INTERVISTA SUL PALEOLIBERTARISMO A GUGLIELMO PIOMBINI
di Marco Massignan

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Il principale teorico del libertarianism è stato Murray N. Rothbard. In che cosa consiste la sintesi da lui operata è quale è stato il suo background ideologico?

Durante gli anni della guerra fredda l’Old Right, la vecchia Destra antirooseveltiana e antinterventista, si era sfaldata, e la Destra americana (dalla New Right di William Buckley ai neoconservatori) per paura della minaccia sovietica aveva finito per accettare la presenza di uno “Stato forte”. Il mortale pericolo comunista non sembrava porre altre alternative. All’interno della Destra gli unici a sfidare questa convinzione furono Murray N. Rothbard e pochi altri intellettuali, i quali negli anni Sessanta e Settanta diedero vita al movimento libertario. Rispetto ai conservatori i libertari erano decisamente più antistatalisti sul piano economico e fortemente isolazionisti nei rapporti internazionali. Grazie soprattutto all’elaborazione teorica di Murray N. Rothbard, la dottrina libertaria venne sviluppata in maniera sistematica, fondandosi sulla rigorosa difesa dei diritti naturali alla vita, alla libertà e alla proprietà degli individui; sulla celebrazione del libero mercato; e sulla radicale critica dello Stato. Venne così delineato un modello ideale di società libertaria, definito talora anarco-capitalista, che condannava ogni monopolio legale anche nei campi della sicurezza e della giustizia, e prevedeva al suo posto la libera concorrenza tra agenzie di protezione, arbitrali o assicurative. In definitiva, realizzando una sofisticata sintesi di realismo filosofico tomista, giusnaturalismo liberale alla Locke, anarchismo politico alla Tucker o alla Spooner e soggettivismo della Scuola Austriaca dell’economia, Rothbard rinnovò in una veste più coerente e radicale la lezione dei liberali classici dell’Ottocento.

Oggi, anche tu, non esiti a definirti “paleolibertario”. Secondo te, si tratta di una svolta necessaria per uscire dalla marginalizzazione e far breccia nella cultura mainstream, o, come molti lamentano, è solamente una involuzione verso la destra cattolica, conservatrice e financo reazionaria?

Negli Stati Uniti il “paleolibertarismo” nasce nei primi anni Novanta, quando Rothbard si decide a rompere definitivamente con il Partito Libertario, che aveva contribuito a fondare e per il quale aveva profuso notevoli energie, a causa della forte insofferenza che gli procurava l’atteggiamento “alternativo” e “controculturale” esibito da molti attivisti libertari. Il termine “paleolibertario”, o libertario all’antica, venne coniato da Lew Rockwell, il principale collaboratore di Rothbard negli ultimi anni della sua vita, per evidenziare la continuità con la Old Right di un tempo e per differenziare le proprie posizioni da quelle, giudicate decadenti, edoniste, relativiste e libertine dei left-libertarians (che in Italia potrebbero essere assimilati, per alcuni versi, ai radicali), in uno sforzo di combinare un radicale liberalismo nel campo politico ed economico con un altrettanto deciso tradizionalismo nel campo culturale. Rothbard si era infatti convinto che le libertà americane fossero germogliate non dal relativismo e dal nichilismo degli anni Sessanta, ma dai tradizionali valori giudaico-cristiani, considerati come dei veri e propri prerequisiti sociologici del libertarismo. Non direi quindi che il tradizionalismo culturale dei paleolibertari sia stato un espediente per far breccia nella cultura mainstream: forse si possono attrarre alcune parti del mondo cattolico e conservatore, ma la cultura dominante rimane largamente secolarizzata, relativista e materialista, per cui la battaglia risulta ancora più difficile. Però è assolutamente necessaria: come ha osservato Rothbard, questa guerra culturale ha un’importanza ben maggiore di quella per ridurre le tasse sui guadagni di borsa, perché da essa dipende l’anima e il futuro dell’America (e dell’Occidente).

La sfida che i paleolibertari si pongono - mi pare di capire - è sul terreno della cultura. E' possibile, a tuo avviso, una seria collaborazione con il mondo cattolico senza cadere in compromessi dannosi per entrambi? Insomma, quali sono i punti in comune e quelli che ancora vi dividono?

È significativo che Rothbard, libertario ebreo e agnostico, pur senza convertirsi e senza cambiare nessuna delle sue idee politiche sia arrivato al termine del suo percorso intellettuale a considerarsi “un ardente sostenitore del Cristianesimo” e ad aderire ad una visione culturale in senso lato cattolica. Su gran parte delle questioni morali e culturali, soprattutto negli ultimi tempi, egli si trovava molto più vicino ai cattolici che a certe frange libertarie, ad esempio a proposito dell’eutanasia o della presenza dei segni religiosi negli spazi pubblici (anche sull’aborto attenuò la sua posizione pro-choice, pur non abbandonandola). Io credo che il Cattolicesimo possa rinforzare la teoria libertaria fornendogli un sostegno culturale e anche metafisico, dato che l’uomo è per natura un animale religioso che non rinuncerà mai alle domande ultime sul senso della vita. Da parte sua, il libertarismo di scuola austriaca può dare un contributo alla dottrina sociale della Chiesa, rendendola meno vaga e più cosciente del rapporto indissolubile tra libertà economica e dignità umana. Il sistema prasseologico misesiano, che parte da alcuni assiomi empirici autoevidenti e si sviluppa per deduzioni, è molto più compatibile dell’economia neoclassica o positivista con la forma mentis cattolica, presentando forti analogie metodologiche con il sistema della Scolastica di San Tommaso. Non è un caso che qualcuno ha definito il sistema di Rothbard come una “filosofia tomista senza teologia”.

L'erede intellettuale di Rothbard, Hans-Hermann Hoppe, viene spesso accusato dai left-libertarians di essere razzista e xenofobo; nonché nella sua rivalutazione dei sistemi politici tipici dell'ancien régime viene additato di atteggiamento antimoderno. Che ne pensi?

Hans-Hermann Hoppe ha sviluppato la teoria libertaria in un libro pieno di idee intelligenti e provocatorie, che possono risultare scandalose per l’opinione comune: Democracy: The God That Failed (in corso di traduzione in Italia da parte della Liberilibri di Macerata, a cura di Alberto Mingardi). Con un taglio revisionista, Hoppe rivaluta alcuni aspetti di moderazione delle monarchie tradizionali rispetto alle democrazie moderne, e indica nello statalismo welfarista il vero distruttore dei legami comunitari e dei valori tradizionali. Un altro aspetto delle tesi di Hoppe, decisamente irritante per il pensiero politicamente corretto, è il suo giudizio favorevole ad ogni forma di secessione che porti a decomposizione gli attuali Stati nazionali. L’utopia sarebbe quella di tornare ad un sistema pluralistico come quello medievale, del quale oggi rimane qualche traccia solo in quelle autentiche reliquie che sono il Principato di Monaco, Andorra, San Marino, il Liechtenstein, i cantoni svizzeri. Dalla moltiplicazioni dei governi deriverebbe una pressione concorrenziale tale da renderli meno esosi e più favorevoli alla libertà individuale, come nel modello “anarco-capitalista”. Invece di usare questa espressione, Hoppe preferisce però definire “ordine naturale” il tipo di società nella quale gli uomini tendono spontaneamente a convivere, quando per qualsiasi motivo è assente un potere politico centralizzatore: in questo modo egli si ricollega idealmente alla filosofia scolastica del Medioevo. Hoppe ha inoltre messo in chiaro che non vi è un collegamento necessario tra l’ideologia libertaria e la libertà d’immigrazione. Anzi, poiché un “ordine naturale” libertario si fonda sulla proprietà privata, l’immigrazione sarebbe possibile solo quando vi è il consenso dei proprietari riceventi (da qui l’assurdità delle accuse di razzismo).
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