...dalla morte di Cristo fino all’anno 2000, siano stati uccisi nel mondo 69 milioni e 420.000 cristiani e 220 Paesi sono stati teatro di persecuzioni cruente contro i cristiani: nel solo ’900 sono stati uccisi 45 milioni di cristiani dal comunismo e dall’estremismo islamico.
Secondo la World Christian Encyclopedia, «circa 160.000 persone ogni anno trovano la morte a causa della loro fede in Gesù».
Nel Rapporto 2000 sulla libertà religiosa nel mondo emerge un quadro allarmante sulla situazione dei credenti, soprattutto cristiani e cattolici, nei Paesi dove l’Islam è la religione prevalente. In Arabia Saudita , dove esiste un speciale corpo di agenti denominato “polizia religiosa”, decine e decine di immigrati filippini sono stati prima arrestati e poi espulsi per “attività cristiane”, a volte semplice possesso di una Bibbia! Ogni manifestazione pubblica (portare un crocifisso, pregare in pubblico) è proibita. Nell’aprile del 2001 due filippini sono stati arrestati con l’accusa di praticare il culto in casa propria: hanno scontato un mese di carcere e ricevuto 150 frustate, mentre 11 cristiani sono stati arrestati durante un incontro di preghiera in una casa privata. Nell’estate dello stesso anno, 13 cristiani sono stati arrestati a Jedda: sono stati frustati e picchiati di fronte agli altri prigionieri.
Non ci sono sacerdoti né religiosi residenti nel Paese: l’ultimo, un sacerdote americano è stato espulso nel 1985. Persecuzioni verso i cristiani accadono anche in Egitto, mentre in Bangladesh è rifiutato il visto d’ingresso ai missionari; in Iran i cristiani sono spiati dai “guardiani della rivoluzione” e possono accedere solo a certe professioni; nel sultanato del Brunei sono tollerate le scuole gestite e dai missionari, ma anziché la religione cattolica, si è costretti ad insegnare quella musulmana.
Nelle Filippine, unico Paese asiatico a maggioranza cattolica, sono in corso attacchi alla comunità cristiana dal 1999. Numerose vittime si sono avute nell’isola di Mindanao, mentre a Timor Est in Indonesia l’intera popolazione cristiana fu costretta alla fuga dalla feroce repressione islamica, tollerata se non incoraggiata dal governo. Il massacro di cristiani non fa neanche notizia. Alle Molucche qualche mese fa è affondata una nave carica di 500 cristiani in fuga dalle violenze delle milizie musulmane. Quasi tutti morti, ma sui giornali se n’è appena accennato. L’agenzia missionaria Misna ha denunciato l’islamizzazione forzata delle Molucche.
Oltre mille cristiani nelle isole di Keswi e Teor sono stati costretti a rinnegare la loro fede e ad abbracciare l’Islam: centinaia di uomini sono stati circoncisi a forza con rasoi e le donne sono state infibulate. Una ragazza cristiana è stata ammazzata essersi opposta a un matrimonio forzato con un musulmano (che implicava la «conversione»).
L’organizzazione Ask per i diritti umani in Bangladesh ha censito almeno 177 vittime delle “fatwa” (un anatema islamico). Le donne ritenute colpevoli subiscono fustigazioni in pubblico o lapidazione o sono costrette a restare con il corpo per metà interrato. Molte si suicidano.
La sharìa (la legge coranica con valore anche civile, che vuol dire legge del taglione e lapidazione per le adultere) è stata imposta anche dallo stato nigeriano di Kaduna, dove metà della popolazione è cristiana. In Pakistan basta una frase critica relativa al Corano per far condannare un cristiano all’impiccagione. In Sudan il Sud abitato da cristiani e animisti è devastato dal Fronte Islamico. Il genocidio in corso da decenni ha fatto due milioni di vittime. Ufficiali incoraggiati dal diritto di poter ottenere tutte le terre che riescono a conquistare, guidano milizie che uccidono gli uomini, e riducono in schiavitù donne e bambini.
Le donne vengono violentate, ai bambini viene cambiato il nome e la religione. Secondo Christian Solidarity International (Csi), «si tratta di un progetto di pulizia etnica, per favorire l’espansione di tribù arabe e cancellare la popolazione locale». Mons. Macram Max Gassis, vescovo di El Obeid nel Sudan centrale, già segretario generale della Conferenza Episcopale Sudanese e presidente della Caritas, ha testimoniato al Congresso americano circa le atrocità commesse dal governo sudanese, e da allora gli è stato vietato il rientro nel Paese. «Le moschee crescono come funghi mentre da più di venti anni a noi cristiani non è stato permesso di costruire nemmeno una chiesa - ha detto - Gli aiuti alimentari dell’Occidente non vengono distribuiti ai non musulmani». «Non solo non vogliamo accorgerci della via pericolosa che l’Islam ha imboccato - scrive ancora Galli della Loggia - ma quel che è peggio sembriamo aver paura persino di parlarne». E quando qualcuno ha il coraggio di reagire, nota bene, viene costretto ad andarsene.
(tratto da un articolo di Fabrizio Di Ferdinando)