Purtroppo non si può con la legge regolare ogni possibile dettaglio, a parte forse la rivalutazione di quelle norme, esistenti in ogni democrazia, che riguardano alcuni comportamenti al limite tra l'apologia di reato e l'espressione delle proprie opinioni. Norme come queste sono efficaci solo in quanto la loro applicazione è lasciata all'interpretazione dei singoli casi. Una norma come l'apologia di fascismo ha perfettamente senso in un caso come questo, che investe l'operato di una pubblica amministrazione, vincolata quindi al rispetto della Costituzione e delle sue premesse storiche, l'antifascsmo, quindi, prima di ogni altra.
Ricordo un articolo di Colombo di alcuni anni fa, sul comportamento legale da tenere in casi simili, che mi colpì molto: Colombo ricordava una sua esperienza di docente in una Università USA. Una studentessa espose alla finestra della sua stanza una bandiera sudista, con l'intento di manifestare la sua contrarietà alla politica di affirmative action di quella università. Fu espulsa con la seguente motivazione, che ricordo bene nella sostanza, se non nella lettera: "la libertà d'opinione non può superare i confini dell'evidenza storica e questa nazione (gli USA) hanno conosciuto una guerra civile e un lungo travaglio attorno all'accettazione del principio dell'uguaglianza tra i suoi cittadini a prescindere dalla loro razza. Il simbolo esposto e la motivazione della sua esposizione intendono negare questo travaglio e giustificare chi si è opposto all'abolizione dello schiavismo e della discriminazione razziale. Questa è appunto la negazione dell'evidenza storica, un falso, e quindi non può essere giustificata come libera espressione della propria opinione".
Sappiamo tutti, il sindaco di Rieti per primo, che l'intitolazione della strada a Pavolini non ha alcuna relazione con la sua, modesta peraltro, statura d'intellettuale, ma con il tentivo di proporre la repubblica di Salò come un antecedente storico legittimo della democrazia italiana. Il falso non potrebbe essere più patente.