| Lunedi 23 Ottobre 2006 - 19:23 | |

In primis vorrei improntare brevemente il discorso sull'impero osmano e la cultura e tradizione giudaica di tale impero, per rendere più chiaro quanto fosse decisivo l'evoluzione giuridica di esso per l'attuale Israele.
L'impero osmano si trovò in una sorta di campo di tensione fra la cultura occidentale e quella dell'Islam tradizionale; un poco come lo è ancora oggi per uno stato come la Turchia.
Questo sviluppo condusse ad un rilevamento illimitato d'alcuni codici moderni, in particolare i "codes" francesi, ma anche alla produzione di codici basati su un diritto islamico moderno, come per esempio un codice civile universale, che persino ancora durante il periodo del mandato britannico, furono presi in considerazione, cosa non più valida ora, poiche non hanno più alcun valore nello stato israeliano.
Tuttavia si ravvisano delle rimanenze di ciò che la tradizione giuridica osmana lasciò allo Stato d'Israele, soprattutto nell'attuale diritto di famiglia ed immobiliare. La circostanza che i turchi hanno riconosciuto da sempre ai vari gruppi religiosi un'ampia autonomia familiare, ha indubbiamente influenzato il modello giuridico israeliano attuale. Tale sistema si basava su delle tradizioni di tolleranza e separazione, cosa che contribuì parzialmente all'indebolimento dell'impero osmano con una conseguente perdita di potere. Nel 1922 fu imposto ai britannici da parte della Società delle Nazioni un divieto d'intromissione nell'autonomia delle comunità religiose circa le questioni legato allo stato civile di questi. Nel 1948 lo Stato d'Israele si assunse una parte consistente del sistema, per poter, da un lato evitare eventuali tensioni fra le confessioni religiose presenti e, d'altro canto, posticipare un conflitto, dovuto al rapporto tra la religione e lo Stato. Purtroppo tale annoso problema fino ad oggi non è mai stato risolto, tanto è vero, che Israele è l'unico Stato moderno senza un diritto di famiglia sancito a livello statale.

Il periodo
del mandato britannico

È sicuramente indiscutibile la circostanza che i 30 anni di mandato britannico ha avuto un influsso duraturo sul sistema giuridico israeliano; tuttora il nocciolo del sistema è posto nel common law. Tale fatto è riconducibile alla circostanza che il medesimo per lungo tempo fu influenzato dal diritto giurisprudenziale inglese; tuttora i rapporti e lo status legislativo, fra giudici e avvocati sono simili a quelli inglesi.

Vorrei puntualizzare particolarmente che i giudici nominati a vita emettono delle sentenze basate su un complesso sistema giurisprudenziale (precedenti di diritto) a discapito dei tipici codici, che fungono grossomodo come delle mere linee-guida generali circa il modus d'interpretazione, senza avere alcun carattere dogmatico.

Quali fonti del diritto israeliano, trova assoluta rilevanza la "Palestin Order in Council" del 1922, in particolare il §46, che definì le fonti del diritto, rimasta in vigore fino al 1980, quando finalmente la Knesset con un'apposita legge la sostituì.

È di rilievo non indifferente la realtà che il potere legislativo non può coprire tutti gli ambienti con delle appropriate norme, per questa ragione in caso di un cosiddetto vuoto legislativo, si ricorrono alla sostanza del common law e la dottrina dell'equità, come si definisce in Inghilterra, sempre che la situazione in Palestina lo permetta.

Fino alla metà degli anni 60, i giudici israeliani si basavano nelle proprie decisioni su delle sentenze straniere, tuttavia man mano iniziò a maturare una sempre maggiore fiducia nella creatività giuridica dei tribunali interni, soprattutto nella Corte suprema.

Il potere legislativo è da considerarsi de iure la primaria fonte del diritto israeliano, poiché è esercitato dalla Knesset. Bisogna però aggiungere che data la mancanza di una Costituzione formale, non sussistono limitazioni alcune nel potere legislativo. La Knesset ha emanato tutta una serie di leggi fondamentali che riguardano la struttura ed il sistema statale, senza però intaccare il potere legislativo.
I precedenti giurisprudenziali di fatto in Israele ricoprono un ruolo importantissimo, anche se il potere legislativo si trova su un rango superiore. È oramai da considerarsi una realtà consolidata che l'importanza dei precedenti giurisprudenziali rappresenti un fulcro della cultura giuridica dello Stato d'Israele. I verdetti della Corte suprema valgono come massima fonte di saggezza ed autorità giuridica.

Lo sviluppo dei diritti
fondamentali in Israele

Riuscire a comprendere un poco la situazione inerente ai diritti fondamentali nello Stato d'Israele non è cosa semplice, poiché presuppone una conoscenza storica, anche piuttosto approfondita, dato che oggi in Israele le cose si svolgono in modo assai diverso da come accade nell'occidente.

Il 14 maggio del 1948 è sicuramente una data di gran rilievo, perché fu in tale giorno che (con un atto unilaterale ebraico, n.d.t.) si proclamò l'indipendenza dello Stato d'Israele, con il preciso impegno, di creare una Costituzione formale, fino ad oggi mai neppure stillata.
Quella famosa indipendenza avrebbe dovuto essere il primo passo verso uno sviluppo di una carta costituzionale. Il 14 maggio, giorno in cui terminò il mandato britannico in Palestina, a Tel Aviv fu proclamata la nascita ufficiale dello Stato d'Israele. Questa proclamazione fu avanzata da un'alleanza popolare, che fungeva come organo rappresentativo della comunità ebraica della Palestina e dei movimenti sionistici sparsi nel mondo. Nel proclama si accenava al riconoscimento internazionale del diritto alla sovranità da parte del popolo ebraico nel paese grazie alla "dichiarazione Balfour", al mandato della Società delle Nazioni e alla risoluzione delle Nazioni unite. Considerando i diritti fondamentali, due passaggi della Dichiarazione sono particolarmente interessanti e degni di essere citati. Da un lato si proponeva in esso l'attenzione assoluta di garantire i diritti umani, come cita il passaggio qui riportato in seguito:
Lo Stato d'Israele sarà fondato sui principi di libertà, d'uguaglianza e pace; esso garantirà una piena eguaglianza sociale e politica di tutti i suoi cittadini senza distinzione di religione, razza o sesso, sostenendo e garantendo la libertà di religione, di coscienza, della lingua, dell'educazione e della cultura.

D'altro canto la dichiarazione d'indipendenza contiene anche un passaggio, in cui si stabilisce che un'assemblea nazionale democraticamente eletta entro il 1 ottobre del 1948 dovrà emanare una Costituzione. In questo modo la proclamazione d'indipendenza serviva a creare una base teorica, benché giuridicamente irrilevante, perché si potessero stabilire i più importanti principii dei diritti fondamentali dello Stato d'Israele.

Inizialmente si tentò concretamente di elaborare una carta costituzionale per Israele, ma a causa dei vari interessi contrastanti, si preferì per una soluzione politica che fece ingresso nella storia costituzionale israeliana con il nome del suo autore, prendendo il nome di "risoluzione Harari".
Al posto della Costituzione, la Knesset, il 13 giugno del 1950 emanò questa risoluzione. Dopo di ciò, il tutto degenerò a tal punto da non permettere l’emanazione di una vera e propria Costituzione fino ad oggi. Trascurati e non risolti in alcun modo i problemi sociali costitutivi della nuova entità statale, nella gente fu creata solo un'illusione d'unità nazionale.
Ogni controversia, ogni contraddizione più profonda non è stata così risolta e rimossa, tanto che persino le questioni più ardue, come l'annoso problema, Stato-Chiesa o lo status degli arabi in Israele sono rimaste senza risposta.
Alcuni partiti religiosi presenti in Israele dichiarano che la Torah può essere l'unica Costituzione valida del paese. Il perché di tale impostazione è chiaro ed è facilmente ricollegabile a delle riflessioni politiche, poiché in Israele tuttora non vige un diritto di famiglia statale e, inoltre, sussiste la paura di perdere il rito dello "Schabat" quale giorno glorioso osservato rigorosamente da tutti.

Un altro dilemma fu il legame tra i diritti umani e lo stato di necessità, che in Israele con il passare del tempo, divenne, un fenomeno perpetuo. È così una triste realtà che Israele viva in uno stato di necessità continuo.
Diritti fondamentali
e la giurisprudenza

Non bisogna mai perdere di vista che in Israele i diritti fondamentali sono tutelati dai giudici sulla base della giurisprudenza; questo perché la risoluzione Harari non fece altro che creare un vuoto profondo per quanto concerne i diritti fondamentali. Si emanarono delle leggi fondamentali in Israele, ma queste fino al 1992 riguardarono esclusivamente la parte istituzionale del diritto costituzionale, senza creare in alcun modo controversie particolari. La stesura di una carta dei diritti fondamentali fu continuamente rinviata; cosa che non doveva significare che lo Stato d'Israele avrebbe dovuto essere governato nonostante privo in teoria dei diritti fondamentali. La giurisdizione, vista l'inerzia degli organi legislativi preposti, prese l'iniziativa di creare un insieme di diritti fondamentali basati sulle sentenze precedenti (giurisprudenza).

L'altrafaccia della medaglia:
diritti e sionismo

Il favore della ragion di Stato allo stato di diritto si manifestò in particolare nella giurisprudenza della Corte Suprema, quando questa dovette esprimersi su problematiche inerenti il popolo palestinese, in modo particolare nel campo delle violazioni sorte in ambo le zone occupate sia dai palestinesi, sia dagli israeliani, che nella zona di Gaza.

Mai e poi mai si dubitò o si valutò in qualche modo la discrezionalità adottata dalle forze militari occupanti, proprio come è mancata ogni forma di riconoscimento dei valori liberali. La Corte Suprema quindi, se chiamata a pronunciarsi su eventuali violazioni di diritti fondamentali, adottò una sorta di bilancia con due misure. In tale situazione, i diritti dei palestinesi furono tutelati solo finché la visione del mondo sionistica non fosse compromessa o minacciata nella sua assoluta integrità.

Nel momento in cui si resero possibili o immaginabili delle attività politiche (es:: petizioni, proposte referendarie), la Corte Suprema non esitò a conferire alle autorità statali delle utili e plausibili giustificazioni per violare e restringere la libertà democratica.

La sicurezza dello Stato
giustifica tutto

Il metodo maggiormente adottato dalla Corte Suprema fu quello di una sostanziale astensione anche sul ricorso a misure d'emergenza, o direvoca delle garanzie personali in caso di pericolo per la sicurezza. In casi come questi, la Corte Suprema argomentò meschinamente che non rientrava nelle competenze della Corte Suprema, valutare decidere su questioni legate a stati d'emergenza.

C'è, però da porre l'accento sul fatto che le misure d'emergenza riguardarono quasi esclusivamente il popolo palestinese, pertanto la Corte Suprema contribuiva così a discriminare questa popolazione. L'argomento della sicurezza dello Stato, il più delle volte fu dichiarata nei confronti di chi cercava una tutela dei propri diritti, in modo alquanto quasi grottesco: basti pensare ai tre arabi “israeliani” provenienti da Haifa, che nel 1961 volendo lasciare Israele per vivere nella striscia di Gaza, furono crudelmente ammazzati. Quando i cadaveri furono restituiti alle famiglie, queste dovettero apprendere che i loro cari erano stati non solo uccisi ma persino disonorati.

In seguito la comunità arabo-palestinese protestò ferocemente lungo le strade d'Israele, ma quando la famiglia delle vittime chiese un'autopsia per risalire ai motivi di decesso e ai maltrattamenti dei cadaveri, le autorità impedirono sia ai familiari sia agli avvocati di partecipare all'autopsia, appigliandosi al fatto che in questo modo... la sicurezza dello Stato avrebbe potuto essere compromessa. Ogni istanza d'appello alla Corte Suprema fu respinta.

Gli intellettuali, i liberi professionisti, tra questi gli avvocati e i giornalisti d'origine araba, visti di cattivo occhio, perché idealisti ed oppositori, furono censurati nelle loro funzioni, alcuni furono addirittura posti agli arresti/obblighi domiciliari per anni. La stessa cosa si fece nel campo dell'istruzione in cui si vietò la presenza alle lezioni. Gli esempi proposti rappresentano una parte minima di ciò che purtroppo realmente accade in Israele.

Da quanto fin qui enunciato, rende comprensibile perché lo Stato d'Israele, che fin dalla sua nascita si era impegnato a creare una tutela dei diritti fondamentali, non ha proceduto in questi quasi sessent’anni a non dotarsi neanche di una carta costituzionale.

La religione è d'intralcio
alla democrazia

A prescindere dal sionismo, in Israele si è prima rafforzato e poi affermato un movimento con delle idee ultraortodosse, che può essere definito come nazionalismo etnico. La proclamazione dello Stato d'Israele è definita dai rappresentanti di questa tendenza di pensiero come peccato, perché la nascita di Israele si è sviluppata secondo le regole dell'Halacha e non in virtù di un intervento divino, e quindi piuttosto su un sistema che richiede una riduzione dell'apparato di uno “stato” laico e profano.

E' da mettere in risalto come diversi rabbini ultraortodossi concordino nel riconoscere agli ebrei il diritto di controllare parti consistenti del territorio israeliano ivi compreso il diritto di libera circolazione della popolazione; quest'ala dell'ebraismo rivela apertamente il proprio odio e diffonde la sua precisa convinzione circa un rapporto signori-schiavi, fra ebrei ed arabi.

La libertà d'opinione
e di stampa

Nella Palestina, fino al 1933, durante il mandato britannico, per quanto concerne il diritto di stampa, erano in vigore diverse leggi recepite dalla legislazione dell'impero Ottomano. Alcune importanti fonti legislative adottate allora furono le norme sui torchi di stampa del 1910, la legge sulla libertà di stampa dello stesso anno, le disposizioni del codice penale e la libertà di stampa, peraltro sancita nella stessa Costituzione dell'impero Ottomano.

Secondo le disposizioni della legge sulla stampa dell'impero Ottomano, non era necessaria una concessione per poter fondare un giornale, ma bastava che l'editore dichiarasse alcune informazioni sulle proprie generalità e sul tipo di pubblicazione.
La stessa legge indicava con esattezza la lista, i termini e le espressioni che non si sarebbero potuti usare.
I britannici applicarono le leggi sulla stampa dell'impero Ottomano fino alla fine degli anni venti, quando la situazione politica divenne sempre più ardua da gestire.
In seguito a vari scontri (1929) fra ebrei e palestinesi, nel 1933 gli inglesi emanarono la "Press Ordinance" una legge che poco dopo avrebbe influenzato massicciamente i diritti e le libertà di stampa in Israele.

Nella "Press Ordinance" del 1933 è disciplinato un sistema normativo di concessione per tutti i giornali e vi si trova una citazione del tipo: "Nessun giornale potrà essere pubblicato nella Palestina se non con la previa autorizzazione conferita da parte del commissario di zona all'editore".

E' oggi necessario, proprio a causa della sopravvivenza di questa normativa speciale di controllo sulla stampa, la "Press Ordinance", ottenere un'autorizzazione dal governo israeliano per poter fondare un giornale in Israele.

In questo modo e con un tale ausilio normativo, Israele è l'unico Stato “democratico”, con un sistema basato su limitazioni e concessioni per le attività di stampa.La censura

La censura, vale a dire, il controllo e le limitazioni esercitati dallo Stato sui contenuti giornalistici, cozza con la libertà di stampa, pertanto il modo di censura è indicativo della mancata realizzazione e tutela dei diritti fondamentali. La censura non è di certo inesistente in altre democrazie, ma il modo in cui questa limita la diffusione dell'informazione e delle notizie, non è paragonabile in alcun modo con la situazione israeliana.
Fondamentalmente bisogna distinguere tra una prima e una seconda censura. La prima avviene in via preliminare e la seconda in seguito. Quella preliminare è considerata internazionalmente un attentato all’informazione, perché intacca troppo, rispetto a quella posticipata, la libertà di stampa.

La censura militare

La censura militare può essere definita come un'organizzazione finalizzata ad impedire la diffusione d'informazioni che in qualche modo possano intaccare la sicurezza e l'integrità dello Stato.

Nello stato d'Israele è sempre esistita una censura di tipo militare.
La base legislativa sulla quale si fonda l’esistenza di una censura militare, è la "Defence Emergency Regulations". Il §88 di questa normativa, accorda al censore un'altra discrezionalità d'esecuzione.
Vorrei a tal proposito citarne un comma di peso: "Il censore è legittimato a vietare l'importazione, l'esportazione, la stampa e la diffusione d'ogni stampato con apposito divieto, quando ritiene che l'importazione, l'esportazione, la stampa o la diffusione di stampati possa intaccare l'integrità pubblica o l'ordine pubblico".


La censura israeliana
sulle pubblicazioni arabe

Il centro di stampa araba si trova nell'est di Gerusalemme, luogo d'edizione d'Al-Quds, Al-Fajr, Ash-Shaab e An-Nahar. Al-Ittihad si pubblica invece ad Haifa. Un accurato studio sulla censura delle pubblicazioni arabe ha evidenziato che gli editori, prima di pubblicare, sono costretti a rivolgersi al censore, perché questi supervalutati tutte le informazioni, foto, cruciverba ed inserti compresi. Una consegna alle 20.00 di sera al censore del materiale da pubblicare l'indomani, che viene restituito due ore dopo.

Tale analisi si basa su uno studio di tipo assolutamente empirico che ha incluso due quotidiani e un bimestrale. 16 articoli giornalistici d'Al-Fair, pubblicati in diversi giorni lungo un anno intero, 12 quotidiani (Ash-Shaab) scelti a caso sempre nello stesso periodo, sei articoli del settimanale pubblicato in inglese d'Al-Fajr.
Un'interpretazione statistica dello studio, svolta in base ai temi ha reso noto che soprattutto gli articoli inerenti all'OLP, ai palestinesi in genere, alle misure di sicurezza adottate dagli israeliani e alla guerra in Libano, sono stati censurati. Altri scritti sulle dimostrazioni, sugli scioperi, sulla proprietà terriera, la resistenza ed il terrorismo sono stati altresì categoricamente censurati. Circa il dieci per cento degli articoli giornalistici, provengono da agenzie di stampa straniere.
In totale, circa il cinquanta per cento degli articoli esaminati, non furono autorizzati dal censore, esattamente, circa il venti per cento in parte e il trenta del tutto.

Esempi degli articoli giornalistici che sono finiti sotto il vaglio della censura.
"Il dr. Hashem Abu Rmeleh, docente di storia ed archeologia alla "Najah National University" domani, sarà costretto ad abbandonare il paese.
Con lui ulteriori 12 docenti universitari saranno deportati ed altri 16 professori ed impiegati la rischieranno".

Amman, Damaskus - L'OLP è la rappresentanza del popolo e dell'identità palestinese. La lotta del popolo palestinese continuerà, sia di tipo militare, sia d'impronta politica, finché ci sarà l'occupazione.

Questi due esempi dovrebbero dare un'idea di quanto la censura, riesce a fare in Israele. I dati qui riportati sono tratti da uno studio svolto nell'anno 1982.

Il fatto che la censura svolga tuttora un ruolo dominante sulla stampa araba, si desume da una circostanza del novembre del 2001, quando il quotidiano Al-Quds fu minacciato di chiusura da parte del censore militare, che dichiarava la libertà d'opinione come una minaccia per la pubblica sicurezza e pertanto giustamente soggetta a limitazioni.

Presso il censore, spesso, ogni tentativo da parte del popolo palestinese di portare avanti uno sforzo nella costituzione dell'autodeterminazione nazionale, è visto automaticamente come un passo contro la sicurezza nazionale e lo Stato d'Israele. Questa continua paura degli ebrei, il fatto che si sentano continuamente minacciati nella loro esistenza, crea un concetto di sicurezza esagerato, lasciando agli arabi palestinesi pochissimo spazio d'azione politica.
Il mantenimento formale di un sistema di concessione per l’editoria e delle leggi/misure di sicurezza, mostrano esplicitamente che la società israeliana non ha certo fatto propri i valori della democrazia come "la ricerca della verità", che trovano le loro radici nell' Illuminismo.

I diritti
e le norme
in Israele

Lo sviluppo dei diritti fondamentali si è creato in Israele, fin dalla sua nascita come Stato ebraico, sulla base di tendenze fra loro assai contrapposte. E' vero che fin dagli inizi dell'esistere di questo Stato si è discusso sulla stesura della Costituzione, ma è anche reale che i vari compromessi circa un processo pianificato di ellaborazione della Costituzione, non ha fino ad oggi condotto a nulla. Tuttavia, anche se questo Stato è rimasto privo di una Carta costituzionale, si è riusciti a creare un sistema giurisprudenziale, in cui i diritti fondamentali sono garantiti dalle giurisdizioni in un modo anche piuttosto efficace e consono con quelli che sono i parametri delle democrazie moderne/avanzate. Almeno per quanto riguarda la cittadinanza ebraica.
Tuttavia in molti casi la Corte Suprema, quando la stessa è stata appellata in modo da decidere su questioni di violazioni di diritti umani, palesemente lesi, ha rimosso le istanze dichiarandosi incompetente, perché a proprio dire, le misure di sicurezza non rientravano nella sfera di competenza della Corte.
E' da puntualizzare che si trattava di solito di cittadini non israeliani, che avevano richiesto tutele dei propri diritti umani alla Corte Suprema.
Il carattere tipicamente ebraico dello Stato d'Israele si è manifestato così anche nella giurisprudenza della Corte suprema.
In una legge fondamentale approvata dalla Knesset nel 1985 e inserita nelle leggi fondamentali, nella quale si accenna al lavoro libero, alla dignità umana e in particolare alla libertà, (legge del 1992), si configura una teorica congruenza tra il carattere tipico ebraico dello Stato israeliano e quello democratico ma con la convenzione ad exludendum dei non ebrei.

Il concetto di una democrazia etnica, è considerata positivamente da una gran parte della popolazione ebraica, che lo interpreta come vitale e legittimo.

Analizzando la libertà di pensiero, comprendiamo come il carattere ebraico dello Stato di Israele è assolutamente dominante, sicché la sicurezza dello stesso si trova al primo posto e ogni forma di critica al regime tramite la stampa è tollerata unicamente se avanzata dalla componente ebraica del paese.

Un sistema basato sull'autonomia religiosa tutela le comunità di culto, anche se in modo piuttosto limitato; il molto diffuso credo israelita del paese, ampiamente sostenuto dalle istituzioni dello Stato rispetto alle restanti comunità presenti, in particolare quelle mussulmane, mostra la predilezione per il culto ebraico a discapito di tutte le altre confessioni presenti in Israele. Oltre che nella predilezione della religione ebraica, il carattere semitico dello Stato d'Israele si manifesta altresì nella normativa legale inerente al matrimonio, prettamente di stampo religioso, e nell'obbligo della rigorosa osservanza dello Schabbat, seppure considerato da alcune parti minoritarie della popolazione israelita come violazione della libertà di pensiero e di confessione.
Riassumendo, c'è da dire che lo Stato d'Israele, impegnato a rendere conto di quei parametri democratici riconosciuti come tali da tutti, democratico non è.
Questa nazione si definisce Stato del popolo ebraico; un'affermazione che discrimina, a tutti gli effetti e senza tregua, ogni popolazione, qualunque etnia di tipo non semita, vivente in Israele, esaltando la razza ebraica.
Il principio d'uguaglianza, che rappresenta un cardine della democrazia, in questo modo è leso, non solo sul piano esecutivo, ma anche su quello legislativo. Purtroppo la maggioranza ebraica, convinta di trovarsi in una democrazia, giustifica questi dati di fatto senza porsi problemi sulla reale applicazione dei diritti umani.
Questa idea è scaturita, da una parte, dalla consapevolezza secondo cui Israele è in primis una Stato ebraico e, d'altra parte, dal fatto che in Israele vige uno stato di guerra continuo da anni, o contro altri stati confinanti o contro i palestinesi.
La sicurezza dello Stato è considerata sempre in pericolo, nonostante ci siano i militari con tutta la forza repressiva possibile.
In Israele, la sopravvivenza dello Stato, è posta al primo posto in assoluto. In un certo senso si ritiene che una tutela generale dei diritti umani, non possa essere garantita per dei cittadini che non facciano parte della popolazione semita-ebraica, a causa dell'ininterrotta situazione di minaccia e pericolo presente in Israele; ciononostante si reputa che l'esistenza del carattere democratico dello Stato di Israele sia “garantita”...

Anche dopo un eventuale accordo di pace raggiunto, tale doppia visione, formalmente liberale, sostanzialmente illiberale, è destinata a persistere. In quanto, fondamentalmente, lo scopo del popolo semita-ebraico, non è quello di integrare, ma di isolare un milione d'arabi-semiti d'origine palestinese, che per Israele ha rappresentato, e rappresenta anche per il futuro un pericolo per la pubblica incolumità.

Le particolari circostanze che hanno fatto sì che Israele nascesse - e cioè lo scopo di creare una patria per il popolo ebraico - possono in qualche modo essere dei giustificativi per i privilegi che si è autoriconosciuto il popolo ebraico, ma non sono certo un’ attenuante delle gravi inosservanze dei diritti umani.