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  1. #61
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    Predefinito Re: Antropologia del Carnevale

    Si brucia il carnevale

    "Per tutto il pensiero occidentale, ignorare il suo Medioevo significa ignorare se stesso" - Étienne Gilson


    "Se commettiamo ingiustizia, Dio ci lascerà senza musica" - Cassiodoro.

  2. #62
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    Predefinito Re: Antropologia del Carnevale

    La Bauta è la maschera più rappresentativa del carnevale nella Venezia antica: è l'icona di una città affascinante sospesa nel tempo e nello spazio e di un carnevale diverso da tutti gli altri...





    Pietro Longhi, Il Ridotto - 1740
    Accademia Carrara, Bergamo



    Gianni Nosenghi


    LA BAUTA



    [...] In realtà, la sola maschera, originariamente nera e poi bianca, era detta larva e, con la sua forma che si allargava come un becco appena sotto il naso, ricopriva per tre quarti il volto, lasciando visibile solo il mento. La sua particolare conformazione alterava la voce e permetteva di indossare la maschera perfino per bere e mangiare, mantenendo così l’anonimato. Con il termine bauta si intende l'intero costume, composto dalla maschera, il pizzo o zendale che era adottato da uomini e donne perché consentiva il più completo anonimato, il tricorno e il tabarro, un mantello a ruota tanto ampio che vi si poteva nascondere tutto, anche armi.

    Il tabarro poteva essere di panno o di seta secondo le stagioni, bianco o turchino, scarlatto per le occasioni importanti, a volte decorato con fronzoli, frange e fiocco alla militare. Era molto usato anche dalle donne, scuro d’inverno e bianco d’estate. Giustina Renier Michiel, una delle più nobili figure intellettuali del Settecento veneziano, racconta che: «La sera, mascherando la loro persona entro un nero mantello e una cappa pur nera di finissimo merlo, chiamata bauta, prendevano tutte una medesima forma. Pure quel piccolo cappello alla maschile, di cui erano adorne, messo con una non so quale bizzarria, aggiungeva maggior espressione alla fisionomia, maggior vivacità agli occhi e freschezza delle guance».

    Era comunemente usata quando si recavano a teatro mentre era proibita alle fanciulle in attesa del matrimonio. Come maschera, le donne usavano la moretta, una maschera ovale di velluto nero che ebbe origine in Francia, dove le dame erano solite utilizzarla per andare in visita alle monache, ma si diffuse rapidamente a Venezia, poiché abbelliva particolarmente i lineamenti femminili. Si indossava tenendola in bocca grazie a un piccolo perno ed era detta perciò maschera muta. Ma a parte questa differenza, infagottati sotto la bauta, era davvero difficile riconoscersi. L'insieme veniva definito anche "abiti di convenzione" e tutti, dai magistrati agli inquisitori di stato, dai prìncipi stranieri allo stesso doge, se ne servivano quando volevano essere irriconoscibili e liberi da ogni etichetta. Veniva utilizzata, ad esempio, dai giocatori d'azzardo, per nascondersi agli occhi di eventuali creditori, come dai nobiluomini barnaboti per chiedere l'elemosina agli angoli delle strade: i barnaboti erano i patrizi poveri e il nome deriva dalla zona di San Barnaba, abitata dai poveri della città.

    Quando due persOne in bauta si incontravano, si salutavano con un semplice "maschera". Potevano partecipare a qualsiasi evento, mischiati nella folla, sicuri da ogni insulto o offesa, perché la persona in tabarro e bauta era considerata sotto la speciale tutela della legge. Se pensiamo alle tante occasioni in cui si è parlato della Venezia licenziosa, è facile comprendere come la bauta venisse usata pressoché quotidianamente, non solo durante il Carnevale, tanto che agli inizi del 1600 il governo della Serenissima decise di vietarne l'uso durante la notte e impose altre limitazioni per tutelare l'ordine pubblico. Le maschere erano permesse dal giorno di Santo Stefano, data che sanciva il giorno dell'inizio del Carnevale veneziano, fino alla mezzanotte del martedì grasso, che lo concludeva.


    Gianni Nosenghi, 101 cose da fare a Venezia almeno una volta nella vita (Newton Compton)

  3. #63
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    Predefinito Re: Antropologia del Carnevale





    "Per tutto il pensiero occidentale, ignorare il suo Medioevo significa ignorare se stesso" - Étienne Gilson


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  4. #64
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    Predefinito Re: Antropologia del Carnevale

    VENEZIA, CARNEVALE 2019

    Il corteo delle maschere, il volo dell'"Angelo Guerriero" Micol Rossi (con l'armatura disegnata da Pietro Longhi)... e poi il volo dell'"Angelo Farfalla" Erika Chia (con lo spettacolare costume realizzato dall'Atelier Stefano Nicolao) nelle bellissime riprese realizzate dal videomaker Andrea Rizzo. La cerimonia che ha dato il via ufficiale al Carnevale di Venezia si è tenuta ieri.




  5. #65
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    Predefinito Re: Antropologia del Carnevale

    CORIANDOLI: COME SONO NATI




    Nel 1875 l'ingegner Enrico Mangili di Crescenzago ebbe l'idea di riciclare i cerchi scarto delle carte traforate che venivano utilizzate negli allevamenti di bachi da seta, all'epoca particolarmente numerosi in Lombardia. Nacquero così i coriandoli. E l'idea di Mangili di lanciare i dischetti colorati sui carri roscosse immediato successo. Fino ad allora era costume utilizzare oggetti molto meno innocui: uova, gessetti, arance, monete o confetti di coriandolo.

    Ad attribuirsi la paternità dei coriandoli è però anche un altro ingegnere, il triestino Ettore Fenderl. Secondo il suo racconto, da bambino avrebbe inventato i coriandoli quando, nel 1876, non avendo i soldi per acquistare i confetti di gesso allora in uso, ritagliò dei triangolini di carta.

    La differenza fondamentale tra la trovata di Fenderl e quella di Mangili è che solo nel secondo caso i dischetti vennero commercializzati, arrivando a essere utilizzati in modo diffuso. Questo elemento discriminante permette di attribuire l'invenzione all'ingegnere milanese, a cui per altro si deve anche la creazione delle stelle filanti: nell'idearle Mangili si ispirò alle striscioline di carta che scorrevano nei telegrafi per ricevere i messaggi in afabeto Morse.

  6. #66
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    Predefinito Re: Antropologia del Carnevale

    LE MASCHERE DEL CARNEVALE MAMOIADINO




    Il carnevale di Mamoiada è uno degli eventi più celebri del folclore sardo. Le maschere tradizionali di questo carnevale sono i Mamuthones e gli Issohadores.

    I primi, vestiti di pelli ovine, indossano una maschera nera di legno d'ontano o pero selvatico, dall'espressione sofferente o impassibile; sulla schiena portano "sa carriga", campanacci dal peso di circa 30 kg, legati con cinghie di cuoio, mentre al collo portano campanelle più piccole. I campanacci, fino a non molti anni fa, venivano forniti in via amichevole da pastori che recuperavano i pezzi più malandati o li prendevano direttamente dal collo delle loro bestie. I "sonazzos" sono dotati di "limbatthas", batacchi costruiti utilizzando le ossa del femore di pecore, capre, asini o altri animali. I campanacci ancora oggi sono realizzati con grande maestria da artigiani di Tonara, centro del Mandrolisai.

    Gli Issohadores indossano una camicia di lino, una giubba rossa, calzoni bianchi, uno scialle femminile, a tracolla portano sonagli d'ottone e di bronzo; alcuni portano una maschera antropomorfa bianca.

    Un rito molto sentito del carnevale è la vestizione dei Mamuthones, compiuta da due persone. Dopo la vestizione i Mamuthones sfilano in gruppi di dodici, rappresentando i mesi dell'anno, guidati dagli Issohadores che sfilano in gruppi di otto e danzano eseguendo passi di notevole difficoltà che devono essere imparati da bambini.





    La sfilata dei Mamuthones e degli Issohadores è una vera e propria cerimonia solenne, ordinata come una processione. I Mamuthones, disposti in due file parallele, fiancheggiati dagli Issohadores, si muovono molto lentamente curvi sotto il peso dei campanacci e con un ritmo scandito dagli Issohadores, dando un colpo di spalla per scuotere e far suonare tutti i campanacci. Gli Issohadores si muovono con passi più agili e all'improvviso lanciano la loro fune, sa soha, per catturare qualcuno degli astanti: i prigionieri per liberarsi dovranno offrire loro da bere.

    Le maschere fanno la loro apparizione in occasione della festa di Sant'Antonio tra il 16 e il 17 gennaio poi la domenica di carnevale e il martedì grasso. Durante l'ultimo giorno, il martedì grasso, si può assistere alla processione della maschera di Juvanne Martis Sero trasportata su un carretto da uomini vestiti da "zios" e "zias" che ne piangono la morte cantando sconsolatamente



  7. #67
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    Predefinito Re: Antropologia del Carnevale

    Luigi Pellini: L'origine remota del carnevale veronese
    L'origine remota del carnevale veronese

    L'origine remota del Carnevale Veronese secondo le teorie del grande studioso scaligero Umberto Grancelli, fautore del grande testo sulla rinascita e rifondazione della città "nova" di Verona; voluta dal nascente Impero Romano e attuata sotto precisi dettami esoterici. IL CARNEVALE VERONESE Non è fuor luogo ammettere che il Carnevale Veronese trovi le sue origini nelle antiche corse dei Palio, sancite dallo Statuto Albertino e che trovano magistrale eco nel canto XV dell'Inferno della Divina Commedia. "E parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde'' Narra la tradizione, riportata dagli storici dell'umanesimo, che Ezzelino, dopo aver vinto la fazione dei Sanbonifacio, rientrò a Verona nella prima domenica di Quaresima del 1208 con entusiasmo e con giostre e tornei; si stabilì che ogni anno si corresse il Palio, al quale per rinnovati trionfi accorrevano molti onorati cavalieri e nobilissime dame da molte parti d'Italia. Umberto Grancelli, in una dissertazione apparsa su Vita Veronese nel 1954, lanciava l'ipotesi che il Carnevale Veronese abbia origini ben più remote dalle corse dei Palio, facendolo risalire all'epoca pagana, e che la manifestazione dei Bacanal trovi analogia con gli antichi riti dei ciclo di Cerere Demetra. Adriano Valerini scrive in Le bellezze di Verona: "in qual parte non si leggono i dotti scritti di Tommaso Da Vico, nuovo Esculapio?". Doveva essere anche una personalità preminente nella vita pubblica veronese, perché il 15 gennaio 1528 lo troviamo alla testa di quella famosa cavalcata di gentiluomini che andò incontro al Vescovo Giammatteo Giberti, che giungeva da Roma per prendere possesso della Diocesi di Verona. Narra il Dalla Corte che in seguito alle replicate inondazioni dell'Adige, avvenute nel 1520 e nel 1531, e alle devastazioni commesse dalle truppe tedesche nel veronese, mentre infuriava la guerra in Lombardia tra Carlo V e Francesco I, Verona rimaneva oppressa da una terribile carestia. "Il 18 giugno 1531 corse gran pericolo la città nostra per sollevazione dei popolo cagionata per non aver voluto i pistori, cresciuto il calmíero, far pane, né vendere il tutto, ma lo tenevano nei cassoni serrato; e scriversi che il grano era venduto a soldi quaranta al minale; e così gran numero di gente corse alla piazza, e spezzarono detti cassoni, e misero a sacco il pane, e fecero altri disordini; ma riuscì con assai manco male di quello che da principio era stimato, bastonando a quel furioso popolo d'essersi sfogato solamente contro i pistori, come cagion sola di tutto il male". Per prevenire ogni tentativo di rivolta, furono eletti alcuni cittadini; vuole la tradizione che fra questi vi fosse il Da Vico, per opera del quale ebbe inizio il Bacanal del Gnoco, facendo distribuire al popolo di S. Zeno, nel venerdì ultimo di Carnevale, pane, farina, burro, formaggio e vino. Vuole ancora che Tommaso Da Vico lasciasse per testamento un legato, affinché la distribuzione dei generi alimentari venisse fatta tutti gli anni al popolo di S. Zeno nel giorno di venerdì grasso, detto Venerdì Gnocolar. Gli storici hanno provato molta soddisfazione a rovistare nelle vecchie carte per poter trovare il documento. Così anche nei riguardi del Da Vico ebbero buon gioco: il testamento esiste e si trova presso la sezione di Verona degli Archivi di Stato, porta il n. 128, dettato il 13 maggio 1531 presso il notaio Bonifacio di Sebastiano Dalla Mano. Tre pagine con scrittura minuta, fitta e quasi illeggibile; in esso, il dott. Tommaso Da Vico fu Bartolomeo, degente a letto ma sano di mente, dispone di essere sepolto vicino alla chiesa di S. Zeno, adiacente al grande tavolo di pietra dove banchettavano i poveri nel giorno di Venerdì Gnocolar. Ancor oggi esaltiamo un veronesissimo fenomeno che può dirsi unico nella storia dei Carnevale, dopo secoli di scenario carico di brio; intendiamo mantenere un patrimonio costantemente carico di straordinaria vitalità. Indubbiamente siamo un pregio, un'immagine di autentica cultura; le invettive a volte ci hanno danneggiato ma, nel contempo, ci hanno dato l'energia per trovare la forza di continuare. Oggi questo Carnevale lo dobbiamo approfondire e studiare per esercitarlo, lo spirito che ci anima è imbevuto di passione e di logica, siamo nelle vantaggiose condizioni di misurarci con tutti nella ragione, mentre sulle origini dei Carnevale ci reputiamo progenitori a cui, con tipica espressione, spetterebbe il titolo di creatori in termini eruditi. Continuando con prestanza il nostro lavoro, alleviando le sofferte attese del Carnevale nostro dove la latitanza non deve esistere, chi ancora ci attende nel mirino della delusione deve abbassare il tiro perché la gente ha tuttora bisogno di ritrovare la gioia nel vivere. Ormai la viva attesa di nuovi eventi ha invaso la nostra responsabilità, come autentici custodi, inseguendo il futuro se vogliamo avere il diritto di vivere e lasciare una completa definita realtà in mano ai posteri. Perciò allontaniamo ogni disagio ad abbattere le barriere che hanno impedito, ritardando la nostra prestanza nelle sofferte attese del Carnevale.

  8. #68
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    Predefinito Re: Antropologia del Carnevale

    Francesca Pace


    CARNEVALE IN PUGLIA, FRA CARRI E CULTURA


    Irriverente, dissacrante, colorato e divertente. Il Carnevale porta nelle piazze di tutta Italia storie e tradizioni della Penisola. Ciascuno con le proprie particolarità. Come quello che si svolge in diversi centri della Puglia e che, da metà gennaio fino all'inizio di marzo, darà vita a una sfilata di carri e coriandoli tra Putignano, in provincia di Bari, e Manfredonia, sul Gargano. Si comincia con il Carnevale di Putignano, probabilmente uno dei più antichi del mondo.



    Le sue origini, infatti, risalgono al 1394 quando si decise di trasferire qui le reliquie di Santo Stefano per proteggerle dai saraceni e, al loro passaggio, gli abitanti si unirono al corteo, ballando, cantando e improvvisando versi satirici in vernacolo. Nasce così la Festa delle Propaggini, quella che da otre 600 anni, ogni 26 dicembre, anticipa l'inizio del Carnevale. Da questa data, si susseguono riti, tradizioni, sfilate e processioni, tra sacro e profano. Dal 17 gennaio, giorno di Sant'Antonio Abate, si dà il via ufficiale agli appuntamenti del Carnevale. Sfilate, carri e maschere colorano la cittadina per oltre un mese. Per l'insolita durata, quello di Putignano è anche considerato il più lungo d'Europa.

    Ogni giovedì la satira colpisce un gruppo sociale ben preciso: Monsignori, Preti, Monache, Vedovi, Pazzi (cioè i giovani non ancora sposati), Donne sposate e infine i Cornuti (gli Uomini sposati). I carri allegorici sono autentiche opere d'arte realizzate dai maestri cartapestai nelle fucine dei Capannoni, affascinanti laboratori storici.
    La fine della festa, il martedì grasso, è segnata dall'estrema unzione al Carnevale, con una processione funeraria tra le vie della città in cui sfila un maiale in cartapesta, simbolo del periodo di eccessi.




    A partire dal 19 febbraio (fino al 5 marzo), invece, inizia il Carnevale di Manfredonia creando così un ideale ponte di coriandoli lungo 162 chilometri tra il nord e il sud della Puglia. Anche qui, nell'antica Siponto, la tradizione è secolare e risale ai riti dionisiaci dei primi abitanti del territorio. Oggi le maestranze locali danno vita a monumentali carri allegorici dedicati ai temi più attuali della politica e della cultura, ogni volta originali e dissacranti. Ad aprire i festeggiamenti è Ze Pèppe, la maschera locale che, su un carretto, arriva dalla campagna portando buonumore e spensieratezza. Ma ciò che caratterizza maggiormente la festa di Manfredonia è la singolare Sfilata delle Meraviglie, unica nel suo genere, che si svolge nella prima domenica di Carnevale con la partecipazione di migliaia di bambini.



  9. #69
    Chicca, passami l'Autan
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    Predefinito Re: Antropologia del Carnevale

    Anche questo bel thread mi era sfuggito, fino ad oggi.
    Ma quanti figli del Perozzi in giro...
    Travel is fatal to prejudice, bigotry, and narrow-mindedness...
    Chi abbandona gli animali è un bastardo!

  10. #70
    Non confondermi con Salvo
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    Predefinito Re: Antropologia del Carnevale

    Citazione Originariamente Scritto da Cuordy Visualizza Messaggio
    Si brucia il carnevale

    falò sciamanico grazie al quale gli spiriti dell'inverno sono aiutati ritualmente a cedere il passo a quelli primaverili.
    San Valentino, la festa di ogni cretino, che crede di essere amato e invece è soltanto fregato.

 

 
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