IL DIRITTO NATURALE NEL PENSIERO CONTRORIVOLUZIONARIO DI VON HALLER
di Guglielmo Piombini

Carl Ludwig von Haller è considerato, insieme a Edmund Burke, Joseph de Maistre, Louis de Bonald, Juan Donoso Cortés, Justus Moeser, Félicité de Lamennais (prima maniera), Renè de Chautebriand, uno dei principali pensatori controrivoluzionari che dopo il 1789 difesero la legittimità delle monarchie tradizionali minacciate dalle nuove idee rivoluzionarie. Si deve proprio al titolo del capolavoro di von Haller, La Restaurazione della scienza politica (in 3 volumi, tradotti in italiano dalla Utet nella prestigiosa collana dei “Classici della politica”, a cura di Mario Sancipriano), se il termine “Restaurazione” venne da allora usato per indicare quel periodo storico che si apre con il Congresso di Vienna del 1815 e che vede ritornare sui troni d’Europa le monarchie legittime spodestate dalla Rivoluzione francese e dalle armate napoleoniche. (...)

Carl Ludwig von Haller ha dedicato la sua vita a combattere i principi rivoluzionari, come la teoria della sovranità popolare e del contratto sociale, alla cui grande diffusione avevano contribuito proprio gli scritti di un suo connazionale, Jean-Jacques Rousseau. Egli trovava conferme nella fondatezza della sue idee costatando che la Rivoluzione francese aveva prodotto tutto il contrario di quello che aveva proclamato, specialmente nel campo delle libertà individuali e della tutela della proprietà privata, creando uno Stato dispotico come mai si era visto in Europa, dotato di una burocrazia sempre più invadente che governava i sudditi “come se fossero nemici vinti”. Per questo egli provò in fondo all’anima un’invincibile ripugnanza per quegli sviluppi della Rivoluzione che venivano impropriamente giudicati come suoi eccessi; per non parlare degli aspetti blasfemi e antireligiosi, che lo colmavano di orrore. (...)

La concezione privatistica dell’ordine politico

Von Haller è l’unico pensatore controrivoluzionario capace di mantenersi saldamente immune dall’influenza dei principi sovranitari dello jus publicum europaeum. Lo studioso svizzero difende la legittimità delle monarchie europee minacciate dalla Rivoluzione non rifacendosi alle prerogative che i re avevano conquistato nel corso del processo di centralizzazione statalista del potere avvenuto in età moderna, noto come “assolutismo”; ma ricollegandosi idealmente al significato originario delle antiche istituzioni medievali. Per questo motivo viene generalmente presentato come l’autore di una sistematica e organica “concezione privatistica dello Stato” (ma meglio dovrebbe dirsi “dell’ordine politico”). Se de Maistre è già troppo moderno nella sua esaltazione della sovranità statale assoluta, von Haller è autenticamente tradizionalista, perché tiene gli occhi saldamente puntati all’epoca premoderna, quando i caratteri della statualità (la territorialità, la sovranità, il monopolio legale della forza) non si erano ancora affermati. È in quest’epoca pluralistica e caratterizzata dal dominio del diritto privato, e non in quella successiva che vede il rafforzamento della centralizzazione statale, che secondo von Haller si possono trovare i fondamenti per dimostrare la legittimità delle monarchie tradizionali, e l’illegittimità degli Stati democratici sorti dalla Rivoluzione. (...)

Il monarca come proprietario

I “sovrani” medievali, a differenza dei sovrani moderni propriamente detti, esercitano la loro autorità esclusivamente su coloro con i quali intercorrono rapporti volontari diretti, o indiretti tramite la catena di vassallaggio. Ecco perché, afferma von Haller, essendo uno sviluppo di originarie facoltà proprietarie l’istituzione monarchica è sempre stata incontestabilmente la prima e più antica forma di governo delle società civilizzate.

In questo dominio territoriale patrimoniale il re medievale può esercitare nei confronti dei suoi sudditi solo facoltà permesse dal diritto naturale comuni a tutti gli uomini (ad esempio punire un’offesa o giudicare una controversia su richiesta) o previste nei patti che ha concluso. Egli non può in nessun modo impossessarsi o violare la proprietà dei propri sudditi, e quindi non può esigere tasse, ma solo canoni d’affitto, pedaggi e altri servizi in denaro o in natura concordati; non può emanare leggi “generali e astratte”, ma al massimo solo ordini particolari, e solo in riferimento al particolare tipo di rapporto che lo lega al destinatario; non può arruolare nessuno a forza nel suo esercito, ma solo assoldare volontari ed esigere dai suoi vassalli l’adempimento degli impegni di aiuto militare. Il re, ci ricorda von Haller, non è infatti diverso dai suoi sudditi se non di fatto, in quanto padrone di maggiori ricchezze, terre, eserciti, che gli permettono di soddisfare i bisogni di sicurezza, giustizia, nutrimento di una gran quantità di persone, in cambio della loro subordinazione. (...)

Nel Medioevo il “sovrano” traeva dunque la sua legittimazione a governare esclusivamente dai giusti diritti storici, che egli aveva via via acquisito nel tempo grazie a occupazioni originarie, acquisti di terre, lasciti ereditari, matrimoni, usanze feudali, controversie vinte grazie alle armi. A differenza di un usurpatore (alla Robespierre o alla Napoleone), il monarca medievale non poteva violare le leggi naturali e consuetudinarie che regolavano la proprietà, perché così facendo avrebbe sconfessato quegli stessi titoli giuridici che facevano di lui un “sovrano” legittimo.

L’impossibilità del contratto sociale

(...) La teoria del “contratto sociale” capovolge il reale svolgimento dei fatti storici, perché immagina una delega di potere dal basso verso l’alto che non è mai avvenuta in nessun momento della storia. In questa critica filosofica alla dottrina del contratto sociale è possibile ritrovare una completa e sorprendente assonanza tra le idee del conservatore von Haller e quelle dell’anarchico individualista americano Lysander Spooner, il quale solo qualche decennio più tardi (nel brillante No Treason n. 6) negò l’autorità e la natura contrattuale della Costituzione americana, affermando che nessun individuo sano di mente firmerebbe mai un contratto con cui attribuisce in via definitiva ad altri un potere arbitrario sulla propria vita, libertà e proprietà; e se mai qualcuno l’avesse sottoscritto, non vincolerebbe che se stesso, e non certo i propri vicini di casa e tutti i propri discendenti.

L’anarco-capitalismo è controrivoluzionario?

Dall’analisi svolta finora discendono alcune conseguenze interessanti, la prima delle quali è la constatazione dell’esistenza di una parentela inaspettata tra l’anarco-capitalismo contemporaneo e quel pensiero controrivoluzionario che, reagendo alle novità introdotte dalla Rivoluzione francese, rivendica la legittimità delle istituzioni medievali prive di un monopolio legale della forza. Ciò non deve sorprendere, dato che l’ordine naturale sostenuto da Murray N. Rothbard o Hans-Hermann Hoppe è interamente privatistico e proprietaristico, e non contempla poteri o monopoli di natura pubblica. (...)

I libertari credono, anche alla luce della lezione di von Haller, che per avvicinarsi ad una società sottratta alle logiche dello Stato moderno e fondata saldamente sui diritti di proprietà non occorra inventare nulla di utopistico o fuori dal senso comune. È sufficiente recuperare lo spirito di quelle istituzioni premoderne eclissate nei secoli dall’ininterrotta avanzata dello Stato: non tanto per restaurare improbabili monarchie tradizionali, dato che la loro legittimità storica è stata interrotta e persa per sempre, ma per delegittimare il più possibile il potere arrogantemente esercitato dalle classi politico-burocratiche in nome della democrazia e della sovranità popolare. Dato che la proprietà terriera presenta attualmente un’importanza economica e sociale di gran lunga minore rispetto al passato, è probabile che un futuro ordine naturale assuma un aspetto molto differente da quello medievale, anche per i profondi cambiamenti tecnologici intervenuti. Al posto di re o prìncipi troveremo più facilmente grandi compagnie assicurative in concorrenza tra loro, e al posto dei Comuni una miriade di privatopie e città private. Un eventuale “Medioevo prossimo venturo” assomiglierebbe molto probabilmente al panorama politico-istituzionale pluricentrico immaginato dai moderni teorici del neo-federalismo, come Daniel Elazar o Gianfranco Miglio.