Martedì 31 ottobre 2006

Accoglienza senza discriminazioni

Quanta enfasi sulle moschee E per gli immigrati ortodossi?


Carlo Cardia

Quando si spezzettano i problemi si corre il rischio di smarrire il filo rosso che li unisce, di non cogliere il senso complessivo dell’argomento di cui si discute. Così sta avvenendo nel dibattito sulla edificazione delle moschee che vanno sorgendo in parecchie città d’Italia. Si contesta la scelta di alcuni Comuni che consentono, o favoriscono, la costruzione di templi islamici. Si dubita dell’opportunità della scelta dei francescani di Genova che avrebbero scambiato il terreno per una moschea che verrebbe così inclusa nella città. Si segnala il rischio che alcuni templi vengano gestiti da organizzazioni integraliste, se non addirittura collegate con movimenti fondamentalisti.
Alcune di queste affermazioni sono esatte, in particolare quelle che pongono il problema del radicamento di gruppi estremisti, e del rischio che questi diventino egemoni nella direzione delle moschee. Ma il dibattito complessivo risulta confuso e provoca disorientamento sul piano dei principi e su quello dei fatti.
Per mettere un po’ d’ordine si deve partire allora da una considerazione generale, e insieme molto concreta. L’immigrazione sta facendo emergere un pluralismo religioso al quale l’Italia non era abituata. Questa emergenza deve trovare una risposta positiva, in sintonia con i principi costituzionali, e con la tradizione di laicità accogliente che è propria del nostro Paese.
Da questo punto di vista, una certa insofferenza che traspare da letture negative sulla costruzione di moschee non convince. Il diritto di libertà religiosa, che comprende la piena libertà di culto, deve essere garantito a chiunque si trovi sul territorio nazionale, e posizioni pregiudiziali nei confronti dell’Islam non sono accettabili, non soltanto in linea di principio, ma anche perché quasi il 50% degli immigrati risulta di orientamento musulmano.
Inoltre, limitare la discussione alla questione islamica provoca ulteriore confusione. Perché l’immigrazione è comprensiva di una molteplicità di soggetti e comunità che provengono da diverse aree geografiche e tradizioni religiose. Pochi sanno, ad esempio, che quasi il trenta per cento degli immigrati proviene dai paesi dell’Europa orientale, e che è per la massima parte di religione cristiano-ortodossa. Si tratta di centinaia di migliaia di persone che dalla Russia, dalla Romania, e altri paesi, sono giunti in Italia nell’ultimo decennio, e vivono una condizione (sociale e religiosa) difficile e precaria.
Queste comunità ortodosse non hanno templi propri. Sono ospitate in situazioni di estremo disagio da chiese cattoliche, per la buona volontà di alcuni nostri vescovi. A volte possono fruirne soltanto per alcune ore al giorno, o alla settimana, senza la disponibilità di quegli spazi e locali necessari per le attività pastorali, catechetiche, culturali. Basti pensare che alcune comunità celebrano in una sola città oltre 500 battesimi annuali, ma non riescono ad avere veri uffici parrocchiali, o ambienti dove sviluppare attività caritative che hanno un valore religioso e sociale elevatissimo.
In altri termini, si è determinata una condizione di precarietà e incertezza che le autorità amministrative (Regioni e Comuni) non aiutano a superare. Alla richiesta di aree e aiuti economici si oppone il fatto che queste Chiese ortodosse non sono riconosciute. Ma si dimentica che neanche le comunità islamiche hanno ottenuto alcun riconoscimento, e che le nostre leggi pongono in posizione di parità tutte le confessioni religiose, riconosciute o meno che siano. La mancanza, poi, di una legge generale sulla libertà religiosa (in discussione da oltre 12 anni in Parlamento) impedisce di far fronte adeguatamente ad una situazione nuova per l’Italia.
Si va così radicando una macroscopica discriminazione all’interno del fenomeno dell’immigrazione che deve essere affrontato e risolto. È necessario che i sindaci delle principali città non procedano in modo erratico ed episodico alla soddisfazione dei bisogni religiosi delle comunità e tnico-religiose ma si pongano il problema, con una programmazione che rispetti i diritti di tutti, di agevolare e sostenere l’individuazione di terreni e la costruzione di templi per i musulmani, per i cristiani ortodossi di diversa denominazione, per eventuali altre comunità. Ed è necessario che ciascuna comunità possa proporre, su dati certi e verificabili, gli effettivi bisogni pastorali e culturali della propria popolazione.
Tutto questo non avviene. Sotto i riflettori di una cronaca un po’ gridata sono soprattutto gli islamici, e le autorità amministrative cadono a volte nella trappola mediatica. Mentre nel cono d’ombra della cronaca e dell’attenzione vengono situati gli altri, come se non facessero parte anch’essi di quel fenomeno multiculturale che caratterizza l’attuale fase storica. Per questa ragione, le polemiche sulla costruzione delle moschee possono presentare dei frammenti di ragionevolezza, ma vanno superate in una visione più ampia e realistica della condizione degli immigrati, per la quale ci si deve impegnare fortemente a livello amministrativo, ma anche civile e culturale. Discriminazioni ed emarginazioni di interi gruppi sociali alla lunga ricadono sul tessuto collettivo che si sta costruendo faticosamente dentro e attorno al fenomeno dell’immigrazione.



Copyright Avvenire ©2001-2006 Credits