Il dott.Guizzetti, ieri sera, durante un affollato incontro nella sede del Banco di Sardegna a Cagliari (la sala poteva contenere 150 persone, ma altri 150 hanno dovuto "accomodarsi" in piedi o seduti per terra) ha illustrato il suo lavoro: da dieci anni dirige il centro Don Orione di Milano, dove si prendono cura di circa 80 persone in stato vegetativo.

Si è soffermato molto sul fatto che queste persone, per vivere, hanno bisogno di ciò di cui abbiamo bisogno noi: mangiare e bere, respirare, fare movimento, avere contatti umani.

Lui stesso dice che loro non fanno nulla di più,e nulla di più è richiesto. Respirare, respirano da soli. Le altre tre cose devono essere date loro, come faresti peraltro con un bimbo piccolo o con un anziano allettato.

I risultati sono sorprendenti: su 80 persone, circa 20 riescono a stabilire, dopo alcuni mesi di "terapia", un contatto coi familiari e col personale. Si tratta di movimenti della mano, degli occhi, delle gambe. Non si tratta di suggestioni, ma di veri e propri dialoghi tra due o più persone.

In molti, fra questi, possono tornare a casa e stare autonomamente con la propria famiglia. Non pensiamo siano solo anziani, ma anche ragazzini, mogli, mariti, persone non anziane.

Questo non è accanimento terapeutico, tant'è che per farle morire, come successe con Terri Schiavo, bisogna non dare loro da mangiare e da bere, con le sofferenze che ne derivano, visto che alla stessa Schiavo durante la sua agonia venne somministrata della morfina.

E allora è bene che si smetta di parlare di eutanasia per questa gente. Ormai la scienza permette un miglioramento costante delle loro condizioni, e riuscire a dialogare con un proprio caro in stato vegetativo dopo quattro anni è come tornare alla vita.

E non è possibile, e su questo il dott.Pisu ha premuto molto, costringere un medico a togliere la vita ad una persona: non è questo il compito nè la missione dei medici.

L'aspettativa di vita è stimata tra i 7 e i 10 anni. Si arriva, anche a 15 anni prima che una persona in stato vegetativo muoia. E la maggior parte delle volte per cause naturali, per lo più dovute alla debolezza delle difese immunitarie e la debolezza generale che lo stato in cui si trovano comporta.

Dico, io, che non è possibile far scegliere ad una persona oggi, cosa dovrebbe essere fatto della sua vita nel caso si trovasse in quella condizione.
L'aspettativa di vita di un sano pensandosi in quelle condizioni, non è paragonabile a quella di quando ci si trova in quelle condizioni.

Il dott.Pisu ha portato un'esperienza personale molto significativa.
Quando lavorava presso il 118, lo chiamarono per un incidente dove un ragazzo, in moto, aveva sbattuto contro il guard rail che gli amputò i due piedi.
La scena era macabra, e il ragazzo in ambulanza ripetè più volte: lasciatemi morire, in queste condizioni non vale la pena vivere.
Dopo due giorni il dott.Pisu andò a trovarlo e già stava guardando dei fogli scaricati dainternet con i modelli di protesi in alluminio, chiedendo ripetutamente quando avrebbe potuto prenderle e adoperarle.

Se questo ragazzo avesse scritto, da sano, di lasciarlo morire se trovato in quelle condizioni? Sarebbe bastato un versamento di sangue in più e il 118 l'avrebbe trovato privo di coscienza: sarebbe bastata quella dichiarazione.

Il punto di vista non può essere lo stesso.