LA PAURA DI PRODI: «COINVOLGIAMO TUTTI O RISCHIAMO GROSSO» - CHE C’È DI VERO DIETRO LE PAROLE DI SILVIO A CASINI (“3-4 SENATORI PRONTI A PASSARE CON NOI”)? – L’UNIONE È TUTTA UN MAL DI PANCIA. CALVI (DS): “AL SENATO SIAMO LÌ LÌ…
Per farsi un’idea di quello che sta accadendo bisogna tornare all’ultimo colloquio tra Silvio Berlusconi e Pierferdinando Casini. In quell’occasione il Cavaliere ha raccontato la solita storia al più riottoso dei suoi alleati: «Guarda che ci sono tre-quattro senatori dell’Unione che potrebbero passare dalla nostra parte o, comunque, votare contro la Finanziaria...». Una «boutade» che Berlusconi ha sparato più volte da un mese a questa parte, ma con Casini il suo discorso deve essere stato talmente fondato e circostanziato che il suo interlocutore ci ha quasi creduto. Tant’è che il leader dell’Udc in quel colloquio ha subito messo le mani avanti: «Comunque è evidente che una crisi di governo non può portare ad elezioni, dobbiamo pensare a qualcos’altro». E quel discorso deve essere stato talmente convincente che il riottoso alleato ha subito «registrato» la sua linea politica.
Qualche giorno più tardi, infatti, ad uno dei suoi fedelissimi Casini ha descritto la situazione così: «Ho spiegato a Berlusconi che dobbiamo mantenere un rapporto dialettico con lui perché l’Udc, specie se dall’altra parte vanno avanti con l’idea del partito Democratico, può intercettare i dissidenti. Invece per noi è inimmaginabile tenere in piedi Prodi: questo governo è talmente impopolare che chiunque ci prova rischia di essere travolto». Ma il dato più significativo è che dopo quell’ultimo colloquio sia sulla bocca di Berlusconi, sia su quella di Casini sono usciti discorsi su governi di «grande coalizione», «istituzionali» o «tecnici»: Berlusconi l’ha detto in piazza a Termoli; Casini lo ha ripetuto il giorno dopo a Stresa.
Allora c’è qualcosa di vero o no nei discorsi dei 3-4 senatori che sarebbero nella manica del Cavaliere? Qualcosa ci deve pur essere, magari solo nella casistica dei rischi, viste le mosse successive di Romano Prodi: nel giro di 48 ore il premier ha convocato in una riunione oceanica (60 persone) l’intero vertice dell’Unione e ha promesso la riforma delle pensioni per febbraio per calmare i mal di pancia dell’area moderata e riformista.
L’obiettivo il premier lo ha spiegato ai suoi collaboratori: «Dobbiamo coinvolgere tutti, nessuno escluso nella rivisitazione della Finanziaria per evitare la perdita di qualche voto al Senato». Già, l’accordo sul Tfr con sindacati e Confindustria e il giudizio positivo del commissario europeo Almunia non hanno spazzato via le paure del Professore. Anzi. Del resto i margini di manovra a ben vedere appaiono pochi. Se Prodi tenta di ricalibrare la finanziaria in chiave più riformista o moderata rischia di perdere qualche voto nella sinistra massimalista al Senato: oltre a Fernando Rosso del Pdci, ora anche Fosco Giannini di Rifondazione lancia minacce e non è detto che tra qualche giorno la stessa strada non venga presa anche dal verde Mauro Bulgarelli. Senza contare che lo stesso vertice di Rifondazione su alcune modifiche proposte sulla finanziaria non sente ragioni: Franco Giordano, ad esempio, ha posto un vero e proprio veto sul disegno di legge del ministro Lanzillota collegato alla Finanziaria che prevede l’obbligo per gli enti locali di privatizzare i servizi pubblici.
Se cede troppo alla sinistra massimalista i mal di pancia nell’area moderata dell’unione si moltiplicano. Lamberto Dini e i suoi sono sempre più in sofferenza. Helga Talher della Svp anche. Eppoi ci sono i senatori eletti all’Estero che cominciano a mostrarsi sempre più dubbiosi sul governo. Da qui l’idea di Prodi di promettere per il futuro la riforma delle pensioni, che non basta però a rincuorare i dubbiosi. «Io non lo capisco più - osserva sconsolato il capogruppo dei mastelliani alla Camera, Mauro Fabris -. Prodi mi ha detto che con la riunione di sabato vuole coinvolgere tutti per scongiurare brutte sorprese. Spero, però, che abbia già preparato il comunicato finale per evitare nuovi guai. L’unico fatto certo è che questa finanziaria va modificata. Anzi, se io fossi il ministro dell’Economia mi dimetterei visto le modifiche che stiamo apportando, ma lui si fa scudo di essere un tecnico. Solo che il danno è già stato fatto: mentre i nostri alleati giocavano al partito democratico abbiamo perso le piazze. Approvata questa finanziaria, però, dovremo pensare a qualcosa che garantisca al governo una guida più sicura, magari un consiglio di gabinetto. Sempre che tutto giri per il verso giusto. Al momento escludo le elezioni. Per il resto può succedere di tutto».
Appunto, «può succedere di tutto». Il dubbio ormai si è insinuato nell’Unione e nessuno lo caccia più. «C’è un’aria strana - ammette il diessino Umberto Ranieri -: francamente non so se tutto è stato ricomposto oppure no». «Il Senato - ammette Lanfranco Turci, diessino finito nella rosa nel pugno - è un terno al lotto: è come se lanciando la monetina speri che rimanga in piedi». Mentre il senatore della Quercia Guido Calvi fa gli scongiuri: «Siamo lì lì. Non credo però che se c’è la crisi si va alle elezioni. Casini lo ha detto (governo tecnico, ndr)». Nell’opposizione, invece, si fanno conti e e congetture. «I senatori dell’Unione in bilico verso di noi? - confida Antonio Tommassini, uno degli scout del Cavaliere nella giungla del Senato - Più quattro che tre».
Mentre il deputato piemontese Osvaldo Napoli dà una sua versione delle “grandi manovre” in corso: «A palazzo Grazioli e nella sede di Forza Italia di via dell’Umiltà raccontano che c’è una trattativa in corso con i ds condotta da Letta: quelli vogliono l’assicurazione che semmai si vada alla grande coalizione Berlusconi non si candidi a nessun ruolo di governo». Saranno tutte fantasie. Certo. Ma si stanno moltiplicando. «Prodi ha i giorni contati - osserva sicuro Giorgio La Malfa nel Transatlantico di Montecitorio -. Per me in pole position c’è Monti. Meno Draghi o Marini». Anche questo è un segnale visto che a sentire il segretario del pri, Francesco Nucara, lo scorso giugno lui e La Malfa facevano previsioni diverse sul futuro: «Io davo al governo Prodi un anno o due di vita. Giorgio, invece, era convinto che avrebbe governato per cinque anni».
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