ROMA — «Per far crescere il Paese ci vuole un patto per la produttività che premi chi lavora di più e le aziende più dinamiche». Il vicepresidente della Confindustria per le relazioni sindacali Alberto Bombassei, concorda con Prodi nel prevedere una crescita del 3% e con la ricetta rigorista-liberista del governatore della Banca d'Italia Mario Draghi. E per raggiungere in anticipo la soglia magica del 3% rilancia la proposta fatta da Luca di Montezemolo e adottata l'altro giorno da una parte del sindacato, la Cisl di Raffaele Bonanni.

Per il governatore il Parlamento non deve attenuare la manovra. E' d'accordo?

«Assolutamente sì. Anzi, andrebbe rafforzata per recuperare i criteri che erano stati indicati nel Dpef e sui quali avevamo espresso la nostra piena condivisione».

Draghi ha anche detto che la produttività in Italia ristagna mentre in Francia e in Germania cresce oltre il 3%.

«La produttività è un fattore decisivo se vogliamo far crescere il Paese e il Governatore ha fatto bene a ricordarlo. Confindustria lo sostiene da tempo e ha lanciato ai sindacati e al governo la proposta di un "patto per la produttività"».

E che risposte ha avuto?

«La Uil si è dichiarata disponibile, la Cisl addirittura ha fatto propria l'idea del patto. La Cgil invece per l'ennesima volta ha dribblato la questione. Il suo segretario Guglielmo Epifani ha infatti spostato l'attenzione sulla precarietà che sarebbe prioritaria rispetto a qualsiasi altro argomento. Dobbiamo affrontare i nodi veri».

Entriamo nel merito...

«La produttività oggi è legata a filo doppio con la flessibilità dell'orario e all'organizzazione del lavoro in fabbrica. L'altro aspetto, spiace dirlo, riguarda il fatto che in Italia si lavori poco e in troppo pochi».

Vuol dire che gli italiani sono fannulloni?

«Le cifre parlano chiaro. Nel settore industriale ci sono circa cento ore all'anno di differenza fra quelle teoriche e quelle effettivamente lavorate. Una differenza che passa a oltre cinquecento ore all'anno se consideriamo le ore effettive rispetto a quelle annualmente retribuite. Di fatto, questo fa sì che da noi si lavori 250-300 ore meno che negli Usa».

Come la spiega questa differenza?

«Perché l'Italia ha un tasso di assenteismo maggiore rispetto al resto d'Europa. E poi perché siamo più litigiosi: le ore di sciopero, con tutto il rispetto del diritto costituzionalmente garantito, sono di gran lunga superiori a qualsiasi Paese europeo. Tutto questo porta a ridurre le ore effettivamente lavorate in Italia. È così che un americano ogni cinque anni ne lavora uno più di noi».

Bonanni ha proposto di defiscalizzare il maggior salario derivante dalla produttività. Straordinario compreso. Giusto?

«Noi crediamo di più nell' efficacia di uno sgravio contributivo del 50% sulla parte variabile dei premi aziendali. Una soluzione che eviterebbe il rischio paventato da Epifani circa possibili effetti negativi in termini pensionistici in quanto lo sgravio determina una copertura figurativa da parte dello Stato. Lo sgravio comporta un onere solo apparente perché sarebbe compensato dall'ampliamento della base contributiva. Anche per il lavoro straordinario, siamo dell'idea che sia possibile intervenire tanto sul piano contributivo che fiscale. Elimineremmo anche il rischio che alcuni paghino lo straordinario in "nero" con conseguenti vantaggi per tutti, imprese, lavoratori, finanze pubbliche».

Ma la Cgil svicola, perché secondo lei?

«E' frenata dall'ala radicale che trova la sua massima espressione all'interno della categoria più numerosa, quella dei metalmeccanici. E' un peccato perché in questo modo si soffocano le spinte riformiste ed innovative che pur sono ben presenti all'interno di tutti i sindacati, compresa la Cgil».

Epifani si è sempre detto d'accordo a innovazioni purché non si penalizzi il contratto nazionale.

«Benissimo. Allora siamo già d'accordo! Il documento che ho consegnato personalmente ai sindacati nel settembre del 2005 mette in chiaro che in un modello articolato su due livelli di contrattazione, occorre intervenire sulla contrattazione aziendale per avere premi di risultato effettivamente variabili. È quello che ci chiede l'Europa ed è ciò che già avviene nei Paesi più competitivi».

Forse su questi temi Confindustria è stata troppo soft. Non crede?

«Mi tocca sul vivo perché sono io il responsabile dei rapporti con i sindacati. Mi creda, abbiamo fatto di tutto. Ma non posso precettare Epifani per costringerlo a sedersi al tavolo».




Roberto Bagnoli



01 novembre 2006