da Area di Giugno 2006
Si, cioè no. Rispondendo al più cavilloso dei quesiti referendari, l'8 e il 9 novembre 1987 circa venti milioni di italiani decisero che l'Italia doveva abbandonare il nucleare. Gli elettori risposero si, cioè no, ai tre quesiti del referendum abrogativo creati ad arte per tramutarsi in un plebiscito pro o contro l'atomo. Li riassumiamo brevemente:1) volete abrogare la norma che affida al Cipe la localizzazione delle centrali quando gli enti locali non decidono? 2) volete abrogare il compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari? 3)volete che l'Enel partecipi alla costruzione e alla gestione di centrali nucleari all'estero? Tre si, cioè no. Tre croci da cui è iniziato il nostro calvario energetico. Le centrali di Latina, Caorso e Trino Vercellese 1 vennero chiuse, fu interrota la costruzione di Trino 2, Montalto di Castro fu riconvertita.
E' un fatto che se l'Italia dipende, oggi più che mai, dall'estero in fatto di politica energetica, è per la mancanza di valide alternative al petrolio e al gas. Il referendum proposto dalla compagnia dell'anguria (verdi fuori, rossi dentro) formata da Legambiente, Amici della Terra, italia Nostra, Lipu, Wwf, Dp, Pr, Verdi e Fgci, ha creato un problema enorme. Promossa sull'onda emotiva dell'incidente al reattore di Chernobyl, di cui ricorre quest'anno il ventesimo anniversario, la consultazione popolare ha azzerato il know how maturato negli anni 60 e 70 dal nostro Paese, dai fisici, dai manager, dagli ingegneri e dai tecnici del settore. Forse sarebbe andato tutto bene se il petrolio, questo digraziato, non avesse ripreso a correre, con quotazioni che tendono agli 80 dollari al barile nel medio periodo; forse sarebbe filato tutto liscio se non avessimo scoperto, lo scorso inverno, che qualora Mosca decidesse di chiudere i rubinetti del gas. l'Europa sarebbe finita.
Dopodichè, la domanda si è riproposta in grande stile: al nucleare si può- si deve - tornare?
Il dibattito è in corso e ha spaccato ancora una volta il mondo politico: da una parte i fermi sostenitori del si, come l'ex ministro delle Attività Produttive Claudio Scajola, e molti altri esponenti della maggioranza e del governo Berlusconi, dall'altra la sinistra come sempre divisa: con Gianni Letta, Pier Luigi Bersani e lo stesso Romano Prodi disponibili a riparlarne, e Rifondazione e Verdi che fanno orecchie da mercante. E pensare che a rivedere il suo giudizio sull'energia atomica, è stato perfino uno dei fondatori di Greenpeace, Patrick Moore, con una conversione che ha del clamoroso: "Dire no al nucleare negli anni 70 fu un errore del movimento verde", ha dichiarato Moore al Washington Post e ancora "se prima ritenevo un olocausto il nucleare, ora lo considero una salvezza dai cambiamenti climatici" (l'atomo non genera alcun effetto serra, ndr).
Compagni che sbagliano, si diceva una volta. Peccato che ne stiamo pagando, tutti, le conseguenze concrete. Nel mondo oggi sono in funzione 439 centrali nucleari, che danno il 17% dek fabbisogno globale di energia; la Francia, che ha puntato fortemente sull'atomo e vanta 59 centrali, produce con esse i tre quarti della sua domanda energetica; la Germania ha 17 impianti, la Spagna 9, il Belgio 7, la Gran Bretagna 23. Ventiquattro nuovi impianti sono in costruzione nel mondo, alcuni dei quali in India, Cina, Giappone e Taiwan; un altro, importantissimo, di nuova generazione (Epr, European Pressurized Reactor), è in costruzione in Finlandia, ma non sarà pronto prima del 2015.
Il referendum non impediva all'Italia di acquistare energia nucleare dall'estero, e cosi è stato. Se Maometto non va alla montagna, è l'Enel che sta andando alla conquista dell'atomo. Il colosso elettrico ha acquisito la compagnia slovacca Se (slovenske elektrarne), che disponde di sei (vecchi) reattori nucleari, altri due sono in costruzione a Mochove e saranno portati a termine dall'azienda italiana, probabilmente in partnership con l'Ansaldo e con la francese Edf. I reattori dei paesi ex comunisti sono di vecchia concezione, tuttavia quasi tutti, dopo Chernobyl, sono stati dotati di misure di sicurezza addizionali, fornite da aziende occidentali come la Framatome e la Siemens. Lo shopping dell'Enel ha detto più volte l'amministratore delegato Fulvio Conti, non si fermerà: gli impianti di Ungheria, Romania e Bulgaria sono nel mirino della società, che in vista della privatizzazione del mercato elettrico russo, sta stringendo accordi anche con la Esn Energo.
Che le aziende internazionali non stiano ad aspettare i balbettamenti dei governi nazionali, e tantomeno della politica europea, è dimostrato anche dalla partecipazione dell'Enel alla costruzione del reattore di nuova generazione che Edf costruirà in Normandia: 400 milioni che ci garantiranno il 12.5% di produzione di quell'impianto. Il nucleare copre oggi una quota significativa - il 32% - del fabbisogno europeo, ma la conferma delle discrepanze tra i venticinque paesi membri si è avuto tre mesi fa, alla presentazione del Libro Verde sull'energia, quando il presidente di turno dell'Unione Europea, l'austriaco Wolfgang Schuessel ha ribadito il "no" del suo Paese all'atomo.
Questo tipo di energia è ormai considerata da molti esperti "pulita" per definizione, e più conveniente delle altre: secondo alcuni studi, il costo è di 24 euro oer Megawatt/ora, quello per il carbone di 49 euro/Mwh, per il legno di euro/Mwh 47 e per l'eolico di 50 euro/Mwh.
Le incognite, sia chiaro, restano, in primis il problema della sicurezza e quello dello stoccaggio delle scorte radioattive. Sul primo punto, c'è da dire che i nuovi impianti, per esempio quello finlandese,sono attrezzati sia per evitare incidenti come quello di Chernobyl (la fusione del nucleo) sia gli attacchi terroristici.
Le scorie restano il problema più grande. In Italia, secondo la Sogin, la società preposta allo stoccaggio guidata dal generale Carlo Jean, ne esistono cinquantamila metri cubi a bassa e media radioattività, e ottomila ad alta radio attività. Da circa vent'anni, nelle nostre bollette compare la voce "oneri nucleari" che compensa l'enel della perdita sopportata per la dismissione delle centrali: oneri che la Sogin utilizza per la messa in sicurezza delle scorie, e che nel 2021 avranno raggiunto gli 11 miliardi di euro.
Non è facile localizzare le aree geologiche naturali, in grado di accogliere in condizioni di sicurezza il materiale radioattivo; dopo la rivolta di Scanzano Jonico, si sta cercando un luogo di deposito nazionale che possa definitivamente risolvere il problema; un problema che il governo Prodi non potrà far finta di non vedere.
Nel frattempo, i tre quarti delle scorie radioattive italiane si trovano nei pressi di Saluggia, nel Vercellese, dvoe associazioni ed enti locali sono in mobilitazione ormai da tempo. Perchè il nucleare, molti dicono che sarebbe un sogno. Ma nessuno poi lo vuole nel suo giardino.
Luigi Massi