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Per contro, la Georgia è maturata alla democrazia: forse troppo precocemente, e anche questo preoccupa.
Al punto che Foreign Policy (l’organo del Carnegie Endowment for International Peace, una fondazione «indipendente» collegata al Dipartimento di Stato) scrive: il presidente georgiano Mikhail Saakashvili «
continua a provocare la Russia pensando di aver gli Stati Uniti dietro le spalle. Meglio che ci ripensi». (3)
Articolo interessante per molti versi.
Prende le mosse dai fatti di settembre, quando il giovane Saakashvili, nato alla democrazia con la «rivoluzione delle rose», ha arrestato quattro soldati russi sotto l’accusa di spionaggio, minacciando di bloccare la richiesta di Mosca di entrare nell’Organizzazione Internazionale del Commercio (Saakashvili tratta il WTO come cosa sua), e provocando la reazione di Vlad.
Ammette Foreign Policy: «
Questa crisi è stata alimentata anche da Washington».
E perché mai?
«
Perché la Casa Bianca ha inondato la Georgia di denaro e di lodi, promettendo la sua entrata nella NATO e tacendo di fronte ai sempre più rudi attacchi di Saakashvili contro la Russia».
Vediamo il denaro.
Gli USA hanno versato alla Georgia neo-democratica, come «aiuti alla sicurezza», 30,5 milioni di dollari nel 2006, da aggiungere ai 130 milioni dei due anni precedenti: liquidi che sono serviti alla Georgia (paese con 5 milioni di abitanti) ad aumentare le sue spese militari del 143 %.
A queste cifre si aggiungano i contratti-premio per 295,3 milioni di dollari che Bush ha fatto ottenere alla Georgia nel quadro del «Millennium Challenge Corporation, il programma di Bush che ricompensa i Paesi emergenti che dimostrano una capacità di efficace governo».
E non c’è dubbio che Saakashvili li meriti i suoi regali.
Dopotutto, gli americani lo conoscono, ed hanno avuto cura di educarlo al capitalismo: come il nostro Gianni Riotta, si è laureato alla Columbia di New York nel ‘94 con borsa di studio del Dipartimento di Stato, poi ha lavorato nello studio di avvocati «Patterson, Belknap, Webb & Tyler» di New York.
E un po’ come Riotta è stato messo da Prodi alla testa del TG1, Saakashvili è stato rispedito in patria per scatenare la spontanea rivoluzione delle rose finanziata dalla CIA.
Ha dunque tutti i titoli per credersi il cagnetto abbaiatore della Casa Bianca, autorizzato ad attaccar briga con Putin per conto del padrone.
Foreign Policy lo avverte a non eccedere in zelo.
Non perda di vista, il cagnetto, «
il buon senso geografico che fa della Georgia una nazione all’ombra della Russia».
Ai latrati di Saakashvili, Mosca ha risposto con un «incidente» nell’oleodotto che ha lasciato la Georgia senza gas per qualche giorno in pieno inverno; e con il blocco alle importazioni di vino ed acqua minerale, le due uniche voci attive del commercio georgiano; con l’espulsione di molti georgiani dalla Russia, il che mette in pericolo la sola vera fonte di valuta del Paese, le rimesse del milione di georgiani che lavorano nelle terre del nuovo zar.
Il buon senso geografico.
Ma c’è di peggio, ammette il Carnegie Endowment.
La democrazia georgiana, frutto maturato precocemente, dà segni di marcescenza.
Che cominciano a dar nell’occhio.
L’OCSE (europea) e Human Right Watch hanno documentato arbitri giudiziari, corruzione di polizia e l’assassinio di sette detenuti in una «rivolta carceraria» che secondo gli osservatori «
è stata inscenata dalle autorità carcerarie».
Le minoranze etniche armene e azere lamentano discriminazioni.
Il ministro dell’Interno è stato accusato di assassinio da folle di dimostranti scesi in piazza contro il regime.
Un noto giornalista televisivo si è dimesso in diretta per protesta contro le pressioni che dice di ricevere dal democratico Saakashvili.
E ciò proprio nei giorni in cui il democratico era alla Casa Bianca a ricevere le lodi di Bush:
«
E’ un uomo che condivide i miei stessi valori, crede nell’universalità della libertà».
Difatti la libertà sta prendendo in USA la stessa piega che in Georgia.
Insomma, avverte Foreign Policy: «
Saakashvili non creda a quel che gli dicono a Washington. La retorica e la larghezza americana non lo ingannino: gli stati Uniti non saranno al suo fianco se il suo conflitto con la Russia diventa caldo. La Georgia è nel cortile russo».
E Bush «
ha bisogno del sostegno russo in questioni come la Corea del Nord e l’Iran».
Lo si è visto nell’ultima riunione del Consiglio di Sicurezza.
Bush ha avuto bisogno del voto di Mosca sulle sanzioni al Nord-Corea, e lo ha ottenuto solo dopo che gli USA hanno dato il loro placet ad una mozione che interessava Putin: la quale sancisce, con l’autorità dell’ONU, il diritto alla presenza di una forza militare russa nelle province (che la Georgia reclama) dell’Abkhazia e dell’Ossezia del sud, abitate da russi e russofoni che vogliono stare sotto Putin, e non sotto il democratico made in USA Saakashvili.
Insomma, il padrone ha dato uno strattone al guinzaglio del cagnetto abbaiatore.
Ed ora, la Gazprom minaccia di portare il prezzo del gas che fornisce alla Georgia da 110 dollari al migliaio di metri cubi, a 230: il prezzo praticato non agli amici ex-sovietici, ma ai clienti normali.
I media anglo-americanio deplorano, ma sospirano: è il mercato, ragazzi.
Dopotutto, la neodemocrazia georgiana non deve dimenticare «il buon senso geografico», la dura realtà della sua dipendenza geopolitica ed economica.
Maurizio Blondet