Maurizio Blondet
26/10/2006

STATI UNITI - Bush deve dare un segnale che in Iraq «c’è progresso»: E come? «Cominciando in casa: licenzi Rumsfeld».
Lo scrive il New York Times (1), e se lo dice il giornale dell’Establishment, vuol dire che la cosa è fatta.
I vecchi consiglieri di George Bush (padre), mobilitati nel tentativo disperato di salvare Bush figlio e ridurre i danni alle elezioni di novembre, hanno dato questo consiglio: fare di Rumsfeld il meritato capro espiatorio.
Ma chi metteranno al suo posto, come ministro della Difesa.
Secondo Wayne Madsen, anche questo è quasi deciso: probabilmente Joe Lieberman.
Dalla padella nella brace.
Lieberman, ebreo, è stato candidato alla vicepresidenza di Al Gore.
Se questi avesse vinto, sarebbe stato il controllore della nota lobby sulla presidenza Gore, un po’ come Cheney è per Bush: Cheney per conto degli interessi petroliferi, Lieberman direttamente per conto di Israele.
Benchè democratico e liberal sulle questioni morali (sostiene aborto e nozze gay), Lieberman ha sempre fanaticamente appoggiato, con il voto e con gli atti, le guerre di Bush (per Israele).
Ancora il 29 novembre 2005, dalle colonne del Wall Street Journal, esaltava la guerra in Iraq e criticava quelli che, nel suo stesso partito, cominciavano ad esprimere dubbi.
«Grazie per essere un americano patriottico», gli disse Bush jr., baciandolo, poco dopo.
La scena del bacio («the kiss») non è piaciuta agli elettori.
Nell’agosto 2006 Lieberman, che era eletto senatore dal Connecticut ininterrottamente dall’88, è stato sonoramente bocciato alle primarie dei democratici del suo Stato, che gli hanno preferito uno sconosciuto Ned Lamont.



Ma Lieberman, e la lobby che lo sostiene, non si è data per vinta.
Carico di denaro ricevuto dall’AIPAC e dagli altri comitati politici pro-israeliani, nonché da singoli generosissimi donatori ebrei (a luglio aveva già raccolto 8,5 milioni di dollari), Lieberman è uscito dal partito democratico, ne ha fondato uno suo («Connecticut for Lieberman») e tenta di nuovo di diventare senatore nel voto di novembre.
Quasi certamente ci riuscirà.
La lobby ha bisogno di lui, un uomo che davanti alla devastazione del Libano da parte di Israele ha dichiarato: «Quando vengono attaccati civili innocenti, non solo Israele, ma ogni persona amante della pace ha diritto alla difesa».
I civili innocenti erano, per lui, solo gli israeliani.
Una volta rieletto, il Bush che lo ha baciato chiamerà Lieberman al Pentagono sulla poltrona di Rumsfeld.
Con ciò tra l’altro - spiega Madsen - i repubblicani sperano di attuare una manovra che renda meno disastrosa la prova elettorale di novembre.
Infatti, poiché Lieberman diverrà ministro, al suo posto di senatore la governatrice del Connecticut potrà mettere un primo dei non-eletti repubblicano: così, con un po’ di fortuna, la cricca potrebbe sperare in un Senato diviso a metà (50 repubblicani e 50 democratici) o un Senato dove i democratici fossero 51 contro 49, una minoranza compensabile dal voto del vice-presidente Cheney e da qualche falco israelista democratico.
Insomma se Lieberman sostituisce Rumsfeld, è garantita la continuità delle guerre per Sion.
Il Pentagono resta sotto il controllo ebraico.
Lo suggerisce anche un fatto inquietante e non notato da nessun commentatore. (2)



Ai primi di novembre, i comandi supremi della US Air Force si riuniranno per creare un nuovo comando militare che ha di mira specificamente la militarizzazione di internet e delle comunicazioni, l’Air Force Cyberspace Command.
A presiedere questa nuova creatura sarà l’attuale direttrice dell’Air Force Cyberspace Task Force, l’organismo il nuovo comando: la dottoressa Lani Kass.
Strano personaggio; Lani Kass ha servito nell’armata israeliana col grado di maggiore dal 1979 al 1981, gli stessi anni in cui lo spionaggio militare di Israele metteva le mani sui segreti militari USA grazie al suo agente, ufficiale della Marina americana, Jonathan Pollard (oggi in galera).
Come un maggiore israeliano sia salito ai più alti gradi dell’aviazione americana è un altro caratteristico fenomeno.
Dopo aver lasciato l’Israeli Defense Force, nel 1982 la dottoressa Kass diventa dirigente della Booz-Allen & Hamilton, una ditta di «strategic management e technological consulting» che lavora intimamente col Pentagono: dell’azienda, guarda caso, è diventato vice-presidente il rabbino Dov Zakheim, uno dei tre viceministri ebrei (con Paul Wolfowitz e Douglas Feith) che hanno affiancato Rumsfeld nella preparazione dell’attentato dell’11 settembre e nei piani di guerra successivi contro Iraq e Afghanistan.
Alla Booz-Allen & Hamilton, il maggiore Kass viene messo a dirigere il «Russian Research Center» fino all’85: anche il nome del centro ha qualcosa di strano, dato che nell’85 non c’era ancora la Russia ma l’Unione Sovietica.
Dall’85 al 2005, la dottoressa-maggiore israeliana è diventata professore di strategia militare al National War College (integrato alla National Defense University) di Fort McNAir, Washington.
Ma già nel ‘92-93 lavorava al Pentagono, quando ne era ministro Dick Cheney: fu lui a nominare la Kass «assistente speciale» per lo «Strategic Plan and Policy Directorate», l’ufficio J-5 dello Stato Maggiore riunito.
Tra il 2000 e il 2001, il maggiore Kass è tornata nello stesso ufficio J-5 con un grado maggiorato, «senior policy adviser»: insomma l’israeliana è da anni nel cuore dei segreti militari e del centro decisionale delle strategie belliche statunitensi.
Se Lieberman diventa ministro, troverà la collega spia già impiantata al posto giusto per dare un giro di vite, con la scusa della «guerra nel cyberspazio», alla sola fonte di informazione più o meno libera rimasta.


Lani Kass



E la continuazione delle guerre per Israele non conoscerà soste.
Con spese a carico degli americani, naturalmente.
La guerra in Iraq, che secondo Rumsfeld sarebbe costata 50 miliardi di dollari, sta toccando, secondo il Nobel per l’economia Jospeh Stiglitz, i 2 mila miliardi di dollari.
Persino l’American Enterprise, la centrale neocon, calcola che la guerra costi mille miliardi di dollari.
Stiglitz ha inserito nel conto anche i costi di lungo periodo: per esempio le cure che dovranno ricevere vita natural durante i 3 mila soldati tornati dall’Iraq con gravissime lesioni cerebrali, e il cui costo sanitario è calcolato da 600 mila dollari a 5 milioni per persona.
Il costo delle pensioni di invalidità dei reduci non sono ancora calcolabili.
Ma fra i reduci della prima guerra del Golfo, 40 su cento hanno ottenuto un assegno di inabilità, per la spesa di 2 miliardi di dollari l’anno, che durerà per mezzo secolo.
Si aggiunga il costo indiretto: il petrolio costava 20-30 dollari al barile, ed oggi sui 70 a causa della guerra di Bush, un danno per l’economia che Stiglitz calcola prudenzialmente a 450 miliardi di dollari annui.
Si noti che la cifra di 2 mila miliardi di dollari basterebbe a fornire l’assistenza sanitaria gratuita a tutti gli americani che ne sono privi per quarant’anni.
Secondo quanto calcolato dal columnist Nicholas Kristof, la guerra in Iraq costa al contribuente americano 380 mila dollari, 6.600 dollari per ogni americano, 18 mila dollari a famiglia: «ci sono modi migliori di spendere questo denaro» ne conclude. (3)
Ma che cosa non si fa per Sion.
Anche il complesso militare-industriale non può lamentarsi.
La spesa militare USA ormai, con 593 miliardi di dollari, ha superato la spesa della guerra di Corea (585 miliardi nel 1953) ed è vicina ormai a quella del culmine della seconda guerra mondiale.
Anzi, la già superata se si considera questo fatto curioso: siccome Bush ha scatenato la guerra senza aumentare le tasse (come si deve fare in periodo bellico), la finanzia ricorrendo ai prestiti.
E’ soprattutto la Cina, insaziabile accumulatrice di buoni del Tesoro USA, a pagare la guerra contro i nemici d’Israele.
Naturalmente, ad interesse: il che aggiunge alla spesa del Pentagono altri 265-308 miliardi di dollari.



Ormai il Pentagono è uno spaventoso titano mangiasoldi.
Nonostante le spese delle guerre attuali, continua a spendere per il resto.
Nel 2007, spenderà 84,2 miliardi di dollari per nuove armi.
Altri 73,6 miliardi per la ricerca e sviluppo di nuove armi.
Il costo dell’avveniristico programma «Future combat systems» è passato negli ultimi due anni da 92 a 165 miliardi di dollari.
La militarizzazione dello spazio costerà ancora di più; quella del cyberspazio, su cui presiede l’israeliana Kass, vorrà la sua parte.
E tutto ciò, per avere un esercito come quello che occupa l’Iraq, insufficiente, esaurito e svuotato, a corto di uomini e mezzi. (4)
C’è qualcosa di follemente apocalittico in questa corsa solitaria del Pentagono verso un armamento che pretende di assicurare una superiorità totale sulla totalità del reale, terrestre ed extraterrestre. L’Unione Sovietica crollò sotto il peso e il costo della sua corazza bellica, che i suoi generali e marescialli vollero sempre più enorme.
Per l’America, «la domanda che si pone ormai è sapere quando il Pentagono finirà per trascinare il resto del sistema nel proprio naufragio e che forma prenderà questa colossale destrutturazione», scrive Dedefensa. (5)
Lieberman, se sarà lui a sostituire Rumsfeld, presiederà su questo mostro divorante, su una superpotenza che si suicida per il suo piccolo alleato medio-orientale.
Gli riuscirà il miracolo sfuggito a Donald?

«Vidi una bestia che saliva dal mare [cui] il dragone comunicò la propria potenza e il suo trono. […] Le fu data una bocca che proferiva parole orgogliose e blasfeme e le fu concesso di operare per lo spazio di quarantadue mesi […] Le fu dato il potere di far guerra ai santi e vincerli».
«[…] Poi vidi una bestia salire dalla terra; aveva due corna come un agnello, ma parlava come il dragone. Esercitava tutta l’autorità della prima bestia per conto di essa […] faceva prodigi strabilianti, al punto da far discendere dal cielo sulla terra il fuoco».
Apocalisse, capitolo 13.



Intanto, le portaerei Eisenhower ed Enterprise, con tutta la loro flotta d’appoggio, sono giunte davanti alle coste dell’Iran, dove si sono riunite all’Expeditionary Strike Group «Boxer» proveniente da Singapore ed hanno cominciato una vasta esercitazione aeronavale.
Tema: «Guerra globale al terrorismo». (6)

Maurizio Blondet




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Note
1) «Trying to contain the disaster in Iraq», New Tork Times, 25 ottobre 2006.
2) WayneMadsenReport, 24 ottobre 2006.
3) Nicholas Kristof, «One minute in Iraq = $380,000», Herald Tribune, 25 ottobre 2006.
4) William Matthews, «Despite record spending, war drifting sideways», Defense Week, 22 ottobre.
5) «Le Pentagone en catastrophe libre», Dedefensa.org, 25 ottobre.
6) Michael Chossudovsky, «US naval wargames off the Iranian coastline: a provocation wich could lead to war», GlobalResearch, 24 ottobre 2006.




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