Gengis Khan, il restauratore dell'Impero
di Aleksandr Dugin
Nell'anno 1155 nacque il principe Temugin. Nacque dalla sacra stirpe di Alan-Goa, la madre degli "eletti dal Cielo Eterno", "destinati ad essere khan", la quale diede alla luce i propri figli senza concorso di uomo, per opera dello spirito celeste giunto a lei attraverso l'apertura centrale che si trova al sommo della tradizionale tenda mongola. Così racconta la Storia segreta, il libro sacro dei Mongoli. Nel 1180 Temugin diventa il Khan della confederazione delle tribù mongole e nel 1206 viene proclamato Gran Khan di tutta la Mongolia. A partire da quel momento, comincia la più grande epopea dell'ultimo millennio: il tentativo di restaurare il Grande Impero Ram, che ai suoi tempi univa tutta quanta l'Eurasia in un solo organismo sacro. L'energia celeste permette a Gengis Khan di unificare sotto il suo comando la maggior parte del continente euroasiatico, dalla Cina fino al Vicino Oriente e all'Europa Orientale. Secondo la leggenda, fu solo una predizione degli astrologi a spingere Gengis Khan nella sua marcia trionfale verso occidente. Il discendente del Grande Cielo (Tengri) contava unicamente sui fattori celesti; gli ostacoli terreni semplicemente non esistevano per il Khan Bianco.
Possiamo trovare un'importantissima testimonianza del carattere iperboreo di questa missione restauratrice negli scritti del viaggiatore persiano Rashid ed-Din. E' noto che la stirpe di Gengis era caratterizzata dal "colore azzurro degli occhi" e dai capelli "fulvi". Rashid ed-Din scrive: "La stirpe dei Kiyatborigin discende dagli eredi di Esugai Bogatur". (Quest'ultimo era il padre di Gengis Khan). Borigin significa "occhiazzurro" e, per quanto possa sembrare strano, i discendenti di Esugai Bogatur, dei suoi figli e del suo clan, hanno per lo più gli occhi azzurri e i capelli fulvi. Ciò viene spiegato col fatto che, quando Alan-Goa si trovò incinta (per opera dello spirito), disse: "Durante la notte mi appare davanti agli occhi uno splendore in forma di uomo biondo, con gli occhi azzurri, che poi se ne va". Così ancor oggi, nella stirpe di Esugai Bogatur, si possono trovare questi tratti caratteristici, i quali, dicono i Mongoli, sono il segno del potere regale dei figli di Alan-Goa.
Lo splendore in forma di ario iperboreo passò alla stirpe sacra dei "destinati ad esser khan" e svolse la funzione di un'investitura da parte del Centro Polare Supremo. Fu appunto questo sacro impulso nordico a indurre Gengis Khan a perseguire l'unità dell'Asia, cominciando naturalmente dalla Mongolia e dalla Siberia. Queste regioni diventarono in tal modo l'"embrione aureo" del Nuovo Impero Ram. Nonostante l'Impero di Gengis Khan e dei Gengiskhanidi non sia stato duraturo - forse qualcosa di sacro può sussistere a lungo nel periodo più critico del nostro ciclo? - questo Impero mutò radicalmente il volto politico della geografia mondiale, ridestando la coscienza dei popoli turco-mongoli alla loro missione civilizzatrice e rendendoli consapevoli di essere gli eredi del "popolo di Tanara". L'archetipo polare di questo popolo iperboreo si manifestò storicamente, per l'ultima volta e in tutta la sua grandiosità e purezza, nei "re bianchi dagli occhi azzurri" discendenti da Alan-Goa, la quale, come abbiamo visto, concepì virginalmente la casta dei sovrani dell'Eurasia.
Dopo la morte, Gengis Khan fu venerato dai Mongoli come l'"Avatara mongolo", l'epifania di Tengri, la manifestazione del Principio Celeste. E' importante menzionare il fatto che nel culto di Gengis Khan, istituito da suo nipote Kubilai, aveva un certo rilievo il ruolo sacrale dei due vessilli di Gengis Khan, qara-sulde e tsagan-sulde, "spirito nero" e "spirito bianco". Tali vessilli simboleggiavano due aspetti dell'"Avatara mongolo", riflettendone le qualità atemporali e sopraumane. Tale simbolismo, tra l'altro, è caratteristico della tradizione taoista (Yin-Yang), del mazdeismo e, quel che qui più importa, della sacra bandiera dell'Ordine Templare, il Baucens. Non solo: il santuario di Gengis Khan si chiamava "Otto Padiglioni Bianchi"; e le chiese templari erano spesso ottagonali, così come è ottagonale Castel del Monte, fatto costruire da quel Federico II Hohenstaufen che all'altra estremità dell'Eurasia intendeva anche lui restaurare, in un nuovo Impero solare, la sacra unità dei discendenti degli Iperborei.
La liturgia dava a Gengis Khan il titolo di "Portatore della Promessa Bianca", cioè "promessa della restaurazione iperborea".
La linea dei Gengiskhanidi sopravvisse alla disintegrazione dell'Impero. I discendenti di Gengis Khan esistono ancora e sono destinatari ancor oggi della venerazione dei Turchi e dei Mongoli: non solo di quelli che conservano le antiche tradizioni sciamaniche siberiane dei popoli di Tanara, ma anche di quelli che hanno adottato forme tradizionali diverse come l'Islam, il lamaismo, il taoismo e anche il cristianesimo. La realtà gengiskhanide presenta una certa analogia con quella degli Alidi e dei Seyyid del mondo musulmano (soprattutto sciita). Tra i musulmani turchi vi sono esponenti di linee nobiliari che discendono contemporaneamente da Gengis Khan e dal Profeta Muhammad; abbiamo così un caso unico di eredi simultanei di due grandi tradizioni, le cui missioni geopolitiche e geografico-sacrali svolgono un ruolo determinante nelle ultime fasi del Kali Yuga, la nostra Età del Ferro.