Metto sul tavolo alcuni spunti sparsi di riflessione.
Le finalità della carcerazione sono varie, per citarne qualcuna: ricompensare chi ha subito un torto, punire chi l'ha commesso, tenere fuori dalla circolazione un criminale pericoloso, rieducare il criminale. La pena dovrebbe essere valutata in relazione all'importanza che soggettivamente si dà a queste variabili.
L'idea della carcerazione come 'punizione' è una retaggio culturale e storico che non necessariamente risponde alle finalità elencate precedentemente.
L'economia è per definizione la scienza dell'amministrazione delle risorse scarse di una società e della priorità con cui queste vengono amministrate. Tutti vorremmo fornire ad ogni detenuto un team di psicologi e assistenti sociali che lo rendano in breve tempo reinseribile, ma è normale che le priorità siano altre, e che per questa forma di rieducazione 'morbida' le risorse siano limitate, se non vicine allo zero.
Esiste una sottile linea di demarcazione tra un carcere crudele ed un carcere duro, e solo uno dei due può avere un significato nell'ambito di un progetto di rieducazione dell'individuo.
Se il carcere deve essere un luogo di rieducazione, non ha senso che i carcerati siano semplicemente parcheggiati in un limbo fatto di cose senza senso, e dare un significato per l'individuo anche alla vita in carcere è il primo passo per reinserirlo.
Non sta scritto da nessuna parte che un carcerato non debba lavorare - e non possa essere obbligato a lavorare - per contribuire al proprio mantenimento.
Se siamo di fronte ad una nuova criminalità di massa (principalmente allogena), è il caso di passare ad un sistema carcerario di massa.
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