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    Predefinito Iraq: i nove paradossi di una guerra persa

    IRAK: I NOVE PARADOSSI DI UNA GUERRA PERSA

    Lunedì, 30 Ottobre 2006 - 00:05 -
    di Michael Schwartz*

    Recentemente il New York Times ha suggerito che che l’esercito americano ed i marine fossero prossimi a cambiare l’approccio concettuale alla guerra in Iraq. Le due istituzioni, riportava Michael R. Gordon, “ stanno terminando un lavoro su una nuova dottrina per la contro-insorgenza” che dovrebbe, secondo il tenente generale in pensione General Jack Keane, "cambiare l’intera cultura (dei militari) mentre transita al warfare irregolare”. Questi momenti strategici nei quali si grida “Eureka!” sono stati abbastanza comuni da quando l’amministrazione Bush invase l’Iraq nel marzo 2003, e questo - la copertura del quale è morta in meno di una settimana- sarà probabilmente buttato nel cestino della spazzatura della storia insieme alle altre volte nelle quali si è creduto che l’approccio tattico e strategico alla guerra dovesse cambiare. Tra questi vanno inclusi: l’assalto a Falluja nel 2004, diverse elezioni, lo “standing up” dell’esercito iracheno e il vallo, brevemente apparso sui media, che gli iracheni stavano pianificando di scavare attorno alla loro vasta capitale, Baghdad.

    Questo piano però aveva una parte intelligente, tratta da un articolo che quattro esperti militari hanno pubblicato sulla rivista semi-ufficiale Military Rewiew, intitolato: “"I paradossi della contro-insorgenza " (“The Paradoxes of Counterinsurgency”). I nove paradossi che questi esperti evidenziano sono a dir poco vistosi e rendono interessante la lettura; ma sono anche più di stimolanti rompicapo del warfare relativo alla contro-insorgenza. Ciascuno di questi contiene implicite critiche alla strategia americana in Iraq. Visti in questa luce diventano lezioni istruttive da parte degli interni sul perché la presenza americana in Iraq sia stata un tale disastro e perché questa (o di qualunque altro paese) nuova strategia abbia ridotte possibilità di portare miglioramenti.

    Paradosso 1:

    Più proteggi le tue forze, meno sei sicuro

    Gli esperti militari offrono questa spiegazione: “La contro-insorgenza ottiene il successo definitivo proteggendo la popolazione, non sé stessa”. Può sembrare un’affermazione debole, ma non fatevi ingannare. Integra una critica devastante al principio cardinale dell’esercito americano in Iraq: quella per la quale prima di tutto bisogna minimizzare il rischio per le truppe americane, stabilendo regole d’ingaggio che si riducono essenzialmente al “Prima spara e poi chiedi scusa”.

    Applicazioni di questo principio si rintracciano nella ormai familiari politiche di annichilire ogni auto che superi la linea di rispetto ai check-point ( perché potrebbe essere un’autobomba - N.d.t - e non solo, ricordiamo il caso dell’uccisione di Calipari.); sparare ai pedoni che si trovino sul percorso di ogni convoglio americano ( perché potrebbero tentare di fermare il convoglio e scatenare un agguato); e chiamare in causa l’artiglieria o l’aviazione contro ogni casa che possa essere un nascondiglio di insorgenti ( perché diversamente questi potrebbero scappare e/o sparare a una pattuglia Americana.

    Questa politica dello “spara per primo” ha garantito che fossero uccisi, feriti o lasciati senza casa un gran numero civili ( compreso un notevole numero di bambini). Per gran parte di noi, uccidere in questo modo molta gente innocente sarebbe stato un motivo sufficiente per abbandonare questa politica, ma da un punto di vista militare questo non è sufficiente in sé stesso. Queste tattiche diventano un anatema solo quando non puoi più ignorare che hanno reso ancora più difficile per l’esercito occupante “mantenere contatto” con la popolazione locale al fine di “ottenere informazioni per condurre le operazioni e rinforzare i legami con le persone che stabiliscono la legittimità”.

    Paradosso 2:

    Più forza usi, meno sei efficace.

    Gordon, giornalista del Times riassume bene la logica qui: “ Una forza robusta accresce il rischio di danni collaterali ed errori, e aumenta le opportunità per la propaganda della resistenza”.
    Considerando i livelli di devastazione raggiunti nella città sunnita di Falluja ( dove è stato stimato che il 70% delle strutture sono state danneggiate e circa il 50% distrutte nell’assalto americano del novembre 2004) e in altre città sunnite ( dove intere zone sono state devastate), o anche nella Najaf sciita ( nella quale intere zone e gran parte della città vecchia sono state distrutte nel 2004), la parola “robusta” deve essere considerata un eufemismo.

    Anche l’uso del termine “propaganda” tradisce l’orientamento degli autori (militari), dato che molti considerano tali livelli di devastazione una ragione legittima per unirsi a gruppi che mirino ad espellere gli occupanti.

    Ancora una volta colpisce la logica applicata dai militari. Questi livelli di distruzione non sono, in sé stessi, considerati un problema, almeno fino a che qualcuno realizza che stanno facilitando il reclutamento nella resistenza.

    Paradosso 3:

    Più la contro-insorgenza ha successo, meno forza bisogna usare.

    Sebbene non sia presentato in questa maniera, il paradosso è in realtà una critica diretta della strategia americana nei mesi successivi alla caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003. In quei primi giorni, la resistenza all’occupazione era veramente modesta, una media di soli sei ingaggi violenti al giorno (confrontati ai 90 di tre anni dopo).

    Ma la politica dell’esercito americano nel paese era ancora basata sulla forza soverchiante. I comandanti americani cercarono di scoraggiare una insorgenza maggiore reprimendo ferocemente ogni segno di resistenza. Questa strategia incluse ricerche casa per casa, testimoniate del reporter Nir Rosen e descritte nel suo impressionante libro: “In the Belly of the Green Bird.

    Queste missioni, ripetute centinaia di volte in tutto l’Iraq, comprendevano l’invasione delle case di sospetti insorgenti, trattamenti brutali delle loro famiglie e spesso delle loro proprietà, e la detenzione a tempo indeterminato degli uomini trovati in quasi tutte le case perquisite, anche se le truppe USA sapevano che le informazioni erano inaffidabili.

    Dimostrazioni relativamente pacifiche furono represse con la forza, facendole quasi sparire, fino a quando nel tardo aprile del 2004 a Falluja le truppe americane uccisero 13 dimostranti che chiedevano che i militari lasciassero una scuola usata come quartier generale locale. Questo incidente divenne una cause celebre attorno alla quale gli abitanti di Falluja si organizzarono assumendo un ruolo centrale nella resistenza che nacque di li a poco.

    La nuova strategia di contro-insorgenza accetta l’idea che dimostrazioni di forza schiacciante che producono una rispettosa obbedienza si siano dimostrate un boomerang, producendo invece una esplosione di ribellione. Ora che una maggioranza significativa degli iracheni è determinata ad espellere gli americani, le promesse di un trattamento più umano nel futuro non riusciranno a far tornare il genio dell’insorgenza nella bottiglia.

    Paradosso 4:

    A volte non fare nulla è la reazione migliore.

    Questo paradosso è nei fatti una critica a un altro principio cardinale dell’occupazione: l’applicazione di forza soverchiante per insegnare agli insorgenti ( e potenziali insorgenti) che nessun tipo opposizione verrà tollerata e che, in ogni caso, è senza speranza.

    Una tipica illustrazione di questo principio nella pratica è stata offerta da un rapporto dell’esercito, in gennaio: “ Un drone americano segnalò tre uomini che scavavano un buco in una strada della zona. Gli insorgenti seppelliscono abitualmente ordigni lungo le strade della zona per colpire convogli americani o iracheni. I tre uomini furono seguiti fino a un edificio, che poi le forze americane colpirono con munizioni guidate di precisione. Come risultò, l’attacco uccise 12 membri di una famiglia che abitavano in quella casa, danneggiò severamente sei case vicine e consolidò l’opposizione locale alla presenza americana”.

    Questo esempio, (moltiplicato per molte altre volte) rende chiaro perché, in così tante occasioni negli ultimi tre anni, potrebbe essere stato meglio non aver fatto nulla: meno nemici nei paraggi. Ma gli sviluppatori della nuova strategia militare hanno una visione più fredda della questione, preferendo definire il principio in questo modo: “ Se un’analisi attenta degli effetti di una risposta rivela che ne possa derivare più negatività che positività, i soldati dovrebbero considerare un’alternativa”.

    Perciò, mentre questo incidente potrebbe essere un esempio di un tempo nel quale “Non far nulla è la migliore reazione”, le numerose morti di civili che ne sono seguite potrebbero, almeno in alcune circostanze, essere superate da “positività”. Prendiamo, come esempio opposto, l’uccisione di Abu Musab al-Zarqawi, il capo di al Qaeda in Iraq, durante un bombardamento aereo che causò anche in quel caso parecchie vittime civili.

    Paradosso 5:

    Le migliori armi per la contro-insorgenza non sparano.

    Gordon offre la seguente traduzione di questo paradosso: “Spesso i dollari e le elezioni hanno più impatto di bombe e proiettili”. Dato il budget americano di 18 miliardi di dollari e tre elezioni ben partecipate dal gennaio 2005, potrebbe sembrare che gli sforzi dell’amministrazione Bush sotto questo singolo aspetto, abbiano anticipato veramente la nuova dottrina.

    Nel loro articolo originale, però, gli strateghi militari sono stati molto più precisi nel descrivere cosa intendessero con questa affermazione – e la precisione rende evidente quanto la “ricostruzione” americana sia rimasta lontana dall’essere efficace. Denaro ed elezioni, sottolineano, non sono abbastanza: Un vittoria duratura arriverà da un’economia vivace, partecipazione politica e del restauro della speranza.

    Quello che è successo è che gli ufficiali americani responsabili per l’Iraq volevano solamente recapitare quella vivace economia, insieme alla partecipazione politica e alla speranza restaurata, alle condizioni abbastanza precise che soddisfacevano le più ampie fantasie dell’amministrazione Bush.

    Il nuovo governo iracheno doveva essere un alleato americano, ostile a quella potenza regionale facente parte dell’Asse del male, l’Iran, e doveva abbracciare la “apertura” dell’economia irachena alle multinazionali americane. Date le realtà irachene e questa lista di priorità senza speranza o di sogni ad occhi aperti, non sorprende che l’economia del paese sia affondata in una depressione ancora più profonda, che i rappresentanti eletti non abbiano il potere e nemmeno la tendenza a realizzare le promesse fatte agli elettori e che le speranze principali della maggioranza degli iracheni siano focalizzate sulla partenza delle truppe americane perché, come ha concluso un sondaggio “L’americano praticamente fallisce nel fare qualsiasi cosa per gli iracheni”.

    Paradosso 6:

    Meglio Baghdad che fa qualcosa sufficientemente, degli USA che la fanno bene.

    Qui c’è un principio paradossale che l’occupazione ha visto realizzarsi completamente Lo slogan presidenziale “ Come gli iracheni faranno di più, noi faremo di meno”, è stata un’espressione della determinazione dell’amministrazione Bush a trasferire la la lotta in prima linea agli insorgenti, le pattuglie, i convogli, l’irruzione nelle case, e ogni combattimento casa per casa alle unità irachene, anche se la loro performance lavorativa si è dimostrata anche meno di “sufficiente” se confrontata alla rigorosa esecuzione delle truppe americane.

    Anche questo sforzo ha dimostrato il fallimento più completo ed evidente dell’amministrazione. In un paese nel quale l’80% della gente vuole che gli americani se ne vadano è molto difficile trovare soldati che vogliano combattere contro gli insorgenti che cercano di cacciarli.

    Questo era già evidente quando il primo gruppo di soldati e poliziotti addestrati dagli americani disertò il campo di battaglia durante I combattimenti di Falluja, Najaf, Mosul e Tal Afar nel 2004. Questo condusse all’attuale strategia americana di usare i soldati sciiti contro gli insorgenti sunniti, e di utilizzare i curdi contro I ribelli sia sunniti che sciiti (i sunniti, in gran parte, hanno rifiutato di combattere insieme agli americani). Questa politica, in cambio, ha contribuito sostanzialmente all’aumento ancora in corso della violenza settaria in Iraq..

    Anche oggi, dopo l’iniezione di enormi somme di denaro e anni di sforzi, una porzione notevole di nuove reclute diserta o si ammutina quando si trova di fronte alla prospettiva di combattere contro gli insorgenti anti-americani.

    Secondo Solomon Moore e Louise Roug del Los Angeles Times, nella provincia di Anbar, la scena dei combattimenti più pesanti, “ metà dei soldati iracheni sono in partenza alla prima occasione e molti non ritornano in servizio. In maggio il tasso di diserzione in certe unità irachene ha raggiunto il 40%.

    A settembre, I tre quarti dei 4.000 soldati iracheni spediti a Baghdad per aiutare l’operazione americana di riconquista della capitale e per la soppressione della violenza inter-etnica, ha rifiutato di schierarsi. Gli ufficiali americani hanno detto al L.A. Times che questo rifiuto era basato sulla volontà di non combattere al di fuori della propria regione natale e su una riluttanza nel “essere coinvolti in scomodi confronti settari”.

    Come suggerisce il fallito tentativo di far “stare in piedi” le forze irachene, l’obbiettivo di far combattere gli iracheni “sufficientemente” dipende molto dal dare loro una ragione per combattere che possano sostenere realmente. Fino a quando gli iracheni saranno richiesti di combattere accanto alle truppe la presenza delle quali osteggiano, gli USA non si possono aspettare che la qualità delle loro prestazioni sia “sufficiente” dal punto di vista dell’amministrazione Bush.

    Paradosso 7:

    Se una tattica funziona questa settimana, non funzionerà la prossima.

    La più chiara espressione di questo principio si trova nella storia degli ordigni esplosivi improvvisati (IEDs), l’arma anti-occupazione d’elezione tra i combattenti della resistenza irachena.

    Nel corso della guerra, l’occupazione militare ha inviato centinaia di pattuglie armate per catturare sospetti insorgenti con ricerche casa per casa. L’insorgenza in cambio si è concentrata nel deterrere e distrarre queste pattuglie, usando cecchini, granate a razzo e IED.

    All’inizio gli attacchi di cecchini erano I preferiti dagli insorgenti, ma la tipica risposta Americana – artiglieria e attacchi aerei- si dimostrò abbastanza efficace da spingerli a cercare alter maniere per rispondere. Gli IED guadagnarono allora popolarità, dato che potevano essere fatti esplodere da una distanza relativamente sicura. Quando le truppe americane svilupparono dispositivi per scovare i detonatori elettronici, gli insorgenti svilupparono una serie di dispositivi non elettronici. Quando gli americani migliorarono l’armatura dei veicoli per resistere alle tipiche cariche degli IED, gli insorgenti svilupparono cariche “appuntite” che potessero forare le corazze americane.

    Così funziona per ogni aspetto della Guerra. Ogni mossa di una parte provoca una risposta dell’altra. Gli esperti militari che sviluppano la nuova strategia possono indicare questo dilemma, ma non possono risolverlo. Il problema sottostante per i militari americani è che la resistenza ha già raggiunto il tipo di massa critica che le assicura una tattica di battaglia fatta di vittorie e sconfitte infinite.

    Una soluzione non presa in considerazione potrebbe funzionare molto bene: far finire le pattuglie. Ma una tale tattica significherebbe anche l’abbandono della contro-insorgenza e in definitiva dell’Iraq.

    Paradosso 8:

    Il successo tattico non garantisce niente.

    Questo punto è riassunto da Gordon in questo modo: “ Le azioni militari da sole non possono assicurare il successo”. Ma questa è la parte minore del paradosso. E’ abbastanza vero che l’insorgenza in Iraq spera di vincere “politicamente” aspettando che il popolo americano forzi il governo americano al ritiro, sia perché il costo della guerra supera i suoi benefici, o sia perché il la pressione internazionale renda la guerra diplomaticamente impraticabile.

    Però c’è un elemento non trascurabile in questo detto: che I combattenti la guerriglia non si aspettano di vincere alcuna battaglia militare con gli occupanti. Nell’articolo degli strateghi militari, è citato uno scambio tra il colonnello Harry Summers e la sua controparte Nord-vietnamita dopo il ritiro americano dal Vietnam. Quando Summer disse: “ Lei lo sa che non ci avete mai sconfitti sul campo di battaglia”, il suo avversario replicò: “Può essere, ma è del tutto irrilevante”

    Una vittoria tattica è conseguita quando il nemico è ucciso o si ritira, lasciando il campo di battaglia al vincitore. Nella Guerra di guerriglia, tuttavia, le guerriglie non vincono mai fino a che non si sciolgono e lasciano il loro avversario in carica.

    In Iraq, come in altre guerre di guerriglia di successo, l’esercito di occupazione non può rimanere per un tempo indefiniro sulla scena a godersi le sue vittorie tattiche, in ogni comunità, paese o città che riesce a conquistare. Deve muoversi ad affrontare la ribellione altrove e quando ci riesce, se i guerriglieri si sono defilati con successo, rioccuperanno la comunità, il paese, la città ottenendo in questo modo una vittoria strategica e governando l’area locale fino alla successiva sconfitta tattica.

    Se riescono a mantenere questo sistema abbastanza a lungo e in un numero di luoghi sufficiente, probabilmente renderanno la guerra troppo costosa e conseguentemente vinceranno la Guerra senza vincere una sola battaglia.

    Paradosso 9:

    Le decisioni più importanti non sono prese dai generali

    Dato che la guerra di guerriglia è decentralizzata, con bande locali che decidono dove piazzare gli IED, quando usare cecchini e quali pattuglie o basi attaccare, la lotta in comunità, province o regioni diverse assume forme molto diverse.

    Molti insorgenti a Falluja decisero di restare e combattere, mentre quelli a Tal Afar, vicino al confine siriano, decisero di evacuare la città in mezzo alla popolazione civile quando gli americani si avvicinarono in forze. Nelle aree sciite, i membri dell’esercito del Mahdi di Muqtada al-Sadr's Mehdi Army scelgono di arruolarsi nella polizia e di volgerla ai loro scopi; ma gli insorgenti sunniti hanno tentato invece di disarmare la polizia locale e di disperderne In ogni città o paese la strategia della resistenza è stata diversa.

    Gli ultimi strateghi militari americani sostengono che quella che loro chiamano “ la natura a mosaico di un’insorgenza” implica la necessità di dare autonomia ai comandi locali perché “si adattino altrettanto velocemente che l’insorgenza”. Ma una tale decentralizzazione non può funzionare se la popolazione locale supporta l’obbiettivo della resistenza di espellere gli occupanti.

    Dando autonomia in certe condizioni, gli ufficiali di basso livello americani possono decidere che annichilire una casa che si sospetta dia rifugio a un insorgente sia in quel caso controproducente; queste decisioni, tuttavia, umane, arriverebbero ora troppo tardi per convincere la popolazione locale che deve abbandonare il suo supporto a una campagna vista essenzialmente come una lotta d’indipendenza nazionale.

    Ci può essere stato un tempo, tornando ai primi tempi dell’invasione, nel quale gli USA avrebbero potuto adottare una strategia che li avrebbe resi benvenuti - per un certo periodo- in Iraq. Una tale strategia come affermano semplicemente i teorici militari, avrebbe dovuto portare “una vibrante economia, partecipazione e il ritorno della speranza”.

    Invece l’occupazione portò stagnazione economica e degrado, un governo impotente e la promessa di una violenza senza fine. Data questa realtà, nessuna nuova strategia - anche se umana, canny o ben concepita- potrebbe ribaltare l’impopolarità terminale dell’occupazione. Solo una partenza degli americani potrebbe rendere farlo.

    Paradossalmente le politiche che questi strateghi militari stanno tentando di riformare hanno assicurato che, anche se gran parte degli iracheni possano volere la partenza degli americani, questa sarebbe, al meglio, dolce ed amara allo stesso tempo. L’intreccio di violenza settaria e la quasi irreversibile distruzione portata dalla presenza americana, rendono improbabile che avrebbero il tempo o la voglia di godersi abbastanza soddisfazione per la fine dell’occupazione americana.


    *Michael Schwart è professore di sociologia e direttore di facoltà Stony Brook University. Tra i suoi libri: “ Radical Protest and Social Structure, and Social Policy and the Conservative Agenda (edited, with Clarence Lo). (Copyright 2006 Michael Schwartz)

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    E' sempre la solita solfa, è incredibile che ci sia bisogno di reimpararla, è addirittura superbamente ridicolo spacciarla per novità, che serva un team analitico ad hoc per reiventarla, la patata lessa. Quanta supponenza ci vuole per credere che certe cose valgano solo per gli altri?

    Niente di nuovo. Proprio ora che Hezbollah ha rivoluzionato lo stato dell'arte della conduzione della guerriglia, ponendo interrogativi eccezionali alle tattiche di controguerriglia.

 

 

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