare questa straordinaria buona volontà municipale è semplice: si introduca per legge l’invariabilità del gettito dell’Ici nei singoli comuni.
Se è vero che un comune chiede di metter mano al catasto per superare sperequazioni e non per fare cassa, allora resti invariato il carico tributario conseguente alle variazioni negli estimi e venga distribuito secondo quella giustizia che oggi si reputa inesistente. L’auspicata equità sarebbe introdotta senza gravare sui contribuenti nel loro insieme. Se i comuni intendono davvero avviare un’operazione trasparente, non sono interessati ad incrementare il carico globale e quindi possono lasciarlo immutato. Se invece, come è la triste verità, dietro la parvenza di equità si cela la volontà di aumentare gl'introiti, allora ci si guarderà bene dal mettere un tetto fiscale ai risultati dell’operazione.
Il fine reale dei comuni emerge poi dalla volontà del governo di tassare non già i redditi degl’immobili, bensì i loro valori, anche in questo caso mettendosi contro la giustizia costituzionale, posto che il giudice delle leggi riconobbe costituzionalmente legittimi gli estimi su base patrimoniale purché provvisori (la capacità contributiva è legata al reddito percepito, non al patrimonio, pena una funzione espropriativa che in effetti un’imposta come l’Ici esercita). Se ai comuni e al governo interessasse la giustizia tributaria, non pretenderebbero estimi a valore, bensì a reddito. Se agiscono così, è per un motivo semplice semplice: con gli estimi patrimoniali, in anni di valori crescenti, s’introita di più che non con gli estimi a redditi, in anni di redditività calante.
Come la si giri, insomma, la vicenda rivela la volontà chiara degli enti tassatori: far cassa. A danno dei contribuenti. I quali si troveranno, dopo aver subìto per anni l’incremento sia delle aliquote sia del peso globale dell’ici (arrivato a superare i 10 miliardi di euro), ad aumenti paurosi, che nessuno è in grado di prevedere ma che potrebbero far salire il carico complessivo fino addirittura a raddoppiarlo.
Geom. A. Gusperti